Assassin’s Creed III – Recensione Assassin’s Creed III

Nel caso non ve ne siate accorti, ormai è giunto l’autunno. Del resto è così: si recuperano i maglioni sotto naftalina, ci si comincia a rinchiudere negli irish pub, si assaporano le caldarroste della nonna, si calpestano le foglie sui viali alberati, si parla del nuovo Assassin’s Creed. Questa volta però non siamo qui ad esaminare l’ennesimo spin-off, mai presentato come tale, bensì proprio quel gioco che in molti avevano confuso con Brotherhood.

Parliamo di Assassin’s Creed III, un titolone altisonante che cela proprio nel suffisso numerico la sua nobiltà: un tre che sa di perfezione così come di atteso (forse troppo) epilogo di una fortunata trilogia, la chiusura del cerchio. Per anni questo franchise ci ha abituato alla solita mistura di sorprese, poche, e di infiniti ritorni. Le cose saranno cambiate? Ubisoft avrà dismesso il pigiama intriso d’alloro ed estinto l’ipoteca, condivisibile quanto deleteria, legata a filo doppio alla sola avvincente trama del brand? Non si offendano i seguaci della cabala, ma in questo terzo episodio non vi è nulla di così perfetto, questo mai; eppure ACIII sorprende ed ora vi spieghiamo perché.

Quell’inizio che non ti aspettavi…

La storia riprende da dove l’avevamo lasciata in Revelations: Desmond, in compagnia di Shaun e Rebecca, nonché del padre William Miles, si trova a bordo di un furgone che punta dritto sullo stato di New York. Il gruppo si sta dirigendo al Grande Tempio, al quale riesce poi ad accedere, mediante la mela, per insediarvisi. La struttura si rivela piena di arcane apparecchiature, alimentate da una qualche forma di energia sopita, e Desmond riesce ad attivarne alcune prima di cadere in trance, dissociandosi dalla realtà. Un misterioso timer punta al 21 dicembre 2012, dando così avvio all’inesorabile countdown per l’apocalisse.

Haytham Kenway durante la traversata oceanica

A questo punto compiamo il nostro ritorno nel fidato Animus, pronti a catapultarci nell’epoca della Rivoluzione Americana. Ed è qui che ci tocca sgranare gli occhi per la prima volta: non siamo nel Nuovo Mondo, bensì a Londra, e dopo mesi passati a familiarizzare col pellerossa Connor, ci stupirà ritrovarci a manovrare un elegante gentiluomo di nome Haytham Kenway. Questa raffinata figura ci guiderà per ben tre complete sequenze della storia, partendo dalla madre patria alla volta delle colonie, in un lungo e dettagliato prologo che si concluderà con un riuscitissimo colpo di scena finale.

Non storcete il naso prima del tempo. Va detto che proprio il suddetto esperimento narrativo, del tutto inedito nella saga, costituisce una delle vittorie del gioco. Le sequenze che anticipano il debutto del mohawk mezzosangue Connor (1-2-3), pur rivestendo un ruolo accessorio ed avendo anche lo scopo di introdurci alle novità del titolo, sono talmente avvincenti che non ne avvertiremo il peso. Anzi, al loro termine è persino possibile sentire la mancanza di Haytham, un personaggio ben congeniato e dal savoir-faire a dir poco letale.

Tra un’avventura di Connor ed un’altra, nel travagliato percorso che porterà alla tanto agognata indipendenza degli Stati Uniti, avrete ancora una volta modo di impersonare il buon vecchio Desmond. Se inizialmente dovrete limitarvi per lo più a leggere le nuove mail e a spingervi nelle aree del tempio a voi accessibili, ben presto vi cimenterete in delicate missioni di recupero, che richiederanno tutte le abilità apprese nelle vostre passeggiate osmotiche a spasso nella storia. Il vostro obiettivo, manco a dirlo, salvare il mondo in una corsa contro il tempo, il destino e i Templari.


Lo Zio Sam ti vuole!
Offrire molte cose nuove, ma qualcosa resta antico

Assassin’s Creed III ha il pregio di mettere davvero molta carne, magari hamburger, al fuoco. Si tratta di un prodotto che resta pur sempre fedele alle proprie radici, nel bene e nel male, e che quindi riconferma le popolari lacune in versione marchio di fabbrica. Nello stesso tempo però rappresenta un dignitoso tentativo di ridare lustro ad una serie che, anche se non nei numeri di vendita, l’aveva un po’ perso strada facendo. Laddove abbiamo ancora occasione di lamentarci, ci riferiamo chiaramente al sistema di combattimento che purtroppo non è ancora cambiato, nei suoi aspetti essenziali. Ci ritroveremo ad essere attaccati da un solo soldato per volta, nella quasi totalità dei casi; i rarissimi episodi in cui due soldati ci attaccheranno all’unisono, o per meglio dire quasi simultaneamente, sono risolvibili in modo analogo a quando ne stiamo fronteggiando uno: basterà la pressione di qualche tasto per farci ammirare diverse combo scenografiche (le animazioni sono indubbiamente d’impatto) che ci caveranno d’impaccio. Da apprezzare comunque il tentativo di renderci le cose più difficili introducendo la salute rigenerante del protagonista (niente più medicine a gogò), un’IA appena incrementata, una maggior aggressività dei nemici che ci attaccheranno in rapidissima sequenza (anche quando siamo impegnati a concludere qualche combo) e disporranno di un cono visivo più ampio, l’impiego di diverse strategie d’attacco che ci costringeranno a interrompere la nostra furia omicida per correre ai ripari: alcuni soldati si fermeranno infatti a margine della zona di scontro per mirare e far fuoco contro di noi, che però potremo afferrare il soldato più vicino e utilizzarlo come scudo umano. Pur variando nei nomi e in qualche abilità, le tipologie principali di soldati sono le stesse di sempre: i soldati base, gli ufficiali, i granatieri e i jäger (non fan dei Rolling Stones, ma ottimi tiratori).

A rendere un po’ più vario ogni scontro ci penserà un arsenale completamente rivisto, per quanto più ridotto. Scompaiono le bombe e la loro fabbricazione; sopravvivono solo le bombe fumogene e le mine. La balestra cede il posto all’arco, la pistola di Leonardo alle armi da fuoco ad avancarica, diminuiscono i pugnali in favore dei tomahawk. Le spade sono ancora l’arma primaria per eccellenza, per quanto non ve siano tante come in passato. Viene introdotto il dardo a corda, una letale arma che potrete usare per impiccare i vostri nemici.

Il sistema di combattimento, come del resto la corsa acrobatica, ha subito un processo di semplificazione dei controlli, oltre che d’interfaccia. Ogni volta che stiamo per essere colpiti vedremo comparire un piccolo segnale di pericolo, a forma di triangolo, sul aggressore in questione. Questo segnale sarà rosso in caso di affondi o di generici attacchi fisici che possiamo bloccare, sarà invece giallo quando si tratterà di attacchi che possiamo solo eludere, ad esempio quando stanno per spararci. Potremo in questo modo capire cosa fare in ogni circostanza. I tasti principali sono due, uno per l’attacco e uno per la difesa, ma premendo il tasto della difesa col giusto tempismo entreremo in una fase di slow motion, in cui potremo decidere come portare a compimento l’azione: scagliando il nemico, disarmandolo, uccidendolo mediante attacco con arma primaria o secondaria. Vi è poi un terzo tasto per rompere la guardia dei nemici e per afferrarli e frapporli tra noi e i proiettili. Una volta compresi bene i meccanismi e i tempi sarete inarrestabili come sempre, ma di rado uscirete da un incontro senza dovervi leccare le ferite.

Toltoci questo sassolino nella scarpa, l’insalata per così dire, torniamo a occuparci della carne prima che si bruci. In questo gioco sarà molto più difficile annoiarsi, grazie ad un gameplay quanto mai vario e ad una narrazione più originale del solito. Il maggior impegno profuso nel comparto narrativo è evidente sin dall’inizio, come avete avuto modo di leggere, e si tratterebbe di un lavoro impeccabile se non fosse per qualche passo falso nella caratterizzazione del protagonista (di cui parleremo a breve) e in qualche buco di trama qui e là. Si ha subito la sensazione di trovarsi dinnanzi ad una mano più ispirata, e non ci voleva poi molto dopo tre spin-off incentrati su un unico individuo, capace tanto di avere un occhio di riguardo per momenti apparentemente inutili (sono pochi i tempi morti tagliati con qualche video o voce narrante) quanto di dimenticarsi, inspiegabilmente, di elementi che avrebbe dovuto curare maggiormente.

L’universo di gioco è ricco di attività da svolgere, dalle subquest casuali alle sfide dei club: quello della caccia, degli esploratori, dei pugili e dei ladri. Spariscono quindi le solite gilde, eccezion fatta per quella degli assassini che non avrà però più sedi fisiche e che ritroveremo solo nella possibilità di reclutare degli adepti, per assisterci nei combattimenti oppure per andare a svolgere le già note missione di liberazione dal controllo templare. Anche Connor avrà modo di fare la sua parte, liberando Boston e New York dal controllo dei nemici del suo ordine, il tutto sottoforma di missioni da completare e di fortini da liberare dalla presenza inglese. Sparisce quindi l’aspetto tower defense che avevamo conosciuto in Revelations.

Il sistema economico è stato totalmente rivoluzionato. Le varie botteghe, dalla sartoria al fabbro, cedono il posto agli empori e ai commercianti itineranti. Scompare quindi ogni forma di restauro, anche quella della nostra dimora, la Tenuta di Davenport. Se prima potevamo acquisire il possesso di determinati esercizi commerciali, in modo da ricavarne profitto, ora il processo è assai più macchinoso: svolgendo le “missioni tenuta” dobbiamo reclutare esponenti delle più svariati professioni, invitarli a stabilirsi nella nostra proprietà, talvolta sovvenzionarli e aiutarli a progredire nella loro arte. Così facendo riempiremo via via il nostro magazzino di beni di prima necessità e oggetti di ogni tipo, alcuni da tenere per noi ed altri da commerciare inviando convogli ai diversi empori noti. La varietà di oggetti che potremo commissionare dipenderà anche dai progetti che avremo recuperato, ad esempio negli scrigni sparsi nella mappa, i quali andranno prima scassinati con tanto di grimaldello e tensore. Insomma, un punto a favore del realismo e uno in meno per la praticità.

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