Grim Fandango – Recensione Grim Fandango

Il debutto della terza D

Anno Domini 1998. Un uomo, Tim Schafer. Una casa di produzione, la Lucasarts. Una creatura: Grim Fandango.
Erano anni duri per le avventure grafiche: “solo” otto anni prima il genere aveva raggiunto il suo culmine. Ma otto anni sono lunghi per un settore in crescita come quello videoludico. Sui computer e sulle prime console nasceva qualcosa che poco tempo prima sembrava pura utopia: la terza dimensione, che conferiva ai nuovi videogiochi un’immedesimazione ben maggiore di quella offerta dai vecchi 2D.
Eppure qualcosa successe. Qualcosa di incredibile vide la luce, ovvero la prima avventura grafica in 3D, Grim Fandango appunto: parto della mente di Tim Schafer, distribuita dalla casa di produzione che aveva ospitato i capolavori più illustri del genere, tra cui le saghe di “Monkey Island” e di “Day of the Tentacle”, e probabilmente la migliore avventura grafica in 3D fino ai giorni d’oggi.

Nel mezzo del cammin di nostra morte

Correva l’anno 1308, quando un certo Dante Alighieri iniziava il suo viaggio periglioso per raggiungere l’inferno, il purgatorio e il paradiso, rigorosamente a piedi.
Sono passati molti anni, e, inutile dirlo, le cose sono cambiate per i viandanti del non ritorno. Già, ma in che anno siamo? Da come è vestito quel signore si direbbe l’America degli anni ’30.
Quel signore è Manny Calavera, impiegato del DDM (Dipartimento Della Morte), e il suo compito è appunto provvedere a che il nostro viaggio sia meno…noioso!! Come ci insegna la tradizione spagnola, infatti, un’anima deve vagare per 4 lunghi anni prima di raggiungere il Nono Aldilà (o paradiso, che dir si voglia). Grazie ai soldi con cui si è stati seppelliti, e ad una vita abbastanza retta, ci si possono permettere mezzi più rapidi per giungere a destinazione: una nave, un aereo, un bastone da passeggio, fino al Numero Nove, treno che impiega quattro minuti per compiere il tragitto, e per il quale si deve essere stati oscenamente buoni.
Al vecchio Manny però le cose non vanno molto bene: costretto a lavorare al DDM, che è in fondo un’agenzia di viaggi, per saldare un debito sconosciuto, pur avendo un dono impareggiabile per gli affari, si ritrova a passare da un caso disperato all’altro, mentre il suo collega Domino si fa la bella vita con i clienti migliori e si appresta a salire egli stesso sul Numero Nove. Arriva però il giorno in cui Manny decide di dare una svolta alla sua vita: “Ho bisogno di un SANTO…sì, ho bisogno di un santo RICCO e DEFUNTO!” e dato che da solo non arriva, tramite un raggiro ne “prende in prestito” uno dal suo caro collega. “E’ fatta”, pensa, mentre la cliente, la dolce e gentile Mercedes Colomar, si agita nervosa sulla sedia dell’ufficio di lui, e quindi controlla il suo terminale per scoprire che alla gentil donzella spetta, o meglio, NON spetta NIENTE!!
Inizia così un viaggio lungo 4 anni nella Terra dei Morti, tra personaggi assurdi e ambientazioni noir, per scoprire cosa c’è di marcio nel DDM e chi muove le redini della truffa alle anime.

Nel noir dipinto di noir

Come già detto prima il videogioco sfoggia in anteprima assoluta per il genere la terza dimensione: personaggi 3D su ottimi sfondi prerenderizzati, con tanto di filmati in CG. Dal lato dei personaggi, per ovviare alla poca definizione grafica del tempo, sono state attuate scelte stilistiche molto azzeccate, per le quali i personaggi sono di ottima fattura, anche se stilizzati: per i teschi? Basta un cilindro. La mascella? E a che serve? Basta una bocca squadrata, ed ecco fatto: gli scheletrici personaggi che abitano l’aldilà sono estremamente piacevoli a vedersi e vari tra di loro, per non parlare dei demoni e delle altre strambe creature che popolano la terra dei morti: enormi spiriti-meccanici d’officina, temibili castori fiammeggianti, robuste api operaie (da cantiere navale), enormi gatti da corsa e così via. Gli sfondi non sono da meno: disegnati con maestria, presentano una grande varietà di luoghi, da fondali marini a uffici, da deserti a montagne, tutti con una sfumatura latino americana tuffata nel Noir anni ’30.
C’è da dire però che le compenetrazioni tra poligoni sono all’ordine del giorno, e capiterà di vedere il vecchio Manny infilarsi una mano nel torace per prendere un oggetto, ma la cosa non disturberà più di tanto gli amanti del genere.

Requiem, maestro

Per quanto riguarda il sonoro i commenti non possono che essere positivi: dall’ottimo doppiaggio italiano, che purtroppo non conserva il marcato accento messicano del doppiaggio originale, alle musiche d’atmosfera e ambientazione: ogni traccia musicale calza come un guanto gli scenari e le situazioni del gioco: una musica sofisticata per il club esclusivo, qualcosa di vertiginoso per la camminata sui cornicioni, e il risultato si sente veramente.

I (don’t) like moving it

Arriviamo quindi all’unico, VERO punto dolente di questo gioco: i controlli.
Sebbene il più delle volte non sia necessario compiere movimenti precisi all’interno del gioco, è impossibile non notare la fatica necessaria a spostare il protagonista. Gli unici due spostamenti diretti, infatti, sono “avanti” e “indietro”: per le direzioni intermedie ci pensano le frecce destra e sinistra, che però invece di spostare il personaggio direttamente verso destra o sinistra lo faranno lentamente ruotare, costringendo il giocatore a compiere curiose orbite ellittiche per assestare la direzione. In questo modo può capitare di infilarsi per sbaglio in passaggi indesiderati e dover fare avanti e indietro alcune volte. I restanti comandi sono invece normalmente funzionali: per prendere un oggetto basta premere “p” o “invio” nel momento in cui Manny volgerà la testa nella sua direzione, e per riutilizzarlo si entra con “i” nell’inventario (l’infinita tasca interna della giacca di Manny) e poi si fanno “sfilare” gli oggetti in ordine di raccoglimento, cosa che escluderà però una qualsivoglia interazione tra gli oggetti all’interno della giacca.

Morale della favola?

Grim Fandango resta una delle migliori avventure grafiche di sempre, e probabilmente la migliore tra quelle in tre dimensioni; come primo esperimento ottiene ben oltre che la mera sufficienza, sorvolando sui controlli a volte scomodi e qualche lieve pecca grafica dovuta a un utilizzo ancora inesperto della grafica 3D.

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