The Witcher 2: Assassins of Kings – Recensione The Witcher 2: Assassins of Kings

Oggi si tende ad inquadrare nel genere dei giochi di ruolo quasi ogni gioco che preveda una forma di sviluppo del protagonista e più missioni/obiettivi/avventure oltre a quella principale. In semantica, ogni prodotto potrebbe essere un potenziale gioco di ruolo, ma la consuetudine, e soprattutto i giocatori "hardcore", restringono nettamente il campo. Detto questo, è facile capire come l’uscita di ogni presunto gdr sia argomento di accanito dibattito, ma una cosa è certa: The Witcher 2 – Assassins of Kings è uno di questi.
Giunto dalla Polonia per mano di CD Projekt Red, il primo The Witcher è stato sorprendentemente in grado di dire la sua in un campo dominato dai titoli AAA delle major americane, grazie ad una trama profonda e matura ispirata dai romanzi di tale Andrzej Sapkowski, autore molto noto nella sua patria ma da noi sconosciuto prima dell’arrivo della trasposizione ludica delle sue opere.

Il suo nome era…

Geralt di Rivia, il Lupo Bianco, il Witcher. Cacciatore di mostri per mestiere, appassionato amante per piacere, reietto per natura. Geralt è un witcher, un cacciatore mutante spadaccino che sfrutta l’alchimia per forgiare il proprio corpo e la magia dei "Segni" per combattere. Un personaggio atipico all’interno di un violento mondo fantasy, che vede gli umani padroni del mondo conosciuto a discapito delle altre razze, ormai sottomesse e declinate; nani ed elfi vivono segregati in ghetti, e coloro che non accettano l’oppressione si nascondono nelle foreste, attentando alla vita dei "dh’oine" (gli umani, in elfico) che si inoltrino nel loro territorio. Gli eventi del precedente episodio hanno portato il witcher a diventare il più fedele suddito di Re Foltest, sovrano di Temeria, ma questo idillio ha breve durata: The Witcher 2 inizia mostrando Geralt imprigionato con l’accusa di aver ucciso il Re che avrebbe dovuto proteggere. Le prime fasi di gioco fanno chiarezza su quanto avvenuto, facendo vivere i flashback dei recenti trascorsi: si scopre così come il riviano sia stato incastrato e trattato come capro espiatorio nel gioco di potere susseguito alla morte del Re. Fuggito dalle prigioni, per protagonista e giocatore inizia un lungo viaggio (circa 40 ore) per trovare il regicida, un percorso dai risvolti sorprendenti e imprevedibili, che portano alla luce congiure ben più alte di quanto si possa immaginare.


L’inizio di una grande avventura

Causa ed effetto

Le scelte rivestono una parte fondamentale del cocktail chiamato The Witcher. Le fazioni in gioco questa volta sono le Bande Blu, il corpo d’elite dell’esercito del defunto Foltest, e gli Scoia’tael, i ribelli elfici già visti in precedenza. Sebbene l’incipit della trama ed il suo filo conduttore siano univoci, il modo in cui giungere al termine dell’avventura dipende dalle decisioni del giocatore, che, come nei gdr di altri tempi, è chiamato a valutare su una base esclusivamente soggettiva: nessun indicatore morale, il gioco non marchia universalmente il Riviano come "buono" o "cattivo". Il peso delle azioni, così come la scelta di schierarsi dalla parte dell’una o dell’altra fazione, cambia radicalmente lo svolgimento, tant’è vero che un intero atto (di tre totali, più introduzione ed epilogo) appare completamente diverso in base allo schieramento deciso. Quanto detto delinea una differenza narrativa rispetto al primo episodio, il quale non vedeva Geralt così in testa agli eventi come qui. Inoltre, tutto il gioco ha subito un processo di raffinamento: sono state ridotte le sub-quest, favorendo la qualità alla quantità, ed eliminando interamente le cosiddette missioni "da fattorino". Ogni missione secondaria porta a scoprire fatti di notevole importanza, portando a conseguenze lungo tutto l’arco dell’avventura e non limitandosi a fornire un pretesto al giocatore per poter guadagnare punti esperienza e trovare nuovi oggetti per l’inventario. Restano invece incontri amorosi e minigiochi per spezzare il ritmo, ovvero dadi, lotta corpo a corpo, e, novità, braccio di ferro.


La dura vita del witcher

In gioco

Il gameplay di The Witcher si basa interamente sul background di Geralt, che, come anticipato, fa leva sulla sua entità di cacciatore/spadaccino/alchimista/pseudo-mago. Il witcher, in quanto tale, usa due spade: una di acciaio, per gli umani, e una d’argento, per i mostri. Oltre a contare sulle sue abilità combattive, si aiuta bevendo pozioni in grado di potenziare l’una o l’altra caratteristica (assumibili entro i limiti della tossicità), nonché usando unguenti per le lame, specifici per l’eliminazione di determinate creature, e, perché no, bombe artigianali, armi da lancio e trappole. Infine la magia dei Segni, poteri di minore entità in grado però di rovesciare le sorti dello scontro, proteggendosi con una barriera dai nemici, oppure respingendoli, incendiandoli, ammaliandoli, intrappolandoli. Fin qui niente di nuovo, ma lo sviluppo e il combattimento sono stati completamente rivisti: la crescita del personaggio non si basa più su talenti assegnabili a ogni singola caratteristica, si suddivide invece in tre vie, ovvero magia, alchimia e spada, a cui poter assegnare punti abilità ogni volta che si sale di livello. Può sembrare restrittivo, ma poiché il giocatore controlla ogni azione del witcher, gli scontri richiedono una continua dinamicità: restare fermi a premere i tasti di attacco (due tipi: rapido e pesante) significa morte certa, quindi bisogna parare, schivare, rotolare e fare continuo affidamento a tutte le capacità del personaggio, con necessità variabile a seconda dell’avversario. Infatti, ogni nemico, mostro o umanoide che sia, ha dei punti deboli e di forza, ed anche il più debole guerriero con spada e scudo può creare difficoltà se non si evita di cozzare contro le sue difese, invece di aggiralo e colpirlo strategicamente. Altri elementi dello sviluppo, oltre l’evidente skill-tree, sono costituiti dalla caratteristiche che Geralt acquisisce da avvenimenti, libri sui mostri e sostanze mutagene – queste ultime combinabili solo con abilità avanzate. Alcune caratteristiche influiscono anche sui dialoghi, in cui potremo tentare di usare il segno Axii per estorcere informazioni, oppure la cara vecchia intimidazione. Gli altri momenti in cui è richiesta l’abilità del giocatore, oltre nei combattimenti e nei minigiochi, sono le fasi furtive (in genera facoltative) nella più classica tradizione del "non fare rumore-nasconditi-colpisci alle spalle", e, inevitabili, i QTE, quick time event, in genere associati a sequenze cinematiche, dove bisogna premere il tasto giusto al momento giusto per non soccombere. Nessuna novità per quanto riguarda l’alchimia, essenzialmente invariata, nuova invece il crafting di armi, trappole e armature, attuabile consegnando materiali, schema di creazione e soldi ad un fabbro, e che va ad aumentare notevolmente il numero di oggetti utilizzabili.

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