The Elder Scrolls V: Skyrim – Recensione The Elder Scrolls V: Skyrim

Esistono videogiochi in grado di rendere l’utente avulso dalla realtà, e la maggior parte dei titoli che possono vantare questo "pregio" (a seconda di quanto consideriate importante la vita sociale) sono gdr, i quali, per definizione, immedesimano il giocatore in un personaggio e nel suo ruolo all’interno di una vicenda fittizia. Ovviamente ci sono limiti al coinvolgimento, dovuti a vincoli narrativi o di giocabilità, che fanno cadere dalle nuvole e ricordano che siamo di fronte solo a un gioco, ma c’è chi, come Bethesda Softworks, è capace di minimizzare questa barriera.
In ogni episodio della saga The Elder Scrolls si inizia sempre come un perfetto nessuno creato ex-novo secondo la nostra volontà, sbattuti in un mondo fantasy lontano dai canoni tolkeniani e dai crismi di bene e male, liberi di forgiare il nostro destino all’interno di un vasto territorio completamente esplorabile, ed ovviamente il quinto appuntamento non poteva essere diverso. Signore e signori, a voi The Elder Scrolls V: Skyrim.

Benvenuti al nord

Da quando la serie The Elder Scrolls esiste, Tamriel è il continente in cui è ambientato ogni episodio. Chi prima e chi dopo, i giocatori hanno imparato a conoscere (direttamente e non) questo variopinto territorio, suddiviso in regioni dotate ognuna delle proprie peculiarità territoriali, razziali, culturali e sociali. Come suggerisce il titolo stesso, questa volta l’ospite dell’avventura è la fredda e rocciosa terra di Skyrim, la patria della razza umana dei Nord, un popolo che richiama la Scandinavia di altri tempi ed i suoi alti, biondi e fieri abitanti. Uno scenario tanto selvatico ed impervio quanto incantevole e ricco di storia. La vicenda prende atto due secoli dopo la trama di Oblivion, in un momento critico per l’Impero (la principale autorità governativa umana di Tamriel), provato da una recente guerra con il regno elfico degli Aldmer ed impegnata nel contrastare l’insurrezione degli Stormcloaks, una fazione di Nords indipendentisti. Ma la politica non è tutto, poiché vi è qualcos’altro ben poco fazioso che minaccia ogni essere mortale, ovvero il ritorno profetico di creature leggendarie ritenute estinte: i draghi. Ed anche questa volta tocca ad un prigioniero salvare il mondo.
 


Il mondo è nostro

Cronache di Skyrim

Come citato, in ogni episodio di The Elder Scrolls il protagonista parte come prigioniero per ragioni non dette, lasciando liberi di pensare cosa potrebbe aver commesso la propria creazione, di cui si scelgono razza (tra dieci disponibili), sesso e aspetto fisico. Aldilà di come si voglia definire fisicamente e caratterialmente il proprio personaggio, c’è un incipit comune che dà il via al filo portante dalla narrazione, ovvero l’introduzione del gioco. In Skyrim si viene coinvolti in prima persona (letteralmente) all’interno del conflitto tra Impero e indipendentisti, catturati e condannati a morte insieme a una pattuglia di quest’ultimi pur non avendone nulla a che fare. Scortati dentro un piccolo insediamento e raggiunto il patibolo avviene l’imprevedibile: un drago appare e inizia a bruciare ogni cosa, e nella confusione generale il nostro prigioniero deve riuscire a fuggire. In questo frangente il giocatore è chiamato a fare la sua prima scelta all’interno degli eventi: fuggire insieme a un soldato imperiale benevolo oppure insieme ai ribelli. Indipendentemente dalla scelta, una volta scappato grava sul protagonista il compito di testimoniare l’evento alla città più vicina, e da lì in avanti scoprire perché queste creature millenarie ritenute estinte sono tornate a vivere e distruggere, e come fermarle.

 


Appare drago selvatico
 

Ma se come giocatori non volessimo questo? Se non ci interessasse divenire l’unico eroe in grado di sconfiggere i draghi? Nessun problema: per quanto poco sensato sia, niente obbliga a seguire la trama, e siamo liberi di esplorare la regione a nostro piacimento. Scopriremo presto come ogni angolo di Skyrim abbia qualcosa per il quale merita di essere visitato e come ogni insediamento, dalle grandi città ai villaggi più piccoli, siano floride di persone bisognose e mandanti per missioni e avventure – e si parla di centinaia di quest. Preoccupati dalla ripetitività? Non temete: si va dal classico incarico da "fattorino" in cui consegnare qualche oggetto per conto terzi allo svolgere compiti per le divinità finendo anche in luoghi fuori dal piano materiale. Inoltre, il fatto che ogni quest si integri al background del gioco, riuscendo allo stesso tempo ad essere giocata come una mini-storia a sé stante, permette al giocatore di sentirsi piena parte di ogni momento di gioco.
Sono davvero tantissimi gli esempi da fare e per il quale si rischierebbe di protrarsi per pagine e pagine, per ora quindi spostiamo la nostra attenzione sulle meccaniche che muovono il nostro avventuriero.

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