Koudelka – Recensione Koudelka

Koudelka” è il titolo RPG d’esordio di Sacnoth, team di sviluppo capeggiato dal compositore Hiroki Kikuta (Secret of Mana), – e composto da numerosi ex membri dello staff Square dei tempi d’oro – conosciuto dai più per il titolo portato qualche anno più tardi su PS2: Shadow Hearts. Benché molti non ricordino le gesta della procace protagonista – o meglio, non le conoscono affatto – , Koudelka ha il merito di aver introdotto all’utenza RPG gamer Psone un’avventura matura e dalle tinte orrorifiche, assoluta novità nella videoludoteca della grigia console a 32bit, se non consideriamo il cinematografico Parasite Eve di Square. Tacciato di flop dalla critica occidentale per alcune scelte di gamedesign disdicevoli, il titolo s’è ritagliato un posto d’onore nella collezione degli RPG Gamers più accaniti grazie alla sua rarità, gettando inoltre le basi narrative del più noto Shadow Hearts che da lì a poco avrebbe fatto capolino sul più performante monolito nero Sony.

Una medium, un prete e un avventuriero

“31 Ottobre 1898, quale giornata più indicata per avventurarsi nel monastero di Nementon, il quale si dice maledetto e addirittura infestato da creature demoniache?”
Devono aver pensato questo i tre protagonisti del titolo: la bella medium Koudelka Lasant, il biondo e spavaldo avventuriero Edward Plunkett e l’inviato del vaticano James O’Flaherty.
La narrazione di Koudelka ci spinge all’interno dell’unica location dell’intero titolo, il monastero di Nementon, e la sceneggiatura, eccezione fatta per la componente esoterica, è forse una delle maggiormente credibili che abbiamo mai avuto modo di apprezzare. A differenza della stragrande maggioranza dei brand dedicati al genere, infatti, Koudelka non vuole mettere i giocatori nei panni di un gruppo di avventurieri in un mondo fatato, tanto meno raccontare le eroiche gesta di tre persone dotate di poteri sovrumani, bensì soffermarsi sulle tre personalità impegnate, durante la notte del 31 ottobre 1898 in Galles, nell’esplorazione del monastero di Nementon, chiudendo l’arco narrativo dell’intero titolo nel giro di qualche ora. I tre, spinti da motivi personali del tutto svincolati l’uno dall’altro, finiscono per incrociarsi nelle buie e ansiogene stanze dell’antica costruzione britannica, formando il party di personaggi più mal assortito degli ultimi anni. I protagonisti non condividono nulla se non la stessa fragilità terrena, e spesso finiscono per litigare tra loro per motivi futili dettati dalle loro profonde differenze caratteriali. Una cronaca dettagliata e appassionante di tre individui profondamente diversi, finemente caratterizzati, umani e credibili nei loro scambi di battute e nelle motivazioni personali che li spingono all’avventura: quando mai vi è capitato di incappare, nell’ambito videoludico, in una dialogo fra due protagonisti impegnati in un diverbio che li vede confrontare i propri gusti nell’ambito poetico?
Ed è proprio il punto forte di Koudelka questa atmosfera macabra e verosimile permeante l’intera produzione, quasi trasposizione videoludica dei sentimenti letterari Lovecraftiani, rendendola unica e inimitata nel panorama videoludico Psone. Un romanzo interattivo dalle tinte noir-goticheggianti, capace di far breccia nel cuore dei giocatori dai gusti più esigenti; senza ombra di dubbio una produzione sfortunata, sulla quale i più si sono scagliati sottolineandone gli indubbi difetti e valorizzando con meno passione i pregi altrettanto presenti del comparto narrativo.
L’avventura, nonostante si sviluppi su ben 4 dischi, ha una durata irrisoria di 10-15 ore, con una replay value medio-basso. Il gioco presenta sì due finali (più un terzo che mette fine all’avventura prematuramente), ma questi non contemplano alcuna richiesta particolare sul fronte del gameplay: bad e good ending si basano sul successo effettivo o meno dello scontro con il nemico finale.

Ma ogni rosa ha le sue spine

Tristemente, eccoci arrivati a dover analizzare il lato puramente videoludico dell’opera. Tristemente proprio perché qui il titolo segna diversi passi falsi e si guadagna automaticamente la nomea di “occasione mancata”.
Senza ombra di dubbio, Koudelka aveva dalla sua un grosso potenziale, almeno sulla carta. Il team di sviluppo impegnato, sebbene fosse alla sua prima opera sotto il nome di Sacnoth, proveniva in gran massa dagli studi Squaresoft (oggi, Squarenix). L’hype, all’epoca, era alle stelle, e le indiscrezioni volevano il titolo capace di immergere il giocatore in una nuova dimensione videoludica a metà fra il survival horror game e il gioco di ruolo, e il carisma della bella Koudelka, così come il suo provocante character design, aveva quasi convinto l’opinione pubblica sull’effettiva qualità della produzione.
Ma a conti fatti, Koudelka si pone a metà fra il Survival Horror game, il classico gioco di ruolo e il gioco di ruolo tattico: una miscela di generi fra i più apprezzati nel paese del Sol Levante. L’esplorazione avviene su sfondi bidimensionali pre-renderizzati, esattamente come nei Final Fantasy per 32bit Sony, mentre i combattimenti – di natura casuale – ci vedono al comando del gruppo di protagonisti posti su un piano tridimensionale diviso a scacchiera 5×5. Gli scontri, classicamente a turni, sono strutturati esattamente come in un videogioco tattico, e ci danno la possibilità di muoverci su un numero limitato di caselle e di colpire l’avversario previo l’avvicinamento di questi ai protagonisti. Il sistema di crescita dei personaggi lascia grande spazio alla personalizzazione di questi da parte del giocatore, sebbene ogni protagonista sia ampiamente portato per un determinato ruolo (nel gergo, “Tank”, “Healer”, ecc.). Se il titolo fosse stato sviluppato con maggiore cura, il mix di atmosfere e di generi avrebbe potuto inaugurare un nuovo filone ruolistico e, probabilmente, la nascita di un nuovo brand di successo. Tuttavia, sebbene il titolo sia stato più volte posticipato, il gioco è pieno di imprecisioni, trascuratezze tecniche e diverse falle al game design.
L’esplorazione ricorda molto da vicino Resident Evil, ma la calibrazione delle collisioni fra modelli poligonali 3D e punti ciechi dello sfondo bidimensionale è ridicola. Capita spesso di finire bloccati fra due spigoli virtuali del tutto invisibili, o di non riuscire a capire cosa è visualizzato su schermo a causa dell’altra compressione degli sfondi e della loro scarsa luminosità. Un’altra scelta infelice è quella di obbligare il giocatore a premere ripetutamente il tasto azione per scendere e salire rampe di scale o, e qui non possiamo che stendere un velo pietoso, semplici scalini d’intermezzo fra un’area e l’altra. La mappatura originale del sistema di controllo è inoltre poco funzionale, adibendo al tasto triangolo la funzione di “Corsa” e al tasto X la funzione “Ricerca”; non è quindi possibile, con i settaggi di default, correre e cercare in un ambiente allo stesso tempo. Fortunatamente a questo si può facilmente porre rimedio attraverso le opzioni. Inoltre, in pieno 2000, il gioco non prevede compatibilità con le comodissime levette analogiche del dualshock.  L’encounter rate del gioco è medio-basso, è possibile esplorare le mappe che compongono il monastero maledetto senza essere troppo tediati dai combattimenti casuali che, in questo specifico caso, non sono solo fastidiosi ma anche spropositatamente lunghi. Secondo Sacnoth, il gioco doveva riuscire ad appassionare non solo l’utenza tipica delle produzioni ruolistiche nipponiche ma anche chi, totalmente nuovo al genere, poteva essere interessato al taglio maturo delle vicende trattate dal titolo. Per questo, l’esperienza di gioco è caratterizzata da una difficoltà bassissima alle battute iniziali, assumendo improvvisamente una ripida ascesa della curva di apprendimento con il prosieguo del gioco. Come accennato in precedenza, in Koudelka gli scontri sono inutilmente allungati a causa di tempi di caricamento inspiegabilmente eterni.
Il tutto causato da una scarsa ottimizzazione del codice di gioco e del motore grafico che arranca nel dover caricare modelli poligonali dei protagonisti dopo ogni azione (per motivi scenografici, durante un incantesimo o un attacco nemico diverso da quello fisico, tutti i modelli poligonali degli individui impegnati nel combattimento, ad eccezione dei due contemplati dall’azione in corso, spariscono per poi essere caricati nuovamente alla fine dell’animazione). Un’altra feature mal implementata nel titolo è quella che dovrebbe sottolineare la natura ibrida fra survival horror ed RPG: le armi deteriorabili. Tutte le armi disponibili nel gioco, che si dividono in categorie diverse, si possono rompere da un momento all’altro senza preavviso: non vi è alcuna barra, alcuna statistica che indichi la resistenza dell’oggetto, e l’unico modo per equipaggiare a dovere i nostri protagonisti di un armamentario di tutto punto è, paradossalmente, combattere. Non esistono negozi all’interno del monastero, e l’unico modo per appropriarsi di equipaggiamento nelle fasi avanzate è quello di combattere sperando che i nemici lascino a terra, una volta sconfitti, oggetti lenitivi ed equipaggiamento. Anche l’interessante possibilità di poter personalizzare le caratteristiche dei personaggi si rivela un’arma a doppio taglio: se da una parte potrà far la felicità dei maniaci delle statistiche e dei numeri, dall’altra il sistema di gioco, sbilanciato a favore della magia, renderà del tutto inutile una qualsivoglia strategia personale del giocatore, rendendo più funzionale all’esperienza di gioco uno sviluppo pilotato a favore delle arti magiche. Incredibilmente, il gioco presenta una serie di stanze di soft-save dalle quali ripartire in caso di morte prematura, una feature francamente apprezzabile in un mare di idee positive ma mal espresse. Koudelka pecca nel game design, non ci sono alcune scusanti a questo se non la relativa inesperienza del team Sacnoth dell’epoca, e, sebbene gli sviluppatori abbiano insieme un mucchio di idee molto interessanti, l’esecuzione tecnica di queste risulta in una sola parola: fallimentare.

1989, 31th october

Nonostante i numerosi difetti nel comparto prettamente ludico del titolo, Koudelka si presenta come un gioco niente male dal punto di vista grafico. I FMVs che compongono la storia, a partire da quello d’introduzione, sono ben realizzati (Square docet?), così come i modelli poligonali dei personaggi e gli sfondi bidimensionali pre-renderizzati.
Il monster design è superbo, rende molto bene le atmosfere malate del titolo e non fa altro che caratterizzare ulteriormente un brand già di per sé più che convincente dal mero lato narrativo-ambientale. Tuttavia, non è possibile soprassedere ai terribili caricamenti che caratterizzano tutta l’opera, specie nei combattimenti, che minano così l’esperienza di gioco in toto: avremmo rinunciato con piacere alle cutscenes COMPLETAMENTE realizzate con grafica in-game e animate in motion capture da attori, a favore di una migliore ottimizzazione del codice di gioco e del motore grafico in generale. Inaspettatamente, la colonna sonora, realizzata dal precedentemente nominato Hiroki Kikuta, è quasi completamente assente durante l’esplorazione – forse per scelta stilistica –, per risuonare prepotentemente durante gli scontri e i FMVs dedicati alla narrazione. Lo stile di Kikuta, però, sembra calzare maggiormente ad un RPG di stampo classico piuttosto che alle atmosfere lugubri e malate dell’universo di Koudelka, e i brani (sporadici) che accompagnano gli scontri risultano quasi immediatamente fuori luogo e dimenticabili.
Plauso agli sviluppatori, invece, per la recitazione dei doppiatori: la versione PAL-ITA del gioco è COMPLETAMENTE localizzata in italiano e i dialoghi fra i personaggi sono tutti recitati (a volte con troppa enfasi). Scelta di localizzazione forse opinabile in quanto persino la versione nipponica presentava doppiaggio completamente anglosassone per rispettare il setting originario dell’opera, ambientata in Galles, ma comunque apprezzabile dall’utenza italiana.

Koudelka è potenziale inespresso. Tutte le ottime idee che potevano riportare gli RPG contaminati da survival horror ai fasti del mai troppo lodato “Sweet Home” per NES, sono mal implementate in un sistema di gioco che pecca non tanto nell’ottimizzazione tecnica quanto nel game design alla base di questo. Ci sono tante cose positive e apprezzabili nel primo titolo Sacnoth, ma il ruolo che ci spetta è quello di critica e in quanto tale non possiamo soprassedere a quello che è il nostro compito: bocciare una produzione fallimentare sotto il piano prettamente videoludico. Troppo semplice per un giocatore dedito ai tattici, troppo difficile per uno appassionato per i survival horror; un mezzo flop che avrebbe potuto brillare sotto la guida di un team maggiormente avvezzo alla programmazione.

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