Dead Space 3 – Recensione Dead Space 3

Dead Space è uno di quegli ip modello, che tutti gli sviluppatori dovrebbero prendere d’esempio: nato sulla falsa riga di Resident Evil, è stato uno dei prodotti videoludici che più di tutti, in questa generazione di console, ha contribuito a riequilibrare la componente horror nei survival horror, sempre più sacrificata in favore della componente action. E’ proprio questa, a nostro avviso, la caratteristica che più di tutte ha portato tanto successo al titolo sviluppato da Visceral Games. Dopo un secondo capitolo che, senza usare mezzi termini, era un’elevazione al quadrato di tutto quanto di buono avevamo visto nel primo episodio, la saga di Isaac Clarke arriva oggi alla terza incarnazione, in cui il virare del mercato verso i Third Person Shooter e la preponderanza della componente action rispetto a quelle horror e survival si fanno comunque sentire. I fan di vecchia data tirino comunque un sospiro di sollievo, come scoprirete nel corso di questa recensione, nonostante tutto Dead Space fa ancora abbastanza paura da meritare la vostra attenzione.

Antefatto: il Marchio

E’ altamente consigliabile, per tutti i giocatori che approcceranno Dead Space con questo terzo capitolo, assistere con attenzione ai filmati che mostrano quanto accaduto negli altri due titoli della serie (raggiungibili dal menu principale del gioco): uno dei principali punti di forza di Dead Space 3 è infatti la sua trama, che recupererà eventi e personaggi del passato per la gioia dei fan di vecchia data (chi ha voglia di rivedere Ellie?). Come nostro solito vi eviteremo inutili spoiler, limitandoci a toccare i punti chiave degli eventi raccontati: il Marchio è un artefatto in grado di trasformare altre forme di vita in necromorfi, una sorta di zombi assetati di sangue. Isaac è in grado di comprenderne il funzionamento e, come sappiamo dai precedenti Dead Space, di creare altri Marchi così come di distruggerli. E’ proprio questa conoscenza a metterlo nei guai, rendendolo il principale ricercato di due opposti movimenti: se le persone sane di mente vogliono distruggere la fonte di un tale pericoloso potere, attorno al Marchio è nata anche il movimento religioso di Unitology, che vede nell’estinzione dell’umanità un incredibile potenziale di rinnovamento. Benchè Isaac cerchi di vivere nell’ombra e di mantenere le distanze dal Marchio, il destino dei due è legato indissolubilmente, e in Dead Space 3 Isaac avrà finalmente la possibilità di scoprire il Marchio originario sul pianeta ghiacciato di Tau Volantis. La voglia di fuggire lontano sarà forte, ma allo stesso tempo il protagonista avrà la possibilità di distruggere per sempre l’influenza del Marchio sulla razza umana.

Tutti gli eventi di Dead Space 3 sono raccontati con maestria e con un taglio più che cinematografico, sposando la sempre più imperante regola che vede i blockbuster videoludici più acclamati avvicinarsi al mondo del cinema. Che amiate o meno questo trend, sappiate che la realizzazione di Dead Space 3 sotto questo aspetto è davvero ben fatta e che anche i videogiocatori più esigenti non avranno molto da ridire su una storia avvincente e ricca di colpi di scena.


Tau Volantis è dove tutto è cominciato… e dove tutto finirà


Studiate ingegneria…

…e non verrete massacrati dagli alieni: come nei precedenti capitoli, il gameplay classico di stampo action-TPS di Dead Space è accompagnato da un evoluto sistema di potenziamenti, mai così profondo come in Dead Space 3. In questo terzo capitolo, infatti, non ci saranno più i soliti nodi energetici per potenziare il proprio arsenale, quanto più una vera e propria pletora di oggetti e materiali, da combinare tra loro per creare armi tutte nuove o migliorare quelle già in possesso del giocatore. Sebbene non siamo ai livelli di Borderlands o Fallout, l’impressione è di esserci molto vicino: ogni singola arma può essere scomposta e migliorata in più componenti, aggiungendo anche utensili secondari per avere una seconda tipologia di fuoco o possibilità speciali come baionette a motosega o la possibilità di far ruotare la canna della pistola.

Quest’ultima opzione, come ben sapranno i fan della lama al plasma dei primi due Dead Space, risulterà come sempre molto utile per portare a termine con successo le operazioni di smembramento dei necromorfi: le creature mutate dal marchio, infatti, possono essere uccise solamente staccando loro gli arti dal corpo. Sotto questo aspetto, è da segnalare la piacevole confusione che i giocatori proveranno quando, sulla superficie di Tau Volanttis, si troveranno di fronte avversari umani: dopo aver passato qualche ora di gioco a smembrane necromorfi, le fasi action in cui bisognerà puntare direttamente al corpo o alla testa dei nemici si presenteranno come piacevole variante di gameplay. Purtroppo, la svolta spiccatamente action con la quale procede il gioco dalla discesa su Tau Volantis in avanti è anche una delle caratteristiche che piaceranno meno ai fan dei survival horror più puri: Visceral Games ha infatti deciso di seguire la strada tracciata dagli altri grandi esponenti del genere (si citava giusto in apertura Residen Evil), abbandonando le scene splatter e le cupe fasi di esplorazione in favore di una meccanica di gioco più improntata sull’azione e sulle sparatorie. A livello di trama, e soprattutto in alcuni dei momenti topici che da sempre caratterizzano il brand, segnaliamo ancora delle scene in cui c’è da saltare sulla sedia, ci mancherebbe. Nonostante questo, però, dobbiamo mettervi in guardia di fronte al taglio decisamente più action e meno horror di Dead Space 3 rispetto al terrificante passato.

Per quanto riguarda la componente survival, invece, sebbene nella seconda metà del gioco la parte action prenda il sopravvento su tutto il resto, fino alla discesa su Tau Volantis l’esplorazione delle rovine di vecchie navi e la sopravvivenza dopo la discesa sul pianeta ghiacciato metteranno a dura prova la resistenza di Isaac. Certo, restano alcune incongruenze di fondo che permetteranno ai più pignoli di argomentare le loro critiche – ad esempio: come mai se la tuta di Isaac resiste nello spazio profondo il nostro eroe rischia di congelare in mezzo alla neve? – ma il farsi largo tra i nemici quando la riserva d’aria o il calore corporeo scendono vertiginosamente trasmette sempre un claustrofobico senso di angoscia che ci fa ogni volta ricordare come mai amiamo tanto Dead Space.

Per il resto, sotto il profilo della giocabilità non segnaliamo niente di particolarmente nuovo: i comandi e i movimenti sono i soliti (ai quali aggiungiamo un rudimentale sistema di copertura utile solo nelle sparatorie più concitate e ai livelli di difficoltà più alti), così come lo sono i piccoli minigiochi che spezzano l’azione e nei quali sfrutteremo le capacità ingegneristiche di Isaac per aprire porte o riparare marchingegni utili per aprirci la – linearissima, nonostante la presenza di qualche missione secondaria – strada verso il proseguo dell’avventura.


Il sistema di potenziamento e creazione delle armi è migliorato moltissimo rispetto al passato

In due è meglio?

A volte sì: se amate particolarmente il multiplayer cooperativo (e siete disposti a sacrificare ogni risvolto horror per affrontare un gioco puramente action), la possibilità che un compagno di gioco entri in partita in ogni momento fa proprio per voi: Visceral Games ha infatti pensato bene di permettere ad un secondo giocatore di impersonare John Carver, inserendo una serie di missioni, filmati e dialoghi appositamente per la modalità a due giocatori. Sebbene i fan più accaniti non sentissero la necessità di questa modalità co-op, dobbiamo ammettere che la sua realizzazione finale riesce comunque a non risultare fine a sé stessa, aggiungendo invece divertenti momenti di gameplay ed interessanti approfondimenti della trama principale.

Tra le tante opzioni offerte citiamo solo la possibilità di scambiarsi munizioni, materiali e progetti per le armi, in modo da rendere la cooperazione tra giocatori più interessante e a volte fondamentale per il proseguo dell’avventura, per farvi capire come l’idea di base sia stata ben sviluppata e non semplicemente inserita nel gioco per allungare il brodo. Il risultato, in termini di longevità, è comunque questo, dal momento che affrontando sia la campagna in singolo (tra le dieci e le venti ore a seconda della difficoltà scelta e delle missioni secondarie completate) che quella in cooperativa Dead Space 3 promette molte ore di divertimento davanti allo schermo.

Tra stelle e cristalli di neve

Sotto il profilo tecnico, Dead Space 3 è da elogiare tanto quanto i suoi predecessori: nonostante le prime sessioni di gioco risultino un po’ spoglie rispetto al livello di dettaglio al quale siamo stati abituati (inizialmente emerge un po’ troppa leggerezza nella rappresentazione della città del futuro), gli interni delle astronavi abbandonate che andremo ad esplorare durante la maggior parte del gioco non ci faranno rimpiangere la terrificante Ishimura incontrata nei primi due capitoli. Anche in Dead Space 3, tra l’altro, Visceral Games dimostra grande maestria nel passare velocemente dagli angusti corridoi interni ai grandi ambienti aperti – che siano lo spazio siderali o le gelide pianure di Tau Volantis – con estrema semplicità, rendendo meno monotona l’esperienza di gioco che, come già detto, è semplicemente improntata sull’andare linearmente dal punto A al punto B. Il cambio di ambientazioni poi, con le prime ore di gioco che vedono il buio contrapporsi al bianco della neve e
ai luminosi tramonti del pianeta ghiacciato che esploreremo nella seconda parte dell’avventura, appare curato e dimostra un level design in cui nulla viene lasciato al caso. Le ambientazioni – lo avevamo già detto in passato e lo ribadiamo in questa sede – ricordano molto da vicino le basi della serie DOOM, con porte automatiche e macchinari futuristici in disuso. Anche gli effetti di luce, se pensiamo al terzo capitolo del leggendario videogame di id Software, sembrano aver ispirato gli sviluppatori di Dead Space 3: lampeggianti rossi, improvvisi cali di tensione e mostri che emergono dalle tenebre sono solo alcuni degli esempi che qui citiamo per darvi l’idea di quando sia importante la componente horror in un titolo di questo calibro. Bisogna anche ammettere che l’utilizzo di fonti di illuminazione dinamiche e un po’ confusionaria, oltre ad aumentare la paura nel giocatore, aiutano anche a coprire qualche magagna grafica e qualche texture non troppo curata, ma si tratta di dettagli di poco conto e per i quali non ci sentiamo di puntare il dito contro lo stupendo lavoro svolto da Visceral Games: se all’inizio del gioco o in alcune scene minori la grafica non è pulitissima, infatti, per il 90% dell’esperienza è proprio quella che, da fan di Dead Space, ci aspettavamo.


Le animazioni dei nemici non sono perfette, ma in penombra fanno parecchia paura

Altro fiore all’occhiello della serie, le tute indossate dal protagonista: anche in questo caso abbiamo riaccolto con felicità le particolareggiate tute di Isaac, da scoprire e potenziare durante l’avventura. Curate nei più piccoli dettagli, queste ci hanno sempre stupito in quanto appositamente ricoperte di texture sporche e malconce, come a sottolineare la precarietà delle loro condizioni e a trasmettere una sensazione di perenne pericolo, molto adatta ad accentuare la componente survival del gioco.

Chiudiamo questo paragrafo parlando delle animazioni: i protagonisti e i nemici (i primi un po’ più dei secondi) si muovono in modo convincente e naturale, sorretti da una regia virtuale che riesce sempre a trovare l’inquadratura più ispirata per farci saltare sulla sedia durante gli adrenalinici eventi scriptati. Abbiamo notato passi avanti anche nella realizzazione dei volti, che rispetto al primo Dead Space sono decisamente migliorati: Isaac, sempre più scavato e canuto, riesce a trasmettere tutta l’angoscia che deriva dall’essere portatore dei segreti del Marchio. Insomma, nel caso in cui non si fosse ancora capito, noi di Gamesource promuoviamo il comparto tecnico di Dead Space 3 che, pur non essendo perfetto, ci è sembrato davvero ben realizzato e fedele agli standard della serie.


Pollice in su per la realizzazione dei volti e delle tute indossate dai protagonisti


Orchestra di Necromorfi

Non siamo soliti dedicare un paragrafo appositamente al comparto audio dei giochi, ma in questo caso non possiamo farne a meno: in Dead Space 3 la colonna sonora è infatti un elemento portante di tutta l’avventura e senza di essa la sensazione di oppressione e i salti sulla sedia non sarebbero stati così efficaci. Ad essere sinceri non dovremmo neanche parlare tanto di colonna sonora, quanto più di effetti ricreati con l’utilizzo – a volte anche inusuale – di strumenti orchestrali per registrare lamenti, rumori lontani, cluster di accordi dissonanti e tappeti di archi che potrebbero essere decisamente scambiati per le urla di un necromorfo.

Per quanto riguarda la localizzazione italiana, invece, sebbene sia abbastanza piatta è ugualmente sopra la media. La completa traduzione dei dialoghi (comprese tutte le scritte a schermo) aiuterà certamente ad immedesimarsi nella storia anche quei giocatori che non sono così esperti di inglese.

Verdetto finale

Dead Space 3 segue le mode, ma rimane comunque ancorato al passato. Le prime ore di gioco lasciano ben sperare di trovarsi di fronte ad un survival horror coi fiocchi, che purtroppo da metà avventura in poi si tramuta in un TPS prettamente action che smorza i toni horror e splatter che hanno fatto la fortuna dei primi due capitoli della saga. Nonostante questo, l’ispirazione del level design, la cura delle ambientazioni e la trama cinematografica ci permettono di promuovere il prodotto videoludico di Visceral Games. Se avete amato i precedenti capitoli e vi incuriosisce sapere come si concluderà la battaglia di Isaac contro il Marchio, non lasciatevelo sfuggire. Se vi state avvicinando ora al brand e siete alla ricerca di emozioni più forti e da survival horror, ci duole ammettere che a nostro parere Dead Space 2 resta tutt’oggi il miglior gioco della saga.

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