The Banner Saga – Hands On

The Banner Saga è uno di quei giochi che fatica a non dare nell’occhio: annunciato nel marzo del 2012 e aperto al finanziamento tramite Kickstarter nello stesso mese, ha raggiunto il suo obbiettivo di 100.000 dollari in meno di 24 ore, e chiuso la campagna dopo un mese con ben 723.000 dollari. Con circa un mese d’anticipo rispetto all’uscita nei negozi, noi lo abbiamo provato e siamo pronti a darvi il nostro parere.

Premessa
Prima di tutto: cosa ha spinto circa 20.000 persone ad elargire denaro a tale causa? Che cos’è The Banner Saga?

Occorre dire che The Banner Saga non è realizzato da gente chiunque. Stoic, lo studio di sviluppo, è composto da tre ex-membri di Bioware, i quali, dopo un’esperienza non proprio piacevole nel lavorare a Star Wars: The Old Republic, hanno deciso di cimentarsi in questo progetto molto personale, che abbandona la fantascienza e il fantasy per ispirarsi piuttosto a un tema sicuramente poco frequente: la mitologia norrena.
Abbiamo usato il termine “ispirarsi” di proposito: sebbene l’aspetto del gioco, dei personaggi e delle ambientazioni ricalchi aspetti tipici di tale cultura, non aspettatevi di sentir nominare di Valchirie, Valhalla, Asgard, poiché il gioco non vuole riproporre leggende o altro – sebbene alcuni elementi, come il Ragnarok (la fine del mondo), abbiano una grande influenza all’interno della frastagliata trama.

I fatti
The Banner Saga è principalmente un gioco di ruolo tattico, ma, come avremo modo di vedere, sono molte le influenze derivanti da altri generi. Per chi ha giocato a The Banner Saga: Factions, la componente multiplayer del gioco rilasciata separatamente in forma di free-to-play lo scorso anno, l’inizio sarà molto famigliare: l’introduzione ed il primo combattimento sono infatti i medesimi già visti nel tutorial di Factions.
Passato ciò, si leva il sipario su ciò che non sapevamo. La storia ci vede inizialmente impegnati a guidare alcuni Varl, umanoidi giganti dotati di grandi corna, nel porre fine ad una ribellione all’interno di una città umana.
In queste fasi abbiamo modo di vedere i primi elementi ruolistici: ogni evento prevede che il giocatore attui delle scelte di dialogo che influenzano il corso degli eventi e il rapporto fra i vari personaggi. Le decisioni possono risultare molto pesanti: certe scelte porteranno all’ingresso di nuovi personaggi a discapito di altri, se non addirittura causarne la morte, ponendo già così un forte accento sull’elemento rigiocabilità. Dopo i primi scontri, si esce dalla città e si inizia un lungo viaggio, vero centro della trama, che vede impegnato un esercito di Varl e umani in una missione diplomatica per stringere un’alleanza contro un nemico comune: i Dredge, una razza il cui aspetto li fa apparire uomini fatti di pietra.
Il viaggio è lineare, ma è continuamente intervallato da eventi fatti di scelte e conseguenze, e si ha così modo di scoprire il lato gestionale del gioco: sebbene sembri di assistere ad una sorta di filmato, il movimento dell’esercito sullo schermo fa passare i giorni, ed ogni giorno implica un consumo di risorse. Gli scontri non portano alla morte delle unità direttamente coinvolte in esso, pur mettendo a rischio l’esercito e il suo morale, ma si limitano a renderle ferite per un determinato numero di giorni fino al pieno recupero del proprio parametro di forza.

Questioni tattiche
Anche se i combattimenti non sono mortali, non pensiate che ciò renda il gioco facile. Le dinamiche sono quelle che i giocatori di Factions già conoscono, e sono rimaste essenzialmente invariate. Il combattimento si svolge a turni su un campo a griglia, in cui si dispongono i propri personaggi, dotati ciascuno di una pripria classe e abilità, analogamente a titoli come Final Fantasy Tactics o Fire Emblem, sebbene in modo più semplificato. A differenza di questi titoli, infatti, non c’è una vasta gamma di statistiche su cui scervellarsi, ma la profondità strategica è comunque notevole.
Si vincono facilmente i primi scontri semplicemente attaccando gli avversari senza la minima pianificazione o l’utilizzo di abilità speciali, ma ci si rende presto conto di come ciò non si applichi affatto al resto del gioco, dove ogni mossa deve essere ponderata. Il tipico gioco facile da imparare ma difficile da padroneggiare. Anche i giocatori di Factions rimarranno stupiti, in quanto sono molte le classi non viste nel multiplayer che fanno il loro ingresso nella campagna single-player.

L’aspetto conta
The Banner Saga è uno di quei giochi in cui l’aspetto grafico è fortemente coinvolto nel giudizio – ed è bellissimo. Ha uno stile quasi unico, che pur essendo riconducibile a vecchi film di animazione, ha in sé una grande maturità che riesce a rappresentare molto bene le atmosfere vichinghe del titolo, abbandonando totalmente i cliché che il resto dei giochi del genere riciclano di continuo. La sua unicità si nota anche per un altro motivo: i primi artwork di un gioco generalmente rappresentano modelli concettuali astratti che però si discostano ampiamente dalla versione finale del titolo. Nel caso di Banner Saga, gli artwork iniziali si sono rivelati essere parte integrante del gioco stesso.

Conclusione
Il gioco di Stoic ci ha veramente colpito: il suo fascino trascende i classici parametri con cui si valutano i videogiochi, secondo i quali sarebbe da considerare “semplicemente” un buon gioco di ruolo tattico. Ciò che lo rende speciale è la narrazione matura ed il suo stile fuori dagli schemi, che rendono il giocatore spettatore di eventi che stupiscono di continuo, attraverso una trama bi-direzionale estremamente evocativa. Abbiamo potuto provare un terzo di quello che sarà il gioco finale, che durerà circa 13-14 ore (e che ricordiamo essere solo prima parte di una trilogia), ma ci sentiamo di poter già garantire che sarà un acquisto obbligatorio. The Banner Saga è arte, non c’è altro modo di dirlo.

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