God of War: Chains of Olympus HD – Recensione God of War: Chains of Olympus

E tutto iniziò così…?

Dopo i due capolavori usciti su PS2, Ready at Dawn torna a raccontare le gesta dell’eroico fantasma di Sparta, stavolta sulla piccola di casa Sony, tendenza che ormai ha conquistato diverse produzioni. Nell’estenuante attesa per il terzo apocalittico capitolo della saga “madre”, i fan di Kratos potranno soddisfarsi almeno in parte gustando questo piccolo ma saporito prequel. La nascita del fantasma di Sparta diviene un mito che tutti avrebbero desiderato vivere passo dopo passo, in un capitolo pienamente dedicato ad essa; chi aspettava questo rimarrà però deluso, perché ancora una volta osserveremo le imprese di un Kratos già servo degli dei e in preda ai propri incubi.

La scomparsa del sole

Obiettivo principale di quest’avventura del fantasma di Sparta è recuperare Elio, il sole, strappato dal cielo. Con la scomparsa della luce solare, il mondo intero, l’Olimpo e gli dei con esso cadono in preda alla morsa di Morfeo, che si ritrova così ad esercitare un potere quasi assoluto. Ma ecco il primo difetto di questa storia, che si ripeterà anche successivamente: la mancanza di chiarezza. Che sia dovuta ad una errata traduzione in italiano o ai produttori stessi, la confusione che colpisce il giocatore in alcune parti del gioco compromette la comprensione dell’intera trama. A cominciare da questo passaggio iniziale, Atena, rivelandosi a Kratos, non esprime bene la situazione attuale: gli dei sono sì sotto la morsa di Morfeo, ma rimane un mistero se con questa frase si riferisse a Morfeo in quanto dio o in quanto “sonno”. Ad ogni modo, Kratos viene costretto a recuperare lo scudo del sole e a risvegliare i destrieri del fuoco, che trascinano il carro infuocato sino negli inferi. Per la terza volta dunque (o meglio, la prima, considerando l’ordine cronologico della saga) Kratos finisce negli inferi, stavolta da vivo. Caduto dal carro che si era indebolito nel regno di Ade, Kratos nota che il sole è proprio nell’oltretomba e si irradia tutto attorno. La meta diviene il pilastro del mondo, in cima al quale si scorge Elio. Per raggiungerlo però, il fantasma di Sparta è costretto a battersi contro un altro servo degli dei, anch’esso pieno di odio verso la casta privilegiata degli immortali: Caronte, il traghettatore degli Inferi. Questi getta Kratos negli abissi del tartaro, dove l’eroe vede per la prima volta Atlante, incatenato. Recuperato il guanto di Zeus, un’arma dal potere distruttivo, Kratos fa in tempo a vedere le catene spezzate di Atlante, che è stato liberato, per poi ritornare, turbato e allo stesso tempo irato, negli Inferi. Sconfitto Caronte grazie al guanto di Zeus, Kratos si dirige verso l’altra sponda. Qui la trama un po’ fiacca dell’intero gioco subisce un notevole rialzo, raggiungendo un’intensità degna della serie. Per tutto il gioco il fantasma di Sparta aveva udito, di tanto in tanto, una strana melodia a lui familiare, fino a ricordarla definitivamente: era la melodia che sua figlia, Calliope, suonava con il flauto costruito dal padre stesso. E adesso Calliope si trovava lì, nella sponda verso la quale Kratos si stava dirigendo. Vedendola, il servo degli dei dimentica il suo vero compito e corre ad inseguirla. Casualmente però, finisce con l’arrivare alle porte dei Campi Elisi, dove ad aspettarlo v’è la dea Persefone. Essa spiega a Kratos che l’unico modo di rivedere sua figlia è purificarsi dai peccati commessi, ma anche che questa scelta avrebbe significato il male dell’umanità. Di fronte a questa scelta Kratos rivela la sua vera indole di ribelle, e la rabbia contro gli dei, che continuavano a non accontentare le richieste dello spartano, non poté far altro che dargli ancora più determinazione. Così, di fronte all’albero desolato, Kratos si spoglia dei propri peccati, perdendo le spade del caos e le ceneri della propria famiglia. Purificato, ottiene l’accesso ai campi elisi, dove può finalmente ricongiungersi alla figlia.

L’odio verso gli dei e il preludio alla ribellione

Ma proprio nel momento in cui Kratos ha finalmente ottenuto la giusta ricompensa per i servizi e i sacrifici offerti agli dei durante la sua vita, sono gli stessi dei a strappargli nuovamente sua figlia. Nei campi elisi, Persefone rivela a Kratos una verità totalmente diversa da quella conosciuta dallo spartano, che d’improvviso vede la vita della figlia in profondo pericolo. In questo momento, i sentimenti di Kratos vengono esposti con grandissima profondità, in un momento di suspance precedente alla sua scelta, ma allo stesso tempo di compassione per quello che si prevede sarà il destino dell’eroe: l’intensità della situazione diviene quasi un peso insopportabile per il giocatore, che può percepire le sensazioni di un padre costretto ad abbandonare per sempre quanto di più importante c’è per lui e tutto per colpa degli dei! La scelta di Kratos è quanto mai sofferta, ma è l’unica che possa fare, l’unica in grado di salvare la propria figlia: rimanere con lei avrebbe significato la fine sua e del mondo intero. Kratos allora ritorna ad essere il fantasma di Sparta, costretto ad eliminare le anime dei Campi Elisi di fronte a sua figlia, che lo vede nella sua versione più crudele e spietata. Solo così però può recuperare le sue armi e la sua vera forza per far fronte al nemico: dalle espressioni (perfettamente rese dagli sviluppatori, con un lavoro magistrale) é possibile sentire il cuore di Kratos, spezzato e gemente, costretto a sopportare l’orribile spettacolo mostrato alla propria figlia, più doloroso per lui che per lei. Fino alla fine Calliope implora al padre di rimanere con lei, e ogni volta Kratos è costretto a mostrare una determinazione e una forza di volontà immense per continuare verso la strada scelta (malvolentieri). Solo adesso diviene finalmente chiaro e pienamente comprensibile tutto l’odio che Kratos prova verso gli dei e il suo desiderio di terminare le proprie sofferenze visto nel primo capitolo della saga: è ormai un uomo senza speranze, afflitto dai propri incubi e dai propri peccati, pervaso da un profondo desiderio di vendetta che solo in futuro diverrà una volontà realizzabile, ma che per adesso non fa altro che spingerlo verso la resa. Con Chains of Olympus, Kratos riacquista tutta la sua umanità, mostrandosi in tutto il suo affetto per la figlia: la crudeltà e la spietatezza che lo hanno reso famoso si risolvono nel conflitto che lo obbliga a rinunciare a lei per “salvarla”: solo da quel momento Kratos diviene realmente il fantasma di Sparta che tutti conoscono, senza amore, senza ragione, senza pietà.

Bello, però..

Il finale di Chain of Olympus risolve in sé tante cose e dona al gioco un carattere che gli era mancato sino ad allora. Ma rimane comunque una domanda: era stato davvero il dio del sonno a strappare Elio dal cielo? Atena fa capire di sì, ma Persefone dice il contrario. Inoltre un tradimento così importante da parte di Morfeo non poteva rimanere impunito una volta che l’Olimpo fosse tornato alla normalità. Non si capisce bene dunque l’effettivo ruolo di Morfeo (in quanto dio) in queste vicende, anche perché tutto lascia pensare che si sia trattata di una svista da parte degli dei e che a manovrare tutto sin dall’inizio siano state altre figure. E’ anche strano che la regina dei morti abbia portato l’unico mortale in grado di sconfiggerla proprio di fronte a sé nel momento finale, mandando tutto a monte. Evitata la purificazione di Kratos, quest’ultimo non avrebbe mai potuto accedere ai campi elisi, perdendo così l’occasione di intervenire. Ad ogni modo, la perplessità più grande è dettata dalla scelta principale degli sviluppatori: perché non è stata affrontata la nascita del fantasma di Sparta? Per quale motivo ancora una volta gli inizi del mito sono stati lasciati ai racconti e si è preferita una trama già avanzata, che tra l’altro solo in conclusione assume quel pathos al quale siamo stati abituati dalla serie? Il conflitto di Kratos con il proprio passato e con gli dei è un argomento perfettamente affrontato nel finale di gioco, ma non si può dire lo stesso per tutto il resto. Sino all’arrivo negli Inferi la trama si dimostra alquanto fiacca, con delle connessioni affrettate e mal realizzate. Il dungeon del tempio di Elio porta via oltre metà gioco (che non è un’enormità, considerando la longevità ridicola) e non offre niente di speciale. Due dei quattro boss totali sono il comandante persiano e il basilisco, nemici senza alcuna caratterizzazione; Atlante viene mostrato a conti fatti come un burattino senza forza, buono solo ad eseguire gli ordini di Persefone e quest’ultima ha una motivazione fin troppo futile per giustificare il caos che si apprestava a scatenare.
Pregi e difetti dunque, per un capitolo che non compromette l’intera saga ma lascia un po’ a desiderare, anche a causa delle enormi aspettative che aveva creato.

Non ha nulla da invidiare

Riguardo la realizzazione tecnica di Chains of Olympus, le aspettative sono state invece perfettamente rispettate. La grafica non ha nulla da invidiare a quella del primo capitolo per PS2, con una definizione dei video e in-game praticamente identica. E’ tuttavia impossibile rendere proprio tutto alla perfezione, perché per quanto potente, la piccola PSPortable non raggiunge la potenza della gemella di casa. La minore memoria a disposizione infatti viene fuori nelle situazioni più caotiche o “pesanti” da caricare, causando fastidiosi rallentamenti o addirittura pause di caricamento lunghi qualche secondo; oltre questo, l’unico difetto da notare riguarda le sequenze video che potrebbero di tanto in tanto essere vittime di saltellamenti, con ritorni di immagine che danno qualche fastidio. Non è però la fine del mondo: fermandoci a pensare, questi piccoli difettucci sono un prezzo ampiamente pagabile per godersi una riproduzione tecnica fedelissima a quella per console fissa, frutto di un lavoro davvero ammirabile. Il sistema di gioco è anch’esso tale e quale, niente di più o di meno, anche se le caratteristiche dei colpi limitano ampiamente la scelta delle mosse. I colpi veramente utili sono uno o due per arma, da ridurre ulteriormente perché, in tutta sincerità, una volta ottenuto il guanto di Zeus le spade del caos diverranno più che inutili. Le magie, anche se con nomi diversi, si basano sul modello di quelle presenti nel primo God of War, così come le abilità e l’intera struttura del gioco. Insomma, sul piano tecnico Chains of Olympus è una perfetta copia di God of War I portata su PSP, con grafica, sonoro, livelli di difficoltà e sistema di gioco identici: sicuramente un ottimo risultato per PSP e Ready at Dawn.

Non a tutti però potrebbe piacere questa eccessiva somiglianza, criticando la totale assenza di elementi nuovi che potrebbe rendere il gioco monotono ai veterani della saga. Inoltre la maggiore (e fin troppo importante) pecca di questo titolo è la sua durata, davvero infima: anche alle modalità più difficili, proseguendo normalmente, il gioco non ruberà mai più di sei ore, richiedendone al massimo quattro se lo si affronta a livelli più bassi. E’ un titolo che si può finire in un pomeriggio o al massimo in due o tre giorni di gioco non troppo impegnato e questo sfavorisce il rapporto qualità/prezzo. Pur essendo valido ed uno dei migliori titoli per PSP, con una trama così breve non può soddisfare pienamente gli utenti che spendono non poco denaro per giocarlo. I bonus nella sezione tesori, fra cui le sfide di Ade o i livelli e i filmati persi, non bastano a riempire una lacuna così grande quale è la durata del gioco. Tanti bei pregi dunque, ma anche qualche importante difetto, nella prima avventura di Kratos, il fantasma di Sparta.

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