Back in Time – Viewtiful Joe

Il giovane Joe compie sedici anni!

Quando uscì Viewtiful Joe era il 2003. Dopo i primi illusori mesi dal lancio, Nintendo si rese conto di come il GameCube non stesse riscuotendo il successo sperato, nonostante la grande N avesse già sparato quasi tutte le sue cartucce migliori, da The Wind Waker a Metroid Prime, passando per Super Mario Sunshine e senza scordare Starfox Adventures. La qualità media era impressionante, ma la latitanza dei software di terze parti iniziò a farsi sentire, similmente a quanto successe a Nintendo 64, spettatore impotente del boom di PlayStation.

Viewtiful Joe

Per rasserenare gli animi, arrivò in totale controtendenza l’annuncio di Capcom della produzione di ben cinque titoli in esclusiva per GameCube, i cosiddetti Capcom Five: Resident Evil 4, P.N.03, Killer7, Dead Phoenix e Viewtiful Joe; questi i nomi di quelli che poi si sarebbero rivelati “Capcom Flop” o i “Capcom Fake”, se volessimo usare un nome più appropriato. P.N.03 (su cui ci siamo già soffermati) fu l’unico dei cinque a rimanere esclusiva, mentre Killer7, Resident Evil 4 e Viewtiful Joe raggiunsero PlayStation 2 (con contenuti aggiuntivi, beffando gli utenti GameCube) e Dead Phoenix fu cancellato.

Non fu soltanto la mancata esclusività ad aver sollevato polemiche, in quanto Killer7 si rivelò uno strano titolo visionario molto di nicchia, così come P.N.03, mentre solamente Resident Evil 4 mantenne le promesse in termini di qualità, dimostrandosi uno dei migliori giochi della generazione a 128-bit. A risollevare le sorti dei Five, oltre che parzialmente anche quelle di GameCube stesso arrivò però il più inaspettato e meno pretenzioso dei cinque titoli annunciati: l’uragano Joe si presentò in grande stile a riempire di calci e pugni tutte le produzioni multimilionarie dell’epoca.

Joe era un ragazzo come molti altri, aveva una ragazza di nome Silvia e una vita normale. Era un fan del cinema d’azione, in particolare dei cosiddetti B-Movie con protagonisti supereroi in calzamaglia stile Power Rangers, tra i quali il celebre Captain Blue, ormai invecchiato, con una pancetta tutto fuorché da paladino della giustizia.

È proprio durante uno spensierato pomeriggio al cinema con Silvia che avvenne il fattaccio: la fidanzata di Joe venne inspiegabilmente rapita da un super cattivo uscito dalla pellicola e trascinata di forza nel mondo del film. Joe venne portato anch’egli all’interno del telone del cinema, proprio da parte del suo idolo Captain Blue, il quale lo investe dei poteri VFX per renderlo un eroe in tutina rossa e salvare Silvia dalle grinfie delle malvagie entità che stanno attaccando Movieland.

Viewtiful Joe

Viewtiful Joe: questo il nuovo soprannome di Joe con il suo nuovo aspetto molto “cool”, la sua forza sovrumana e i suoi poteri VFX, era un personaggio dal design fresco e geniale, un po’ Power Rangers un po’ Superman ma con un carisma e un carattere unico e inimitabile, spaccone ed esibizionista ma anche chiaramente preoccupato per le sorti della sua amata. Nella caratterizzazione dei personaggi, degli ambienti e dei buffissimi nemici si denotava il tono scanzonato e parodiale del gioco, in perfetto stile B-Movie.

Basti pensare alla – forse ridicola e senza senso – frase che Joe urla dopo essersi messo in posa per trasformarsi in Viewtiful, quel “Henshin a Go-Go Baby” che entrò nel cuore e nei ricordi di chiunque abbia almeno provato il titolo Capcom (“Henshin” è la parola giapponese che sta per “Trasformazione”, NdR).

Ma come funzionava, joypad alla mano, Viewtiful Joe? La visuale era quella classica dei beat ’em up bidimensionali, ma in verità il prodotto di quelli che poi diventarono i membri di Clover Studio era ricco di elementi platform. Joe avanzava per i livelli raccogliendo oggetti, saltando e correndo, ma soprattutto picchiando. Nelle combo eseguibili e nelle mosse sbloccabili a fine livello stava il vero cuore delle avventure di Joe, che ricompensava i giocatori più “stylish” nel farsi largo tra le orde nemiche con punti e bonus.

Per mettere pepe ulteriore e originalità nel sistema di controllo arrviarono tre poteri VFX (Viewtiful Effects), quelli che fanno di Joe un supereroe; erano tutti legati al controllo del tempo, spesso erano combinabili e venivano alimentati da una barra visibile di fianco a quella della vita in alto sullo schermo, che si ricarica col tempo. Slow era il primo e permetteva al giocatore di rallentare il tempo, aumentando il potere dei colpi del nostro eroe o permettendogli di schivare missili e proiettili in perfetto stile The Matrix.

Viewtiful Joe

Mach Speed aveva l’effetto contrario: aumentava la velocità di Viewtiful Joe, che praticamente si sdoppiava, triplicava o quadruplicava aumentando sempre di più il quantitativo di pugni e calci e potendo colpire più avversari alla volta. Infine ecco Zoom In, utilizzabile in combo con gli altri due, il quale concentrava l’azione su Joe con uno zoom della telecamera in grado di aumentarne la forza, sbloccargli nuove mosse e paralizzare i nemici nelle vicinanze, stupiti e spaventati da quanto Joe fosse figo e, soprattutto, maledettamente potente.

La caratteristica peculiare dei VFX non era tanto la loro efficacia in battaglia, ma il loro utilizzo nel risolvere i puzzle. Ad esempio per spegnere un fuoco si poteva rallentare il tempo e aumentare a dismisura le dimensioni di una goccia d’acqua che cola da un rubinetto nei paraggi, oppure per poter premere tre pulsanti contemporaneamente si rendeva necessario l’utilizzo del Mach Speed per triplicare i pugni di Joe sugli interruttori e così via. Le applicazioni dei poteri furono uno dei punti più freschi e originali di Viewtiful Joe e funzionarono alla grande, aggiungendo alla componente d’azione frenetica un minimo di uso del raziocinio.

Viewtiful Joe poteva nascere solo su GameCube. Mentre i rivali di Sony e Microsoft si sfidavano a colpi di poligoni, Capcom confezionava una gemma in cel shading in 2D, con un comparto grafico definito, colorato e visionario, certamente uno dei migliori della sua generazione, secondo solamente a The Wind Waker e a Okami (tra l’altro dello stesso sviluppatore) nell’uso della tanto amata tecnica a simulazione di cartone animato.

Lo stesso design dei personaggi gridava al capolavoro: i medikit sono sostituiti da pop-corn e hamburger, rinoceronti centauri e pipistrelli giganti fungevano da boss, versioni ballerina e giocatore di football dei nemici base attaccavano lanciando palloni o colpendoci con le loro gonnelline, mentre sott’acqua ci aspettavano pesci robot e dall’aria venivamo bombardati da astronavi ed elicotteri. Movieland era realizzata perfettamente, ricca di citazioni cinematografiche, in particolare di fantascienza.

Viewtiful Joe

Il suo unico difetto poteva risiedere nelle sue oggettivamente ridotte dimensioni: le ore che servivano per terminare i sette livelli (catalogati come film, con un loro titolo e divisione in atti) si contavano sulle dita di una mano. I bonus sbloccabili, come nuovi personaggi (su PS2 c’è anche Dante) o mosse e i molto ostici livelli di difficoltà al di sopra del normale, davano al gioco un credibile fattore rigiocabilità.

La scarsa longevità è quindi forse l’unico difetto imputabile al lavoro di Capcom; tutto il resto, a partire dal gameplay fresco e adrenalinico per non dimenticare la grafica, il divertente doppiaggio e character design sfioravano la perfezione, dando a Viewtiful Joe il crisma del capolavoro. Se a tutto ciò si aggiunge il budget limitato, il coraggio di Capcom di sfidare le mode e proporre un titolo così originale e tutto quello che ha significato Viewtiful Joe per l’utenza GameCube, rappresentando la “Nintendo Difference” anche in un gioco sviluppato da terze parti, ci troviamo di fronte a uno dei più grandi videogame della generazione 128 bit.


Nonostante si sia ritagliato una fetta di fan considerevole, Viewtiful Joe non rappresentò il successo sperato, specialmente nel mercato europeo, spingendo Capcom a realizzare un port per PS2 con contenuti extra, il quale vendette meno ancora rispetto al suo cugino su console Nintendo. Al contrario, la critica promosse a pieni voti l’esperimento del regista Hideki Kamiya, già padre di Devil May Cry, ma è solo oggi che si può apprezzare, in un panorama videoludico che pensa quasi unicamente al progresso tecnologico affidandosi a canovacci già sperimentati e collaudati per guadagnare soldi facili con i poligoni e i motori fisici, il lavoro svolto dal quarto studio di sviluppo Capcom con Viewtiful Joe, un lavoro stiloso e “cool”, che risulta ancor oggi dannatamente divertente e coinvolgente.

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