Jason Rubin

La vendita di Crash e l’inizio di Jak

A Rubin mancava un ultimo esperimento, un’ultima esperienza da regalare ai suoi fans e a Crash per poter chiudere il cerchio: dargli una macchina, un veicolo, e farlo correre su strada.
Ripercorrendo quindi tutte le orme in precedenza lasciate da Super Mario e dalla Nintendo, Crash riesce nel 1999, a distanza di un anno dalla sua terza comparsa, ad imparare a guidare e scendere in pista per la salvezza del mondo: Crash Team Racing è l’ultimo titolo della Naughty Dog, e di Rubin, sul marsupiale. Ulteriormente acclamato dalla critica, in molti riuscirono a confermare che CTR era riuscito laddove in molti erano caduti, la metamorfosi da piattaforma a guida su strada.
Si conclude così, all’indomani del nuovo millennio, il ciclo del Bandicoot, divenuto famoso nell’arco di circa 4 anni e nel cuore di tutti gli appassionati del mercato videoludico. E nel 2000 che Jason Rubin decide di cedere la licenza alla Eurocom, che rilascerà di lì a poco Crash Bash per poter, dopo ovvia consultazione con Gavin, avviare qualcosa di nuovo: si è detto spesso che Rubin risulta incostante nei suoi progetti, ma noi preferiamo credere che egli, da sempre acclamato come ingegnoso programmatore, desiderava mettere continuamente alla prova le sue fantasie. Con una spesa di 4 milioni e mezzo di dollari, nell’anno della cessione di Crash, Rubin e Gavin danno vita ad un duo, due ragazzi, in un primo momento: Jak & Daxter. Il gioco, insieme all’intera software house, viene ceduta per una somma non resa nota alla Sony, che quindi ne fa una propria sottosezione assicurandosene l’esclusiva e il genio di Rubin, che fino ad allora si era guadagnato un posto di vero prestigio nel panorama videoludico in un solo lustro.

Il progetto di Jak & Daxter nasce ponendo un altro marsupiale accanto ad un ragazzo in un primo momento muto: la nascita dello strano duo è guidato da una maledizione dalla quale però non si potranno più liberare, e che, nel mercato, diventerà una benedizione per l’irriverenza e l’ilarità che provocherà in particolar modo Daxter, indovinata mossa comica e ottima spalla di Jak. La saga viene pubblicata su PlayStation 2, chiudendo quindi con Crash l’attività sulla console precedente, e seguirà esattamente le orme della trilogia del bandicoot. Nel 2001 l’irriverente duo suscita interesse e immediatamente viene acclamato come degno successore di Crash, che intanto provava a spopolare in maniera parallela nelle mani di altri sviluppatori, che ne facevano scemare l’originalità e il tocco magico col quale era nato. Fu una mossa più che indovinata, sia per la Sony che si assicurava l’esclusiva che per Rubin, lanciarsi in una nuova avventura: la saga di Jak & Daxter riuscì, nel corso degli anni, a stabilire grandissimi record nel mercato videoludico innalzando sempre più il nome di Jason Rubin.

Nel 2003, due anni dopo la nascita del dinamico duo, viene rilasciato Jak II: Renegade. Rubin cerca l’ennesima svolta.
Jak è cambiato, Daxter viene messo quasi in oscurità per fare spazio al burbero e quasi crudele Jak. La saga Platform inizia a prendere le vesti di un free roaming alla Grand Theft Auto. Il protagonista inizia a rubare veicoli, può sparare alle persone, attirare su di sé l’attenzione della guardia cittadina, accettare missioni secondarie o scegliere in che modo proseguire la sua avventura; supportare armi e migliorarle con appositi potenziamenti. È un mondo nuovo, è un Rubin nuovo. Jak II colpisce nonostante la caduta di tutti i suoi standard, e segna il record di Platform con più cut-scene in assoluto (131).
Lo stile free roaming viene mantenuto anche per il terzo capitolo, ultimo della trilogia per quanto immaginava Rubin: Jak 3 viene pubblicato nel 2004 e ricalca tutte le tematiche del capitolo precedente, aggiungendo una sessione a bordo di veloci e pesanti veicoli che faranno da precursore a quella che sarà la fine della serie In questo terzo episodio, Jak ottiene la possibilità di trasformarsi nei suoi due lati dell’anima, Light Jak e Dark Jak, triplicando l’intera esperienza che va sempre più su tendenze Action che Platform. Il gioco rimane comunque catalogato nella sua etichetta d’origine. Il titolo riesce anche a battere il record del suo predecessore per quanto riguarda le cut scene (raddoppiate), riuscendo a detenere un ulteriore record.

 



L’ultimo Jak di Jason Rubin

Il licenziamento dalla Naughty Dog e la creazione di Flektor

 

Il passo più logico che doveva portare la trilogia ad un compimento era fargli attraversare un processo identico a quello di Crash: completata la serie, regalare un cameo a tutti i beniamini in un episodio su veicoli da strada. L’idea di Rubin non fu però questa, e sebbene la Naughty Dog proseguì nel suo progetto, egli, alla fine del 2004, durante una conferenza della D.I.C.E. nella quale si accanì contro il personaggio di Tara Reid all’epoca ingaggiata per il film di Alone in the Dark, annuncia il suo licenziamento da direttore della Naughty Dog. Sarà seguito dopo poco da Andy Gavin.

Finiva così l’era videoludica di uno dei più precoci artisti del videogame che chiarì più volte che non avrebbe mai ripreso la sua strada iniziale e che mai più avrebbe messo mano o dito su un videogioco.
Nel 2005, infatti, si dedica al fumetto iniziando con Francis Manupal un connubio che avrebbe portato, due anni più tardi, alla pubblicazione di una mini serie chiamata Iron and the Maiden, nella quale riprendeva le città metropolitane del 1930 per ritrasformarle con la sua solita vena fantasiosa mirata alla ricerca di un nuovo universo.
Parallelamente alla sua serie a fumetti, tuttora non approdata all’infuori degli Stati Uniti, Rubin viene notato da Jamie Kantrowitz, vice presidente di MySpace, che, insieme a Andy Gavin, gli darà la possibilità di innovare il social network che stava spopolando nel mercato informatico statunitense. Nasce così Flektor, sistema di intrattenimento che farà da derivato di MySpace, dedito al miglioramento della personalizzazione del proprio profilo: il progetto, una volta ultimato nel maggio del 2007, venne venduto alla Fox nella stessa operazione di mercato che portò l’acquisizione anche di Photobucket per una cifra superiore ai 20 milioni di dollari. Rubin e Gavin uscivano ancora una volta fuori dalla scena con le tasche gonfie di soldi, proprio come era accaduto con Crash Bandicoot anni addietro e con la produzione di Jak & Daxter.
Nel gennaio del 2009 Flektor verrà implementato in MySpace e sparirà completamente dal panorama informatico cancellandone ogni traccia, se non quella storica.

Attualmente Rubin, prossimo ai quarant’anni di vita, continua il suo progetto fumettistico di Iron and the Maiden senza rilasciare troppe informazioni e senza destare grande scalpore o attesa dai fans.

La dimensione persa

Aveva solo 15 anni quando riuscì a regalare al mondo la sua genialità, ne aveva 26 quando donò all’universo videoludico quello che tutt’oggi è considerato un must have dei Platform e che ha riempito il cuore di tutti coloro che iniziavano ad avvicinarsi al mondo delle console. Aveva 28 anni quando divenne uno dei più geniali sviluppatori, riuscendo a ricavare sempre il massimo dalle sue invenzioni e sapendo sempre sfruttare l’attimo giusto: Crash Bandicoot, dopo la cessione della licenza, è stato un continuo fallimento, ma per Rubin fu un successo senza eguali; la saga di Jak, dopo il suo licenziamento, morì, concedendo solo alcuni sprazzi poco convinti, ma il suo creatore riuscì a vantarsi di aver creato un colosso per la PlayStation 2; il progetto di Flektor è oramai caduto e sparito nelle macerie della Fox, ma Rubin riuscì ad intascare cifre da capogiro col minimo sforzo.
Si esalta il suo genio, si esalta la sua sregolatezza, si esalta un 15enne che tra i banchi di una scuola ebrea programmava su un Apple II, si ringrazia l’uomo che ha regalato una nuova dimensione a molti videogiocatori.
La Naughty Dog continua intanto la sua produzione, riuscendo a vincere la concorrenza spietata di molte altre case dipendenti da Sony: titoli di grande successo sono stati Uncharted e Resistance, entrambi esclusive PlayStation 3, ma comunque lontani dall’universo di Rubin, come ad evitare di intaccare un quadro meraviglioso appeso sul muro che non deve essere rovinato. Un genio che ne pensava mille al secondo, dirà Gavin, un ragazzo che ha sempre trovato il modo giusto per fare soldi, confermerà il padre Stephen. Un genio nel suo mestiere, diranno in molti.
Sempre in disparte, sempre nascosto, oscurato anche nei titoli di coda, un grande male per le software house, dirà lo stesso Rubin, che ha sempre preferito dare spazio agli sviluppatori, ai tessitori della sua trama, piuttosto che a sé stesso ideatore del telaio.

Vorrei concludere lasciandomi andare in un commento personale e molto soggettivo per rendere nota l’esperienza che ho avuto, l’importanza che Rubin ha avuto per me, che azzardatamente mi ergo a stereotipo del videogiocatore medio. Crash Bandicoot fu il mio primo videogioco, come la PlayStation fu la mia prima console: mi avvicinavo scettico a questo mondo per me completamente nuovo quand’ero ancora bambino, ed ero in bilico sulla decisione da prendere tra il tuffarmi nelle onde del mercato videoludico o restare a galla in un mondo distaccato da tutto ciò; con Jason Rubin riuscii a prendere la decisione di tuffarmi senza pericolo in quello che oggi è diventato un mondo dal quale non riesco più a fuggire; perché alcune magie, alcune fantasie, alcune meraviglie, per quanto vuoi sognarle e immaginarle, spesso le si possono trovare solo negli universi paralleli nati dalla genialità di grandi persone come Jason Rubin, padre di una dimensione che oramai si è persa.

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Si suole dire, quando si vuole rimarcare con aria malinconica dei tempi andati, che si è persa una dimensione. Spesso però questa dimensione può racchiuderne a sua volta tante altre, oppure può essere da ognuno di noi interpretata in un determinato modo. La dimensione che quest’oggi andiamo ad analizzare è quella che ha fatto crescere una generazione di videogiocatori, che ne ha fatto maturare una già avviata e che, purtroppo, è stata persa da quella attuale.
Erano gli anni d’oro della prima console di casa Sony, la PlayStation, una scatola grigia dall’aspetto molto accattivante e abbastanza leggera da portarsi dietro che avrebbe segnato una lunga storia dell’ambito videoludico. Parliamo degli ultimi anni ’90, partendo da poco oltre la metà, quando, sicuramente, per molti la PlayStation risultò essere l’inizio di quella che si può definire come carriera videoludica.
Nel palcoscenico che accompagnava pubblicazioni Namco, Atari e all’epoca interessanti puzzle game sulla console nipponica, iniziava a ritagliarsi il suo spazio il genere Platform, figlio dei grandi successi di Super Mario, Donkey Kong e Rayman. Tralasciando quindi quelli che per molti furono i colossi del genere, vedere Sonic e i già citati predecessori, arrivò dalla California un’idea che andò a colpire dritta al cuore dei videogiocatori dell’epoca e degli anni futuri: parliamo di Jason Rubin, parliamo della Naughty Dog, parliamo di un bandicoot, Crash Bandicoot.

Da un Apple II alla Electronic Arts

Jason Rubin nasce nel 1970 a Potomac, Maryland.
Sarebbe fin troppo semplicistico definirlo in prima battuta "bambino prodigio", ma risulta impossibile non cadere in questa affermazione leggendo delle sue precoci capacità. Come per molti suoi coetanei, quando non aveva ancora raggiunto i 10 anni di età, fu folgorato dalla visione del film di Star Wars: come spesso dichiarerà in futuro e come spesso riportato in numerose interviste, fu la visione dell’universo alieno creato da Lucas che lo spinse a credere nelle sue capacità e lo catapultò nella scelta di modellare un universo nuovo. Trascorre la sua gioventù a Potomac, nel Maryland, nella totale passione dell’informatica e piena assuefazione dai computer tanto da costringere i suoi genitori, all’età di 13 anni, a comprargli un Apple II, primo personal computer prodotto su scala industriale dal 1977. Era il 1983 e Jason Rubin, su un computer privo di mouse e che viaggiava in linguaggio Pascal, poneva i paletti per quello che sarebbe divenuto un giorno.

Quello dell’Apple II coincideva con l’acquisto di qualcosa di diverso da un oggetto ma sicuramente importante allo stesso livello: frequentando una scuola ebraica, il 13enne Rubin farà la conoscenza di Andy Gavin, col quale inizierà presto a condividere idee e passioni e lo renderà complice di tutte le sue scoperte, per quanto minime, eseguite e ottenute tramite quell’apparecchio che per noi risulta oggi insensato e fuori luogo. Non sarebbe passato parecchio da quell’incontro ad una decisione molto azzardata nonché estremamente precoce: erano solo 15enni, Rubin e Gavin, quando decisero di dare il via a qualcosa di grandioso. Nel 1985 aprono i battenti della Naughty Dog (cane capriccioso), che all’inizio ancora non aveva trovato successo con questo nome. La prima produzione dei due giovani programmatori si chiamò Ski Crazed, fu pubblicata ovviamente per PC e portava come anno di rilascio il 1986: furono venduti mille pezzi del primo estratto a 8 bit della coppia Rubin-Gavin, e tre anni dopo questo successo, quando erano oramai 18enni, riuscirono a vendere il loro primo titolo alla Electronic Arts, Keef the Thief. Esso viene pubblicato per Amiga nel 1989 concedendo a Rubin ulteriore fiducia, tanto da avere un’ulteriore possibilità di pubblicazione sotto il marchio EA con Rings of Power, reso disponibile nel 1991 come primo vero gioco Naughty Dog per Genesis e Sega Mega Drive.

Nel frattempo Rubin non aveva perso la retta via dello studio, e nel 1995, poco prima di un’altra sua pubblicazione, si laurea all’Università del Michigan in economia. Per 3DO, in collaborazione con la Universal, dopo che la Electronic Arts aveva rifiutato i toni violenti e accesi dell’ultima produzione, viene fatto uscire Way of the Warrior, bollato dalla critica come forma eccessiva di violenza. Rubin venne criticato copiosamente per la sua dedizione ad un mondo che andava a rassomigliare a quello violento e sanguinario di Mortal Kombat, e di lì a poco fu costretto a cambiare drasticamente rotta, passando da una violenza senza limiti all’universo nuovo e alieno che desiderava da quando aveva assistito alle opere di Lucas; Crash Bandicoot era pronto.
La pubblicazione di Way of the Warrior, per quanto criticata, era riuscita comunque a far ottenere a Rubin e Gavin un sodalizio che durò per molti anni con la Universal, tanto da riuscire a pubblicare i primi tre capitoli del famoso marsupiale sotto questo marchio. Al fianco del famoso duo inizia a lavorare anche Mark Cerny, ben presto presidente della Universal e col passare del tempo co-designer di Crash Bandicoot, Spyro, Jak & Daxter e Ratchet & Clank.

La nascita di Crash Bandicoot

Crash Bandicoot nasce ufficialmente nel 1994 a Los Angeles, California, dalle mani di Joe Pearson e dalla testa di Jason Rubin: quello che fino ad allora era stato un animale, il bandicoot, ignorato dai più, si preparava a segnare un’era nel mercato videoludico. Di chiaro stampo proveniente da Donkey Kong, Crash vedeva la sua avventura avanzare in una visuale in terza persona per un’unica strada senza bivi, sconfiggendo nemici con diversi colpi: il suo obiettivo era quello di salvare la sua amata Tawna dalle grinfie del Dottor Neo Cortex, col quale siglerà l’inizio di una lotta che durerà per tutta la saga. Inutile dire che il succo della trama risultava sempre lo stesso dei Platform: trita e ritrita con Super Mario negli anni precedenti, la lotta per salvare la propria amata stava iniziando a perdere colpi, ma Crash, per fortuna, basò il suo successo su ben altre caratteristiche, quali ilarità del personaggio, gli scenari, l’isola Wumpa a sud dell’Australia e le meccaniche di gioco. Il videogame viene acquistato dalla Sony nel 1995, che ne curerà la pubblicazione, mentre nel 1996 verrà presentato all’E3, riscuotendo un successo probabilmente inaspettato. Prima della fine dello stesso anno, Crash spopolò in tutto il mondo, dall’America al Giappone, che finalmente trovava un nuovo titolo a piattaforme che non fosse conteso tra Nintendo e Sega, ma da un americano che era partito da un Apple II tra i banchi di scuola e che ora poteva ritrovarsi a dominare la scena del genere.
Rubin concedeva al videogiocatore tre diverse stratificazioni di difficoltà all’interno di un unico livello, portando la rigiocabilità del titolo a vette notevoli, andando anche a riproporre sotto vesti diverse la presenza dei bonus che resero famose le avventure di Super Mario; anche la copiosa presenza di svariati livelli riuscì ad accrescere il consenso della critica.

Nemmeno il tempo di godere del successo che nel 1997, un anno dopo la pubblicazione del primo capitolo, Rubin e Gavin rilasciano Crash Bandicoot 2: il ritorno di Cortex. Il secondo episodio riprendeva tutte le tematiche del primo, laddove si era fermata la storia, e andava a sostituire Tawna con Coco, sorella naturale di Crash; ponendo a mo’ di fulcro dell’azione la Warp Room, Rubin riesce a creare ulteriore consenso nella critica, che denota sempre di più grande organizzazione nell’affrontare i diversi livelli più e più volte: anche la possibilità di salvare i propri progressi di gioco quando meglio si crede diventava un punto focale dell’innovazione Naughty Dog. A sentir dire che il videogame era composto solo da 25 livelli poteva sembrare una contraddizione parlare di prodotto molto longevo, per questo bisogna ricordare anche la numerosa presenza di bonus, stanze segrete, passaggi nascosti, oggetti da recuperare solo dopo aver concluso il livello una prima volta e tantissime altre causali che aumentavano la longevità all’infinito.



Crash e la sorella Coco all’inizio di Crash Bandicoot 2

Passa un altro anno ancora e si è già pronti ad accogliere, sempre prossimi al periodo natalizio, il terzo capitolo dell’oramai famosissima saga: 1998, Crash Bandicoot 3: Warped, apogeo della serie. Rubin aumenta i livelli a disposizione, da 25 a 30, incrementa le capacità di Crash e le ambientazioni: le aree segrete rimangono, le gemme e i cristalli vengono affiancati dalle reliquie acquisibili battendo record su tempo, e il nostro marsupiale otterrà dei potenziamenti permanenti dopo ogni scontro con un boss, dal supersalto ad un cannone spara mele. In questo terzo capitolo Rubin riesce a riproporre anche un cameo per Ski Crazed, suo primo gioco in assoluto, lanciando Crash in un’avventura tra i cieli. Non più solo piattaforme, quindi, per il beniamino della Naughty Dog, ma capacità di svariare in numerosissimi campi. Viene data la possibilità di vestire i panni di Coco, la sorella di Crash, e sarà il primo capitolo della saga a supportare la vibrazione del DualShock. A distanza di 10 anni, Crash Bandicoot 3 è ancora oggi considerato uno tra i migliori Platform mai rilasciati sul mercato, quando si contano cifre da capogiro per le vendite della serie. Questo sarebbe stato l’ultimo Platform per Crash tra le mani di suo padre.

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