Dynasty Warriors: Strikeforce – Recensione Dynasty Warriors: Strikeforce

Chi non è nuovo del mondo videoludico conoscerà sicuramente l’interminabile saga dei Dynasty Warriors realizzata da Koei, che nel corso degli ultimi 12 anni ha prodotto oltre 20 titoli della serie principale e più di 10 spin-off, con ottimi risultati. Soprattutto in Giappone, ma anche nel resto del mondo, questo titolo ha sempre incontrato il favore di un largo numero di fan ed è riuscito a mantenersi anno dopo anno il miglior successo di Koei: ancora oggi sono tantissimi i Dynasty Warriors ad essere continuamente prodotti (addirittura otto nel biennio 2008/09), il che dimostra la grande fortuna di questa serie tanto amata. Tuttavia, con un così grande numero di titoli alle spalle, rinnovare e differenziare ciascun capitolo si rivela un’impresa, che non sempre Koei e gli sviluppatori di Omega Force riescono a compiere: mantenendo invariati personaggi, località, storia e genere, modificare il battle system (entro i limiti del genere) o il sistema di sviluppo diventa molto, molto difficile. Sono questi, principalmente, i motivi che portano molti giocatori a definire Dynasty Warriors monotono e ripetitivo.
La grande tradizione di successi, però, ha sempre invogliato la Koei a continuare quest’avventura, tentando inoltre di approdare sin da subito su PlayStation Portable (PSP). Il primo Dynasty Warriors per la console portatile Sony si rivelò un buon titolo (considerando la scarsa conoscenza che si aveva allora di questa macchina appena uscita), ma il suo successore, Dynasty Warriors Vol.2, ripresentò invariate le stesse meccaniche di gioco, con pochissime migliorie tecniche. Ancora una volta la serie rischiava di diventare monotona. I ragazzi di Omega Force decisero così di impegnarsi sul serio per realizzare un vero Dynasty Warriors per PSP (gli altri erano più dei porting dei vecchi capitoli per console di casa).
Dynasty Warriors Strikeforce può essere considerato dunque il primo capitolo della serie dedicato alla PSP, prodotto inoltre in un periodo in cui lo sfruttamento delle potenzialità della piccola Sony sta ormai raggiungendo i livelli più alti: questa, per Koei e Omega Force, è stata la prova del nove.

The Romance of the Three Kingdoms

L’intera saga dei Dynasty Warriors è totalmente ispirata ad un racconto leggendario cinese, The Romance of the Three Kingdoms, ambientato nella Cina Medievale durante la dinastia Han. In questo romanzo, gli stessi personaggi presenti nei Dynasty Warriors diventano protagonisti di battaglie epiche e di grandi conquiste, per raggiungere infine il controllo di una Cina unita.
Nel gioco vero e proprio, le famiglie Wu, Shu e Wei ripercorrono la narrazione del romanzo abbastanza fedelmente, discostandosene solo ed esclusivamente per rispettare la coerenza del gioco: così il personaggio scelto rimarrà sino alla fine della storia e la sua famiglia trionferà sulle altre, mentre magari nel romanzo cinese sarebbe caduto già in una battaglia precedente, persa dalla sua famiglia.
Strikeforce, diviso in cinque capitoli, segue fedelmente la trama almeno per i primi due: qualunque sia la scelta, bisognerà innanzitutto affrontare la Yellow Turban Rebellion nel capitolo 1 e il regno del terrore di Dhong Zuo nel capitolo 2, proprio come nel romanzo cinese. Dal terzo capitolo in poi l’influenza del gioco si fa più netta: dovendo arrivare ovviamente alla propria vittoria personale, ciascuna famiglia lotterà per stabilizzare i propri domini e per sconfiggere il terribile Lu Bu, mentre gli ultimi due capitoli vedranno l’alleanza del protagonista con uno degli altri due regni per sconfiggere il restante, e infine la battaglia contro l’ex alleato per il controllo della Cina unita. Tutto ciò sarà accompagnato da quest secondarie di minore importanza e da sfide particolari che si potranno sbloccare trovando i manuali delle leggende. Il numero di missioni è adatto e abbastanza soddisfacente: per ogni capitolo vi sono in media quattro quest principali e altrettante secondarie, per una durata né breve, né estenuante. Ciò che stona però è la loro universalità: qualunque sia il personaggio scelto, quasi tutte le missioni (sia principali che secondarie) saranno identiche. E’ evidente, dunque, che concludere il gioco con un personaggio equivale quasi ad averlo completato definitivamente, essendo la storia delle altre due famiglie pressoché identica: e questo, purtroppo, è un elemento ripetitivo.
 


Classico ambiente di gioco, classica scena di combattimento: è Dynasty Warriors

In the city

Aria nuova si respira per quanto riguarda il sistema di sviluppo: a differenza dei due predecessori, questo terzo capitolo per PSP propone una netta differenziazione della crescita dei personaggi che, con l’aumentare dei livelli, sviluppano le caratteristiche più legate al loro stile di combattimento. Anche la capacità di utilizzare le diverse armi (davvero tantissime in questo gioco, appartenenti a molte categorie differenti) si basa su un sistema di crescita, favorendo le armi principali del personaggio ed una cerchia ristretta di secondarie. Ovviamente è possibile impugnare qualsiasi tipo di arma base con qualsiasi personaggio, ma per imbracciare quelle di livello superiore bisognerà che l’esperienza con quell’arma raggiunga un determinato valore, traguardo che richiederà notevoli sforzi.
Tutta la preparazione alla quest si svolge nell’accampamento, o City, come lo chiama il gioco. Sono presenti nove strutture: oltre a quella per le missioni principali e quella per le quest secondarie, è possibile trovare l’Academy (dove acquistare dei potenziamenti per il Chi, comprendenti alcune abilità speciali), il Workshop (per aggiungere potenziamenti alle armi), il Blacksmith (per forgiare nuove armi), il Market (dove acquistare gli oggetti), l’Exchange (dove scambiare i materiali raccolti nelle missioni con altri più rari), lo Shrine (il santuario dove sostituire il proprio personaggio con gli altri della famiglia) e lo Storehouse (dove conservare tutti i materiali raccolti). Tutta la città segue anch’essa uno sviluppo che porta ogni singolo negozio a salire di livello, migliorando così la merce disponibile. Questa crescita viene realizzata tramite la vittoria nelle singole missioni e favorita dalle Officer Cards, carte potenziamento donate da alcuni ufficiali che compaiono di tanto in tanto nella città. Ovviamente, lo sviluppo diventa sempre più lento man mano che si raggiungono livelli più alti, dunque il rapporto livello personaggio/armi-oggetti-potenziamenti disponibili si mantiene pressoché costante. Gran parte della potenza deriva proprio da questo trio di elementi: maggiore è il livello dell’equipaggiamento, migliore sarà il rendimento in battaglia, mentre il livello influirà in misura minore. Per disporre di un equip aggiornato, però, occorrerà anche avere i materiali necessari, ottenibili dai vari avversari sconfitti nelle missioni: combattere il più possibile si rivela dunque indispensabile, proprio come in ogni Dynasty Warriors, con il risultato che potenziarsi diventa solo una breve interruzione tra i combattimenti ogni quattro o anche più missioni. Gli unici negozi veramente utili in ogni momento saranno il Market (presso il quale rifornirsi di oggetti curativi) e l’Exchange (che vi permetterà un solo scambio dopo ogni quest). Un discorso a parte merita lo Shrine, presso cui è possibile scambiare il proprio personaggio: possibilità interessante, se non fosse che il nuovo combattente scelto partirà dal livello minimo, con armi, capacità ed equipaggiamento base, inadatti al livello raggiunto dalla prima scelta; quindi, a meno di enormi sacrifici per portare un nuovo personaggio al pari di quello scelto inizialmente, lo Shrine rimarrà comunque inutile per tutta la durata del gioco.
Nonostante questi piccoli difetti, però, il sistema di sviluppo basato sulla città rimane un’importante novità da tenere in gran considerazione, sicuramente la migliore di tutti i capitoli PSP: ciò che dispiace è che sia anche l’unica.
 


Il terribile Lu Bu in modalità Fury


Rivivere le battaglie

Quando i giocatori sperano di rivivere le battaglie che hanno ispirato questo gioco, sicuramente non intendono quelle già viste negli altri Dynasty Warriors; questo perché a livello di battle system cambia davvero poco, così poco che sembra di giocare ai vecchi capitoli della serie. Le uniche novità riguardano gli effetti delle armi, che possono causare cambiamenti di status, e alcuni piccoli particolari sempre legati  alla tipologia di arma utilizzata (più o meno efficace contro certi nemici). Il resto rispetta le caratteristiche del genere: tanti nemici davanti, tanti colpi consecutivi, tanti morti, vittoria. Solo che adesso è addirittura più difficile raggiungere l’obiettivo finale: gli avversari sono generalmente più resistenti, mentre gli ufficiali sono più numerosi e potenti. Così, mentre prima era almeno possibile devastare tutti i nemici con una potenza nettamente superiore (e con grande soddisfazione), adesso bisognerà fare gli straordinari per uscire vivi da ciascuna missione, con risultati appena sufficienti. La situazione peggiora quando si arriva agli scontri decisivi: due, tre, anche quattro e più ufficiali di potenza pari a quella del personaggio gli si scateneranno contro in una carica totale che lo colpirà da ogni lato, anche a terra, impedendogli di controbattere per gran parte del combattimento. Così gli scontri decisivi verranno trascorsi più a roteare in aria, a subire danni a terra o a cadere sotto i colpi nemici, piuttosto che a infligger loro qualche danno. Come se non fosse abbastanza, tutti gli ufficiali avversari potranno entrare in uno stato di semi immunità, che li renderà invulnerabili nei movimenti: se colpiti, continueranno a subire danni, ma non verranno minimamente spostati da alcun attacco e potranno facilmente contrattaccare, interrompendo subito la catena di colpi del nostro personaggio. Inoltre, il più delle volte, i nemici saranno ben protetti dalla maggior parte delle armi, richiedendo una fatica maggiore o l’utilizzo di un’arma non utilizzata spesso e dunque poco conosciuta. Il tutto con un risultato pressoché assicurato di ire funeste contro la PSP, dovute, ad esempio, ad una sconfitta maturata dopo aver compiuto per 9/10 la missione, solo perché quattro ufficiali hanno continuato ad attaccare contemporaneamente, bloccando l’uso degli oggetti curativi e impedendo ogni via di fuga, per la terza volta. Momenti da ricordare per anni.

Qualcosa di buono c’è

In mezzo ai numerosi difetti del battle system, esiste qualcosa di buono: il multiplayer. Dynasty Warriors Strikeforce è stato realizzato per un’esperienza multigiocatore, da due utenti in su. Dalla propria city, collegandosi ad hoc o in rete con altri compagni, è possibile accedere alla modalità online e proseguire l’avventura con l’aiuto di altri guerrieri (fino a 4 contemporaneamente); è questa la vera modalità principale del gioco. Le impossibili e logoranti missioni in singolo diventano divertenti e appaganti sfide grazie all’aiuto di anche un solo compagno: i nemici si dividono, l’attenzione degli avversari si rivolge alternativamente ad uno dei due giocatori e la vita per ciascuno di questi ultimi diventa davvero facile. Nella città online, le missioni disponibili si limitano a quelle sbloccate dal giocatore più indietro con la storia: dopo averle realizzate in multiplayer, però, si ritroveranno già completate anche tornando nella città offline. Dunque l’unico metodo per superare le sfide più ardue diventa proprio quello di formare una strike force online che possa sopraffare i nemici molto più facilmente di come l’unico personaggio avrebbe potuto fare. Anche scambiare oggetti e materiali diventa importante, soprattutto quando alcuni di questi, ormai obsoleti per un giocatore giunto al capitolo 5, si rivelano estremamente rari per chi si trova ancora bloccato qualche capitolo più indietro.
In multiplayer, dunque, questo titolo raggiunge il massimo del suo rendimento, sebbene presenti qualche problema di lag e i normali limiti legati alla possibilità o meno di trovare qualcuno online.
 


In tre (modalità multiplayer) per sconfiggere Lu Bu,
uno dei più grandi combattenti di Dynasty Warriors

In definitiva

Questo Dynasty Warriors è il capitolo più irritante, fastidioso, mal calibrato, stupidamente difficile, ostico e lento dei tre usciti su PSP, forse dell’intera serie; tecnicamente il migliore dei portatili, dotato di un multiplayer completo e semplice da usare, diventa impossibile, esageratamente esasperante, logorante e sgradevole in singolo. Se nella propria cerchia di amici si hanno diversi appassionati di Dynasty Warriors vale davvero la pena prenderlo, il divertimento sarà assicurato; ma da soli sarebbe preferibile evitarlo, almeno per scongiurare scatti d’ira che potrebbero attentare all’incolumità della vostra console portatile.

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