Diablo III – Diablo III

Evil is in its Prime

Così recita, beffardo, il retro della copertina di uno dei giochi più attesi dell’ultimo decennio, finalmente sbarcato sulle console di non poi così ultimissima generazione. Ma, come sempre accade, quando il male nasce, torna o resuscita per minacciare la libertà e il mondo intero, un eroe sorgerà per dargli il fatto suo. In questo caso gli eroi saranno ben cinque! Stavolta, dunque, per Diablo e soci la vita sarà dura. Siamo davvero sicuri che basterà un esercito pressoché infinito di mostri per far trionfare la tirannia di questi demoni sull’umanità? Mano al joypad dunque; Blizzard ci ha lanciato una sfida che non possiamo ignorare!

There’s a starman waiting in the sky

Dopo aver selezionato il proprio eroe fantasy tra i 5 disponibili (il monaco, esperto di spiritualità e arti marziali; il barbaro, tutto forza e muscoli; il “witch doctor”, sciamano in grado di scatenare la forza della natura; il cacciatore di demoni, esperto di magia oscura e armi a distanza; il mago, con i suoi temibili incantesimi), il gioco si apre con una bellissima sequenza in computer grafica. Una delle cose più apprezzabili del titolo Blizzard è la decisione di narrare le vicende dal punto di vista dell’eroe selezionato, cosa che aumenta di fatto la rigiocabilità (elemento chiave per la vita a lungo termine del videogame). Quindi, a seconda della vostra classe, preparatevi a visualizzare un filmato differente. Comunque, la trama si apre con una cattedrale dove i fan della saga potranno scorgere un personaggio già noto: Deckard Cain e, al suo fianco, Leah, la sua nipote adottiva. L’anziano e saggio Cain sta studiando i segni di un’antica e terribile profezia, quando una stella cade dal cielo si schianta sulla chiesa. Leah agilmente evita l’impatto, ma il povero Deckard scompare nelle profondità del sotterraneo. L’ambientazione passa poi a New Tristam (anche qui i fan si ricorderanno bene della “vecchia” Tristam), dove dovremo iniziare a far volare dardi incantati e fendenti di spada: lo schianto pare infatti aver risvegliato un’orda di famelici non morti, e chi meglio di un eroe fantasy può fermarli? Forse 2, 3 o perfino 4 combattenti!

Da soli è bello…

Giocare a Diablo 3 in single player è tutt’altro che un’esperienza brutta o noiosa. Innanzitutto perché la trama, pur non discostandosi troppo da determinati cliché fantasy, con tanto di frammenti di spada da recuperare, antichi templi da scoprire e demoni di ogni sorta da sconfiggere, è narrata alla perfezione e scandita da ottimi tempi. Poi, la gran varietà di nemici rende la sfida sempre interessante: la prima volta che si gioca lo si fa con la voglia di vedere che razza di infernale bestia gli sviluppatori hanno messo dentro per cercare di farci fuori, e la varietà è immensa: dai classici scheletri e zombi a inquietanti ragni giganti, fantasmi, uomini capra e alberi semoventi. Anche le ambientazioni si susseguono con una certa dinamicità, e il fatto che i sotterranei vengano generati casualmente aumenta la diversificazione delle partite in un gioco che rischierebbe altrimenti di venire a noia troppo presto. Va però fatto segnalare che la difficoltà (all’inizio non liberamente selezionabile) non è delle più elevate, anzi: Blizzard ha fatto sudare i gamer molto di più in passato; vero che i primi due episodi erano dedicati esclusivamente agli utenti PC e usciti in epoche differenti, ma la semplificazione eccessiva degli scontri è sicuramente uno dei punti deboli della produzione.

… ma in tanti è meglio

Indubbiamente il punto di forza di Diablo 3 è il multiplayer. Questa versione per console ha decisamente una marcia in più rispetto a quella PC: stiamo parlando della possibilità di giocare fino in quattro sulla stessa macchina. Questo vuol dire ritrovarsi, chiedersi aiuto a vicenda e ammazzare orde su orde di mostri. Durante le prove effettuate per la recensione, le sessioni più divertenti sono proprio state quelle fatte in compagnia di uno o due amici: la giusta dose tra caos e azione, tra divertimento “goliardico” e hardcore interattivo. Viaggiare per le lande del mondo di Sanctuary; battere i boss; vedere come va avanti la trama mentre il witch doctor lancia giare di ragni, il demon hunter utilizza la balestra come fosse una gatling, mentre il barbaro rotea la sua ascia trasformandosi in un ciclone di morte e distruzione. A proposito di distruzione, un elemento interessante, ma un po’ superficiale, è l’interattività degli scenari: in molti “hot spot” è possibile arrecare danni all’ambiente e far fuori gli eserciti avversari facendo crollare muri e lampadari, oppure facendo rotolare tronchi e molto altro ancora. Peccato che non sempre il tempismo sia quello corretto e che alla fine questi eventi siano un po’ troppo ripetitivi e “localizzati”. Certo, resta una bella pensata e dimostra quanto Blizzard abbia voglia di proporre nuove soluzioni cercando di restare sui binari che l’hanno portata al successo.

Gioca Jouer

Parliamo ora della giocabilità in senso stretto. Va fatto un plauso agli sviluppatori per aver trovato una mappatura di comandi così funzionale: il gioco è estremamente immediato in ogni fase… forse anche troppo? Mi spiego meglio. Sui comandi in senso stretto non c’è nulla da dire: sono ineccepibili; è l’estrema semplificazione del sistema di abilità che lascia perplessi e con un po’ di amaro in bocca. Se nei capitoli precedenti, in particolare nel secondo, far salire di livello il personaggio era una goduria e si poteva scegliere tra una vasta selezione di abilità differenti, qui le cose sono profondamente diverse. Queste si dividono in categorie (attive, passive, attacchi speciali, trappole…) e ogni volta che il nostro eroe passerà di livello se ne sbloccherà una o più per tipo, oppure un suo upgrade; basterà quindi attivarle e il gioco è fatto. È vero, a volte un’abilità già sbloccata in precedenza si rivela più adatta allo stile di gioco personale, ma la libertà di scelta è davvero minima. Peccato, forse Blizzard ha preso questa decisione per andare incontro ai meno avvezzi agli hack ‘n’ slash, ma i giocatori un po’ più esperti sentiranno il peso di questa scelta (per fare un esempio, in Dead Island e Darksiders 2 c’è molta più libertà). La giocabilità, se ne si accettano i limiti e la ripetitività, è più che buona e aiutata anche dall’alto e stabile frame rate che il titolo propone. È vero che durante lunghe sessioni si sono riscontrati dei rallentamenti, ma sono stati così pochi e brevi che non hanno intaccato minimamente l’esperienza di gioco. Quello che ha lasciato maggiormente perplessi è la brevità dell’avventura. Qualche ora in più per portarla a termine non avrebbe proprio guastato, anche perché, per quanto rigiocabile, a furia di ricominciare sempre da capo, pur importando il personaggio (o cambiandone la classe) e modificando il livello di difficoltà, la noia, inevitabilmente, sopraggiunge. Altro punto su cui si poteva lavorare meglio è il menù nelle fase di compravendita, un po’ macchinoso. Ottimo invece l’inventario, da sempre spina nel fianco di ogni avventuriero amante del collezionismo estremo di ogni oggetto droppato dagli avversari vinti, oggi più funzionale e dinamico.

PC VS CONSOLE

Anche a rischio di dilungarmi troppo nella scrittura, mi preme approfondire cosa significa oggi Diablo 3 su console. All’epoca della sua uscita su PC, nonostante l’hype stellare, il titolo venne accolto in maniera piuttosto fredda: gli utenti lo accusavano di eccessiva brevità, di scelte stilistiche controverse e di soffrire di molti – alcuni dissero troppi – bug. Subito Blizzard si mise all’opera per risistemare il tutto. Se lasciassimo correre la mente al giugno del 2000, quando uscì il secondo gioco della saga, ci ritroveremmo in una situazione molto simile: anche lì diverse recensioni, seppur positive, riportavano la presenza di innumerevoli bug e glitch che viziavano l’esperienza di gioco. D’altro canto, l’equilibrio tra le classi, la trama coinvolgente e molte altre qualità fecero pendere l’ago della bilancia verso giudizi unanimi ed entusiasmi. Oggi, nonostante quelle stesse qualità si ripetano, il successo non è stato lo stesso. Perché? Domanda interessante che può parzialmente trovare una risposta nel fatto che le classi, per quanto abbiano nomi diversi (e nemmeno tutte: il barbaro e l’incantatore/incantatrice sono rimasti tali e quali), risultano sostanzialmente invariate (il monaco al posto del paladino, il demon hunter al posto dell’amazzone e così via), che il gameplay non sia quasi per nulla innovativo e che anzi risulti più povero rispetto al passato. Però qui si sta analizzando la versione console del titolo e non quella PC. Oggi i bug che funestavano la prima release sono stati in buona parte sistemati, e, seppure la brevità del titolo potrà essere aggiustata unicamente tramite DLC, c’è da dire che Diablo 3 su Xbox 360 ha qualcosa che nella sua versione originale manca: l’unicità. È infatti il miglior hack ‘n’ slash su console anche a causa della pressoché totale assenza di concorrenti degni di nota (Sacred 2 sulla scala qualitativa è nettamente a un livello più basso). Forse, l’unica serie accostabile per giocabilità ma non per ambientazione e personaggi è Marvel Ultimate Alliance, le cui due uscite si sono difese più che discretamente. Inoltre il multiplayer, anche in locale, aggiunge una feature importate per un titolo che fa della co-op il suo fiore all’occhiello. Ecco perché ho deciso di giudicare il prodotto anche sulla base della piattaforma su cui lo si sta analizzando, ovvero l’ormai penultima chicca di casa Microsoft.

Il volto del male

Prima di concludere, analizziamo l’aspetto tecnico. Le musiche che accompagnano l’avventura hanno la giusta dose di epicità, drammaticità e “fattore gasante”. Belle, ben composte e coinvolgenti. Stessa cosa si può dire del doppiaggio, di altissimo livello sia nella versione originale inglese che in quella italiana. Il lato grafico, nonostante garantisca una fluidità senza precedenti, non è del tutto esente da colpe: per quanto funzionale e curato, l’engine non fa di certo gridare al miracolo. Si è già visto di meglio, ma forse Blizzard ha preferito una maggiore stabilità all’estrema spettacolarizzazione. Passando alle conclusioni, Diablo 3 ha sicuramente convinto, e ha vinto anche su console. Nonostante sia stato sviluppato all’insegna del “squadra che vince non si cambia”, il prodotto di Blizzard è ben confezionato e garantisce ore di divertimento spensierato. Purtroppo gli manca quel “quid” per diventare un gioco epocale come il suo predecessore. Questo è accaduto anche con il suo “fratellino” strategico, ovvero Starcraft 2. Stessa situazione, stesso hype stellare, stessa “occasione mancata”, anche se non per colpe strettamente legate alla qualità effettiva. In un’epoca dove ogni episodio di Assassin’s Creed vende come il pane, dove Battlefield e Call of Duty dettano legge e dove Fifa è anno dopo anno un successo clamoroso, prodotti come questi sembrano quasi essere arrivati fuori tempo massimo. Il consiglio di Gamesource è di dargli ben più di una possibilità: il fattore divertimento è altissimo e la storia assai gradevole. Sarebbe l’occasione perfetta per far conoscere all’utenza console una delle serie più importanti del nostro media preferito.

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