Rayman Origins – Recensione Rayman Origins

1995, Montpellier. Nasce Rayman, l’uomo melanzana senza ossa e senza arti. Nasce su Atari Jaguar e più tardi su PlayStation e PC: usa le orecchie per volare e può lanciare i suoi pugni come se fossero dei sassi. Sin dalla sua prima avventura ne ha fatta di strada Rayman, tanta da dover arrivare a sconfiggere temibili pirati per salvare il suo fedele amico Globox, tipico mendicante con a casa una moglie e mille figli, o a impersonare la sua parte malefica per eliminare i temibili nemici che infestano il suo mondo.

Di recente però la figura di Rayman stesso era stata sfigurata dall’avanzare imperioso, e fastidioso aggiungiamo, dei Rabbids, conigli che hanno provato a ravvivare, invano, l’atmosfera del videogioco creato nell’universo di Rayman. A riportare il concept sulla retta via ci hanno pensato gli stessi produttori, lo stesso Michel Ancel, che quasi 20 anni dopo ha voluto riprendere le meccaniche del primo titolo, platform in 2D, e riproporlo sulle console di nuova generazione. Oggi poter finalmente mettere le mani su Rayman Origins è un grande passo per l’industria videoludica e per ogni settore della stessa, dal videogiocatore a noi informatori.

Un raggio di luce

Sin da quando Super Mario iniziò a riempire gli schermi delle televisioni delle nostre case ci è stato fornito un insegnamento che fa tutt’oggi da cardine ai platform: una trama non è strettamente necessaria per un videogioco che ha tutto il resto. Lo stesso Rayman Origins non si impegna per raggiungere dei colpi di scena o fornire una sceneggiatura degna del miglior Hugh Wheeler, ma si riempie di un semplice ed efficace leitmotiv.

All’albero Sbadigliante, come lascia intendere facilmente il nome stesso del luogo, tutto è concesso per poter raggiungere il Nirvana del sonno, anche il più grande frastuono causato dal russare dei presenti. Ed è proprio questa la causa scatenante che porterà gli abitanti del sottosuolo a lamentarsi per i rumorosi versi del lardoso Globox, del ronzante Murfy e tutti gli amici della melanzana: le lamentele si trasformeranno in azione e partirà un assalto a tutti gli abitanti del soprasuolo, ingabbiando gli electoons e le maghe che detengono il potere della natura. Soltanto Rayman, guidato dal Great Protoon, potrà liberare i mostriciattoli che mantengono inalterato il percorso naturale delle cose partendo alla ricerca delle numerose gabbie disseminate dai non morti per oltre sessanta livelli.

Sei senza ossa? Meno cose da romperti

Senza troppi fronzoli sarete immediatamente lanciati nel pieno dell’azione, all’inizio con delle limitazioni di poteri, che vi porteranno soltanto a correre e saltare: liberando nel corso del gioco le varie maghe, partendo da Betulla, vi saranno donate la facoltà del volo, dell’azione e tante altre. L’essenza del platform viene fuori proprio nel momento in cui noterete che l’azione si svolge sulle piattaforme fluttuanti, su pareti da scalare o contro le quali rimbalzare e il tutto si muove basandosi sul pulsante della corsa, adibito al grilletto di destra, su uno per il salto e uno per l’azione: essenziale fino all’osso, ma di certo non semplicistico nella sua natura. Ogni livello, infatti, per quanto voglia terminare in maniera immediata all’inizio, vi metterà dinanzi a delle scelte ben precise da fare: completare immediatamente lo stage vi porterà a liberare soltanto un gruppo di electoons, su tre o quattro a disposizione; preoccupandovi invece di raccogliere tutti i Lum a disposizione per l’intero percorso avrete modo di sbloccare altre gabbie, utili al raggiungimento, poi, dei livelli bonus.

Insomma verrete quasi costretti a ricercare la perfezione andando a perseguire l’obiettivo della medaglia d’oro, che significa aver fatto tutto il fattibile in quello stage: affinché questo accada, però, avete necessità di prendere dimestichezza con l’intero sistema di funzionamento di Rayman, correre dove e quanto basta, saltare dove è necessario e seguire il preciso percorso delle cose che vi circondando, perché nulla è casuale e tutto ha come fine uno scorrere preciso e infallibile dell’intera vostra avventura, senza un attimo di sosta. L’essenza dell’intero prodotto videoludico, infatti, è proprio questa: correre dall’inizio alla fine, accontentando così anche i vari obiettivi predisposti dal PSN o dall’Xbox Live, ma soprattutto appagando il vostro desiderio di armoniosità.

L’unico dubbio che vogliamo però subito risolvere riguardo la difficoltà del titolo riguarda proprio la facilità con la quale si muore in Rayman Origins: è mancata quella spinta in più alla Ubisoft per rendere il titolo molto più hardcore. Se fosse stato inserito un contatore delle vite che, una volta finite queste, avesse costretto il videogiocatore a riprendere dall’inizio lo stage in corso, l’avventura stessa sarebbe diventata più stimolante e pungente. Invece, per venire incontro anche a quella che è stata la massificazione del videogiocare moderno, verranno sovente inseriti dei checkpoint all’inizio delle diverse stanze del livello, così da permettervi di poter riprendere il tutto, nel post mortem, da non troppo lontano dal punto del decesso. Sicuramente non una critica, ma una scelta che può piacere o meno a seconda delle necessità di ogni videogiocatore.

La varietà di Rayman Origins è, infine, assolutamente da lodare: non avremo mai dei livelli impostati in maniera uguale tra di loro. Se però spezziamo una lancia a favore della varietà dobbiamo proprio lanciarne una contro la decisione di sviluppare più di tre livelli a cavalcioni di Moskito, ritorno senz’altro gradito dopo le comparse sotto il nome di Bzzit, onomatopeia del suo ineguagliabile verso, ma frustrante per le meccaniche di gioco. Dopo essersi abituati alla frenesia della corsa e alla necessità di tenere premuto il grilletto destro del vostro controller, non potrete fare a meno di invocare la prematura conclusione dei livelli con la mosca preferita di Rayman. Per quanto, quindi, possa essere interessante risucchiare tutti i nemici a schermo per poi rilanciarli contro l’ambiente sfruttando i rimbalzi e le varie interazioni, non sarà per niente affascinante crogiolarsi sulla lentezza del progredire dello stage.

Concludiamo l’analisi del gameplay criticando un po’ la confusione della modalità cooperativa: in due giocatori è fattibile, ma davvero per pochi istanti. Arriviamo ai livelli di un New Super Mario Bros Wii velocizzato al massimo: il consiglio è di cimentarvi esclusivamente con videogiocatori esperti nel genere e nel gioco stesso, altrimenti lasciate perdere. Sconsigliamo, infine, assolutamente quella a quattro giocatori: confusionaria e per niente appagante come il gioco in solitaria.

Siate artisti, ma con stile

In tempi meno sospetti un poliedrico artista dichiarò di prendere manciate di parole e di lanciarle in aria per poi vederle atterrare a posto come se fossero le tessere di un mosaico, così da formare i propri testi. Qualunque cosa abbia pensato di lanciare in aria Michel Ancel, il padre di Rayman sin dai tempi del 1995, siamo sicuri che a terra si è posato ben più che un mosaico. Il concept grafico e stilistico di Rayman Origins è quasi sicuramente una pietra miliare della storia videoludica, lontano da ogni necessità di esaltarsi per perfezione o per capacità di riportare alla perfezione le fattezze umane: ci troviamo dinanzi ad un’opera di originalità data in dono soltanto ai veri artisti, non ai riproduttori della verità. Un tripudio di colori e di movimenti che dalla fantasia sono arrivati fino a noi grazie alle mani degli artisti dietro le quinte del palcoscenico di Rayman.

Origins è il primo dei titoli Ubisoft ad usare il nuovo motore UbiArt Framework, che permette agli artisti della casa francese di lavorare in totale autonomia sulle loro creature, armoniose come l’intero prodotto videoludico. Il nuotare di Rayman tra le meduse, il modo in cui queste si muovono a suon di meravigliose melodie o jingle, dà un così grande senso di leggerezza da poter quasi immaginare di trovarvi in uno stato catartico: sembra quasi di fumare della droga con stile, di gettare i propri occhi oltre il cancello. Sono proprio questi livelli subacquei a dare il meglio di Rayman Origins, che accompagnato dall’armonia stessa dell’acqua si lascia trasportare, come una sirena galleggiante, dalle dolci acque dello stage di turno.

Tutto questo per arrivare a parlare dell’apogeo del prodotto: il comparto sonoro. Oltre a tutte le melodie già citate nel corso della disamina fino ad ora, dedichiamo ora qualche parola al dialogo musicale che si può tenere con l’intero scenario: il videogioco vi chiede di suonare insieme con la sua colonna sonora, premendo tutto ciò con cui potete interagire all’interno del livello, dalle fronde ai Lum, che rilasceranno un acuto melodico da incastrare nella melodia di turno. Le corde che suoneranno al vostro corrervi sopra, i tasti di un pianoforte lasciato sotto le vostre scarpe, i tamburi sui quali rimbalzare per raggiungere alture elevate, rappresentano dei passi in avanti rispetto alla concezione lanciata da Super Mario Galaxy, che provava a dialogare con la musica. Rayman Origins fa di più: ci riesce. Siate artisti suonando la vostra colonna sonora e spingetevi oltre: suonate insieme con Rayman.

Non chiamatela opera d’arte

Dopo aver detto tutto il necessario e dopo aver lasciato ben poche domande sul titolo possiamo solo concludere regalando un ultimo tributo a Rayman Origins, con un quesito.
Cos’è la poesia? Sovente ce lo domandiamo, ma quante volte troviamo una risposta? Seppur la trovassimo sarebbe sicuramente figlia di una pochezza d’intenti, d’animo, ma quello che possiamo dire con certezza oggi è che Rayman Origins è quanto più vicino possa andare alla poesia, pur non dovendo necessariamente ergersi ad opera d’arte. Non ha bisogno di questa dicitura l’ultima opera di Michel Ancel, un artista, ma di quelli veri, completi: ha bisogno solo di essere guardata con l’occhio puro nascosto dentro ognuno di noi ed essere apprezzata per le melodie, la direzione artistica, l’idea, la goliardia, la fanciullezza che sprigiona ad ogni sospiro, per la sua completezza.

Rayman Origins è il sogno di ogni bambino, e tutti noi, almeno una volta nella vita, dovremmo sognare di poter, da grandi, essere bambini e apprezzare un capolavoro della next generation, apprezzare il genio di un designer, di un artista.

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