Omicidio Ferrara: basta dare ancora la colpa ai videogiochi

L’opinione pubblica italiana è stata recentemente scossa dall’omicidio dei coniugi Vincelli, avvenuto lo scorso 10 gennaio nel ferrarese, a opera di Manuel, pagato dal figlio Riccardo. I fattori che turbano gli animi degli italiani sono molteplici: la giovane età degli assassini, il cinismo nell’uccidere i due coniugi, riassumibile con la somma dei mille euro promessi da Riccardo a Manuel per fargli compiere l’omicidio, il crollo dell’autorità genitoriale, la droga e, ovviamente, i videogiochi.
Ovviamente perché? La risposta è semplice: spesso, nella stampa generalista, i videogiochi vengono accostati alla violenza, all’isolamento sociale, alle devianze psichiche. Quindi, a malincuore, gli appassionati si aspettavano l’ennesima campagna denigratoria contro il mezzo videoludico, tant’è che, nemmeno qualche giorno dopo l’esplosione del caso, i quotidiani principali (Corriere della Sera, Il Giornale, e anche Vanity Fair)  hanno per titolo il trittico “i videogiochi, il bar, gli spinelli”.

 

Gli articoli delle riviste citate presentano tutti la stessa struttura: un’analisi pessimistica e melensa sulla vita condotta dai due adolescenti, la quale trascorreva vuota, scandita da partite alla PlayStation e Xbox sino a notte fonda, spinelli, e chiacchiere al bar. Un’esistenza priva di quella vitalità che dovrebbe essere tipica durante questa fase di crescita.
In questo caso, i videogiochi non vengono indicati come oggetto da cui scaturisce l’ira omicida, anche perché non vi è alcuna menzione dei titoli giocati, quindi si può presupporre addirittura che si parli di Fifa che è completamente estraneo alla violenza, ma in questo caso vengono accostati alla droga, in modo tale da enfatizzare l’isolamento e la monotonia cui erano succubi i due giovani.

In questa sede non si commenterà l’episodio di cronaca nera, ma si cercherà di dimostrare come, nel 2017, vedere un atteggiamento del genere nei confronti di un prodotto di massa, come per l’appunto il videogioco, sia degradante e obsoleto. E non perché l’ennesimo appassionato e scrittore del settore, come la sottoscritta, debba dire la sua per un’altrettanto ennesima battaglia contro i mulini a vento, ma perché ci sono dei dati ufficiali che rendono privi di fondamento gli articoli sopracitati, i quali trattano ancora il videogioco come un prodotto di nicchia, riservato all’intrattenimento giovanile.
La realtà è del tutto diversa, dato che l’industria videoludica rappresenta uno dei maggiori settori, superando quello cinematografico, editoriale e televisivo, con un fatturato di 91.5 miliardi di dollari nel 2015, e una previsione di oltre 100 miliardi di dollari nel 2017[1].

Se l’industria videoludica è cresciuta così velocemente è perché si riferisce logicamente a un pubblico vasto: negli Stati Uniti il 49% delle famiglie possiede una o più console in casa[2]. E qual è la situazione in Italia? Partendo sempre dal 2015, sono più di 25 milioni i videogiocatori. Si tratta del 49,7% della popolazione italiana di età superiore a 14 anni, equamente distribuito tra uomini (50%) e donne (50%). Questi sono i dati riportati dall’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani (AESVI). Si tratta di numeri importanti e che sono destinati a crescere, visto il peso che oramai hanno acquisito i videogiochi. Ritenere, dunque, che questi siano un pericolo, un campanello d’allarme di alcuni problemi psichici, sarebbe come accusare metà della popolazione. E questo non è accettabile.

Attacchi del genere appaiono maggiormente demotivanti quando in molti paesi d’Europa il videogioco viene invece sostenuto dai governi, come dimostrato dal celebre caso della Polonia. Infine, ma non per minore importanza, questo tipo di attacchi non aiutano l’industria videoludica italiana, che finalmente è riuscita a ritagliarsi uno spazio nel panorama internazionale, il quale è fortemente competitivo. Potrebbe apparire un dettaglio superfluo, ma per Gamesource ft. VGNetwork è stata una soddisfazione inserire nell’articolo riepilogativo del 2016 la categoria Made in Italy, in cui sono stati premiati i 34bigthings con il loro Redout. Ma i nomi dei team di sviluppo italiani sono tanti, a dimostrazione che anche l’Italia può essere all’avanguardia.

Per tutti questi motivi, se prima era difficile far sentire la propria voce contro queste campagne diffamatorie, adesso diventa obbligatorio non tacere, perché al giorno d’oggi ci sono i fatti, testimoniati da dati e sondaggi ufficiali, che mettono a nudo la fallacia di certe affermazioni. È arrivato il momento che in Italia certe visioni vengano fatte crollare, soprattutto per il bene e per il progresso della società.

[1]http://businesstech.co.za/news/lifestyle/88472/the-biggest-entertainment-markets-in-the-world/
[2] M. W. Kapell – A. B. R. Elliot, Playing with the Past. Digital games and the simulation of history, Bloomsbury Academic, New York, 2013, p. 34.

Ti è piaciuto quello che hai letto? Vuoi mettere le mani su giochi in anteprima, partecipare a eventi esclusivi e scrivere su quello che ti appassiona? Unisciti al nostro staff! Clicca qui per venire a far parte della nostra squadra!

Potrebbe interessarti anche