What Did I Do to Deserve This, My Lord!? – Recensione Holy Invasion of Privacy, Badman! What Did I Do to Deserve This?

Attenzione. Prima di iniziare a parlare di questo gioco, bisogna innanzitutto chiarire che non si tratta di un titolo normale. Anzi, non è affatto tale. Holy Invasion of Privacy, Badman! What did I do to deserve this? (e se il titolo è già così, immaginate il resto) è una vera e propria sfida, completa di offesa e guanto da duellante. E’ un attacco al proprio orgoglio, un’umiliazione imperdonabile, un vero affronto e la pura ridicolizzazione delle proprie abilità di videogiocatore. Non riuscire a superarlo è una provocazione troppo forte per essere trascurata: una volta provato è obbligatorio finirlo, e con stile.

Tutto questo perché a prima vista si presenta di una semplicità e una banalità così profonde da spingere il giocatore a provare in maniera superficiale il primo approccio: fallito questo tentativo, il secondo diventa più serio, ma anch’esso senza risultati. Si arriva infine a provarci davvero seriamente, impegnandosi e tenendo conto di tutti i fattori spiegati nelle sessioni di allenamento: il problema è che nemmeno in questo caso la vittoria è così semplice. La verità è che questo mini giochino, sinora distribuito solo in Giappone e in America come contenuto scaricabile dal Playstation Store, è davvero difficile, profondo, vasto e impegnativo. Non si è di fronte ad un semplice titolo strategico dove bisogna tenere d’occhio la situazione generale per avere la meglio: qui è necessaria un’abilità non indifferente, una visione di gioco degna del miglior Totti e anche una consistente dose di buona fortuna.

I meccanismi di base sembrano molto semplici, ma sul piano effettivo nulla è come sembra e non basta uno studio superficiale per venirne a capo: non sempre le cause o le conseguenze di alcuni eventi sono comprensibili, neanche studiando a fondo le proprie azioni o i propri nemici.

Ci sono le potenzialità per continuare a giocare per ore, ma anche quelle per dichiararsi sconfitti e frustrati dopo poche sessioni di gioco: tutto dipende soprattutto dal proprio spirito di videogiocatore. Ecco perché Holy Invasion (da adesso chiamato così) è una sfida al proprio orgoglio personale: una competizione che non si può perdere.


I nemici si curano, lanciano magie e hanno HP interminabili: in questa schermata
ne vediamo uno circondato da Lizardmen, Slimemoss, uno scheletro e una porta demoniaca.


Finchè il male non trionferà!

Ebbene sì, il male è il protagonista di questo gioco. La trama, molto, molto scarna e ridotta, non viene mai spiegata praticamente ed è intuibile solo dalle parole e dagli eventi che si incontrano durante i vari stage. Il giocatore impersona un dio distruttore con un piccone, guidato nelle sue imprese scavatrici da un suo fedelissimo seguace, Overlord, signore oscuro. Questa è la vera e propria guida del gioco, che sia nella Modalità Training sia in quella Story (le uniche due, insieme ad un editor piuttosto povero) fornisce un consistente numero di consigli su come affrontare la preparazione ad ogni singolo avversario. Il proprio compito è quello di scavare nel sottosuolo in modo da creare un tunnel labirintico nel quale far nascere e proliferare le proprie perfide creature, basate su due fonti di energia (nutrients e mana) dalle quali possono nascere due categorie di creature (da una parte prettamente fisici, dall’altra magici).

Unità di base sono gli Slimemoss, gelatine verdi che trasportano nutrients, li assorbono dal suolo e li rilasciano in altri blocchi, favorendone la concentrazione. Questi sono l’unità strutturale del sottosuolo: tutto il piano di gioco è diviso in centinaia e centinaia di blocchi scavabili dal giocatore attraverso il suo divino piccone: da ciascuno, a seconda della concentrazione di nutrients in esso, è possibile ottenere Slimemoss o esseri più potenti. E’ possibile scavarli solo a contatto con almeno uno spazio libero (niente picconate isolate dunque, ma un lungo e diramato cunicolo raggiungibile ed esplorabile da chiunque in ogni suo singolo centimetro) e la distruzione di ognuno porta via un’unità di Dig Power: senza di esso, è impossibile scavare. Rivangando il proprio cunicolo si dà vita ai primi Slimemoss (racchiusi nei blocchi circondati da rami): essi possono muoversi secondo schemi predeterminati e favoriscono la concentrazione di nutrients in alcuni quadrati dai quali possono nascere Omnom (larve che cibandosi di Slimemoss si trasformano in farfalle assassine), oppure Lizardmen (coccodrilli umanoidi dotati di scudo e spada).

Ciascun mostro ha le sue caratteristiche tipiche, un certo ammontare di HP, forza e difesa predefinite e alcune capacità speciali (la maggior parte delle volte si riproducono). Dai blocchi (o soil) riempiti di mana, invece, nascono gli Spirits, i quali, similmente agli Slimemoss, sono i portatori standard di mana: essi però non sono presenti di base nel territorio, ma spetta al giocatore farli nascere dai soil adiacenti il cadavere di un eroe sconfitto o da blocchi accanto ai quali è stata utilizzata una magia: la loro presenza è dunque nettamente minore, in corrispondenza della loro maggiore importanza ed efficacia. Riuscendo a sfruttare bene gli Spirits si può dare vita alle Lilith (piccole streghette) o addirittura ai Dragon (ovviamente draghi), anch’essi con caratteristiche uniche. 

L’unica alternativa riguarda i demoni, reclutabili solo se uno dei soil riempito di mana o nutrients (in modo da far nascere un Dragon o un Lizardmen) viene totalmente isolato dagli altri blocchi: rompendolo si apre un “varco dimensionale” che libera il demone e lo porta nel proprio labirinto. La vitalità di questi esseri è sicuramente alta, ma la loro efficacia consiste soprattutto nell’apportare un aumento generale delle difese di ogni proprio mostro presente nel territorio: con il giusto numero di queste creature (magari potenziate), anche una discreta armata può diventare invincibile.

Tutto questo (che non corrisponde nemmeno a metà del gameplay totale) si arricchisce di una importantissima regola superiore: la catena alimentare. Proprio come in un normale ecosistema, anche quello dei mostri oscuri risponde alla regola del più forte che si ciba del più debole. Gli Omnom mangiano gli Slimemoss, trasformandosi o riproducendosi; loro a volta sono prede dei Lizardmen e delle Lilith, con lo stesso obiettivo di sostentamento e riproduzione; gli Spirits vengono assorbiti da Lilith (con lo stesso effetto dei compagni Slimemoss), dagli scheletri (che si potenziano), dai demoni ancora bloccati (che possono evolversi) e da quelli già nati (che aumentano vitalità ed efficacia). Tutto risponde alla logica del più forte e l’importanza di questa regola è vitale per la buona crescita della propria armata: senza saper padroneggiare bene questo elemento, riuscire a risparmiare blocchi (e quindi Dig Power, molto importante) e far proliferare i propri mostri diventa impossibile. Non è proprio così semplice, vero?


Schema perfetto della catena alimentare di Holy Invasion:
i più grandi mangiano i più piccoli.

Stop. Rewind.

Il primo impatto serio con il gioco è traumatico: ci si accorge che i fattori di cui tener conto sono innumerevoli e che non tutto va secondo i propri piani. Il movimento degli Slimemoss, per quanto prevedibile nelle direzioni, non permette di capire quali blocchi finiranno con l’assorbire più nutrients, impedendo così una strategia precisa. La dose di casualità in alcune situazioni è illimitata, non si può calcolare tutto e quel poco che si può preventivare è di difficile comprensione; per riuscire a padroneggiare bene l’intero sistema bisogna sviluppare una serie di automatismi che richiedono decine e decine di sessioni di gioco, se non centinaia.

Per capire bene di cosa si sta parlando bisogna necessariamente simulare qualche stage. All’inizio del primo, il giocatore ha a disposizione una certa quantità di Dig Power (essenziale per scavare) e deve mettersi subito all’opera per la creazione di un regno sotterraneo nel quale far proliferare la sua armata. Dopo poco più di un minuto, senza alcun preavviso o timer definito, il proprio regno viene invaso dal primo paladino. Inizialmente molto debole, basta qualche Slimemoss o un semplice Omnom ad eliminare la minaccia: il “tutorial” è completato. Viene mostrata la schermata di potenziamento (il Dig Power rimasto può essere utilizzato per far evolvere le creature che andranno a nascere) e una scheda di valutazione che assegna nuovo Dig Power (anche a seconda di quanto ne è rimasto: meno potenziamenti = più Dig Power nel prossimo turno). Dal secondo stage inizia ad attivarsi la vera meccanica di gioco: nascono i primi Lizardmen e arriva il primo vero avversario.

Per quanto facile da sconfiggere, stavolta tra le perdite ci saranno non pochi Slimemoss (e quindi meno nutrients in circolo): per recuperare l’equilibrio perso bisogna scavare e far nascere nuovi Slimemoss, per scavare bisogna distruggere nuovi blocchi, meno soil coincidono con un minor Dig Power e quindi meno punti a fine stage. Questo ciclo vizioso cresce esponenzialmente di stage in stage e porta (a meno che non si abbia MOLTA pratica con il gioco) ad allargare i cunicoli, ad aumentare gli spazi aperti, a perdere la gestione controllata degli Slimemoss (di vitale importanza) e a ritrovarsi con bonus minori di Dig Power. Con scelte appena sbagliate la situazione diventa insostenibile già al quinto stage, dal quale diventa molto difficile avere la meglio ed evitare di perdere.

Ma come si fa a perdere? La sconfitta non arriva nel momento in cui gli eroi distruggono completamente l’armata, ma coincide con la cattura di Overlord da parte dell’eroe, completata nel momento in cui quest’ultimo raggiunge l’uscita dei sotterranei con il signore oscuro come prigioniero. Inutile far crescere la propria armata, se poi non la si dispone bene a difesa del proprio servitore: obiettivo del gioco è proprio quello di eliminare i paladini prima che portino via Overlord, non resistere ad un attacco totale, il che complica ancor di più le cose. Non basta essere potenti, bisogna anche essere ben organizzati.


Schermata di upgrade alla fine di uno stage: 100 unità di Dig Power corrispondono
ad una unità di potenziamento (ne servono 4 per raggiungere il livello 2 dei Lizardmen)


Endurance

Resistere fino alla fine dell’ottavo e ultimo stage è un’impresa degna di nota: ognuno è terribilmente più difficile di quello precedente e non sempre il tempo a disposizione tra un attacco e l’altro basta a riorganizzarsi dopo le perdite subite; persino un singolo errore nella costruzione del dungeon o nello sviluppo delle creature finisce con il compromettere l’esito finale del gioco, e da ciò deriva l’aggettivo frustrante che ben si accosta a questo titolo. Dover ricominciare tutto dall’inizio ogni volta mette a dura prova nervi e pazienza, con pesanti colpi alla lucidità nell’agire. Sotto questo punto di vista Holy Invasion può sembrare ad alcuni quasi come un addestramento militare, ma vedere che la propria mente inizia a padroneggiare i vari aspetti del gameplay di sessione in sessione è una soddisfazione troppo grande, che spinge davvero a continuare sino alla vittoria. In poche parole, nessun videogiocatore, o perlomeno, nessun hardcore gamer può arrendersi di fronte ad una sfida del genere, colpito nell’orgoglio da una realizzazione tecnica da Famicom unita ad una difficoltà più da nottate insonni che da pause pranzo. Grafica, audio e giocabilità (a livello di opzioni disponibili) sono veramente scadenti, ma questa struttura di gameplay nasconde potenzialità molto vaste che potrebbero portare ad un capolavoro, se non fosse per i fattori difficoltà e casualità.

Entrambi, tra l’altro, vanno insieme: possibilmente esistono persone che hanno completato il gioco ai primi tre tentativi, ma è già stato scritto sopra come sia necessaria “anche una consistente dose di buona fortuna”.
Tutto molto complicato, ma anche molto accattivante: la voglia di giocare e mettersi alla prova è tanta, ma Holy Invasion non verrà mai considerato come un vero e proprio gioco. Non lo è infatti, è una sfida al proprio orgoglio.
In bocca al lupo.

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