DMC Devil May Cry – Recensione DmC: Devil May Cry

Mamma, Capcom ha reboottato!

Un tripudio di lamentele e un vortice di diffidenza fu la catastrofe che si abbattè sulla Capcom quando al Tokyo Game Show del 2010, oramai due anni e mezzo fa quasi, venne presentato il nuovo DmC e il nuovo Dante. Un quinto capitolo che, però, non continuava quanto già espresso nel quarto: Nero non esiste più né sappiamo il perché del suo braccio demoniaco, tantomeno sembra interessarci la diatriba sorta tra il neoarrivato e il sempreverde figlio di Sparda. Non c’è più tempo per continuare a ragionare dell’ammazzademoni dalla bianca chioma e dal rosso cappotto: bisogna innovare.

Che il 2013 sia l’anno dei reboot è abbastanza chiaro e lo conferma anche Lara Croft, ma ancor prima ci aveva preparato a tutto ciò Need for Speed Most Wanted e, se vogliamo prenderla alla lontana, anche Rayman Origins. DmC non fa altro che confermare, quindi, la necessità di azzerare quanto fatto in precedenza e avviare un processo nuovo, basato su meccaniche oleate e ben note, ma con interpreti diversi, che possano donare una linfa maggiore e più rosea. Per innovare al meglio, quindi, la Capcom ha anche deciso di privare gli sviluppatori interni del potere di decisione e di cedere l’intera IP ai Ninja Theory (Heavenly Sword ed Enslaved), permettendo, tral’altro, a Dante di arrivare prima in Europa e poi nel Sol Levante. Scombussolamento del mercato.

La vacanza di Beatrice

Uno spocchioso, spudorato sciupafemmine in un night club a rimorchiare due giovani fanciulle non può essere altri che la trasposizione moderna del Dante presuntuoso che ci aveva fatto conoscere Capcom anni addietro. Un mondo contestualizzato perfettamente all’epoca moderna, con telegiornali e popolo decisamente immerso nel concetto di approvazione sociale e moda da seguire e perseguire. Sullo sfondo uno scenario inaspettato che metterà Dante dinanzi alla sua vera realtà: figlio di un demone, Sparda, e di un angelo, Eva, è un Nefilim, un incrocio che può prevalere sul bene e sul male a sua scelta. A vestire i panni di evento scatenante è Vergil, non più desideroso di vestirsi da antagonista, ma bramoso di accompagnare il protagonista nella sua avventura insieme con Kat, un’umana che ha imparato a usare la stregoneria per sfuggire dai suoi incubi. La missione è semplice: sconfiggere Mundus, il demone reincarnatosi in Kyle Ryder e che sta assoggettando l’intera città a sé oltre che governando Limbo, la semovente metropoli che cercherà di uccidere Dante.

L’intero scheletro narrativo riesce a sorreggere quello che è il corpo del prodotto videoludico dei Ninja Theory: sebbene nell’action game non si richieda di sicuro uno sforzo eccessivo in questo aspetto, la riuscita si può assolutamente apprezzare. Probabilmente molti aspetti non sono approfonditi, tanto da riscontrare una totale assenza di psicologia di Dante e dei suoi compagni d’avventura, e la necessità di modernizzarsi non è proprio uno dei punti chiave del successo. DmC finisce ben presto per diventare un’accozzaglia di improperi ed edulcorazioni gratuite che spesso portano quasi a domandarsi cosa mai vogliano significare e il perché della loro esistenza. Il nostro protagonista, così come molti dei suoi avversari, ha la parolaccia facile, infatti, e non si farà pregare dal trattenerla: evitabile, ma comunque non abbiamo intenzione di fare la morale al pubblico. Per il resto la vicenda è piacevole, soddisfacente e riesce anche a donare un twist finale, che senza impegnarsi eccessivamente non avremmo potuto cogliere anzitempo. 

Ezechiele 32:27

Soddisfatta l’analisi narrativa del prodotto passiamo al fulcro di DmC, ovvero il gameplay. Le missioni nelle quali dovremo cimentarci sono precisamente venti per un totale di circa dieci ore di gameplay nella prima tornata e a una modalità media. Uno schema che apparteneva già ai precedenti Devil May Cry e anche al più recente Bayonetta, concorrente principale della produzione Ninja Theory. Ci troviamo, quindi, dinanzi a una riproposizione più che soddisfacente di quello che era il Dante dei vecchi tempi: la Rebellion, la spada fidata del figlio di Sparda, e la coppia Ebony-Ivory, le due pistole, saranno le compagne di viaggio fidate, accompagnate, poi, dal sopraggiungere delle nuove armi. Quelle angeliche, ricavate dal ricordo di Eva, la madre del protagonista, e quelle demoniache, figlie del demone che è in Dante: le prime hanno un ritmo molto più rapido, che vi permettono anche di falcidiare più nemici contemporaneamente, ma con ovvie debolezze d’attacco; le seconde, invece, lente e morbose, vi permetteranno un attacco molto più potente, tanto da distruggere scudi e armature dei vostri avversari più ostici. Analogamente sarete accompagnati da due rampini, che vi coinvolgeranno nell’aspetto platform del titolo: in alcune sequenze saremo chiamati a superare voragini che con un semplice salto non sarebbero superabili. Ci affideremo quindi al rampino angelico come liana per raggiungere alture particolari e quello demoniaco per spostare ogni piattaforma designata a tale compito. Scelta simpatica, indubbiamente, ma che stona con un titolo dedito esclusivamente al combattimento e che dovrebbe lasciare poco spazio all’esplorazione, soprattutto se su binari. 

Se questa fosse la recensione di Devil May Cry 4 a questo punto dovrei cedere il lavoro a un mio collega e questi dovrebbe cominciare a scrivere ripartendo da qui e andando a ritroso. Per fortuna questa è la recensione di DmC: Devil May Cry e non andremo a ritroso per passare la palla a Dante e lasciare Nero a un appuntamento futuro. Detto ciò, quindi, passiamo ad analizzare l’insieme dell’azione. L’aspetto più importante di DmC è assolutamente la fluidità del titolo, che vi permette di ricreare combo difficilmente interrotte da rallentamenti o lag del sistema: potrete passare da un’arma all’altra con una velocità tale da permettervi combo di qualsiasi tipo soddisfacendo qualsiasi feticista del caos. Così facendo avrete anche soddisfatto la necessità di guadagnare punti esperienza, i famosi orbi bianchi, e la moneta di scambio, gli orbi rossi, spendibili presso le classiche Statue che vi permettono di acquistare potenziamenti per la salute e il Devil Trigger. Chiudiamo l’analisi di Dante proprio su quest’ultimo aspetto: non del tutto simile a quello che già conosciamo, il Devil Trigger vi permetterà di vedere l’aspetto lucente del momento d’attivazione, ricaricare la vostra salute e rendere vulnerabile qualsiasi nemico, anche il più ostico. 

Non mancheranno ovviamente le missioni secondarie, relegate alle classiche porte da aprire con le chiavi disseminate nel corso dei livelli, insieme con le Anime, da liberare a suon di spadate. Aspetti che potenziano il momento esplorativo del prodotto e che non lasciano Dante in un continuo combattere avversario variopinti. Il roster, infatti, è abbastanza soddisfacente e le varietà di nemici riusciranno a susseguirsi fino alla fine dell’avventura, quando ci ritroveremo dinanzi ad avversari decisamente più complessi di quelli iniziali, in un climax ascendente più che apprezzato. Chiudiamo, poi, con una critica: cinque Boss Fight, non una di più, che sicuramente non ci faranno ricordare il memorabile momento della sfida. Dei cinque boss affrontati, infatti, appena due avranno un senso narrativo degno del nome di Boss. Facili e scontate, rappresentano il punto debole di tutta l’esperienza, bilanciata, però, dalla classica longevità che ha sempre contraddistinto Devil May Cry: difficoltà crescente di modalità in modalità che vi spingerà sempre oltre il limite.

Se Zena chiama tu rispondi, belin

La realizzazione grafica di DmC meriterebbe di per sé ore fitte di spiegazione, proprio come quelle che abbiamo avuto il piacere di ascoltare da parte di Alessandro Taini, in arte Talexi, che ha curato molti aspetti artistici del nuovo titolo. Limbo è una città che si muove e che segue Dante: è l’antagonista massimo della produzione e farà di tutto per complicarvi la vita. La possibilità di modificarla con il rampino malefico vi permette, anche se in maniera scriptata, di mutare l’essenza della metropoli nella quale agite. La modernizzazione e la contestualizzazione di DmC è legata molto agli aspetti contemporanei della città: la stessa invasione che compie Dante nella torre della televisione, dove si sta trasmettendo il telegiornale che convince i cittadini su ogni storia fasulla (sa di conosciuto), è futuristicamente adatta. La realizzazione dell’intera città, poi, ci conferma Talexi e sottolineiamo anche noi, richiama moltissimo Genova, la città originaria del nostro connazionale autore del nuovo Dante: palazzi, nel mezzo della nostra avventura, che rassomigliano alle strutture storiche e anticheggianti della città ligure, condita, inoltre, anche da negozi dai nomi più strani e provocatori, senza voler svelare nulla di scandaloso. 

Lo stesso stile del personaggio è ricercato e soddisfa chi non ha passato questi mesi a lamentarsi di un personaggio che non avrebbe potuto ricalcare le gesta del precedente. In barba al passato il Dante attuale si ritrova anche, nella prima missione, con una parrucca bianca in testa e subito disdegna il ritorno al vecchio: un gesto che scuote la testa e fa cadere la chioma bianca. Il vecchio Dante non c’è più: bisogna vivere il presente. Critichiamo negativamente soltanto i 30fps, che non riescono a rompere la barriera prefissata, e un Unreal Engine 3 non eccessivamente sfruttato: facce troppo semplici e anonime che non si esaltano per particolarità. 

Chiudiamo con l’aspetto sonoro. Completamente tradotto in italiano, anche nei dialoghi, DmC si fregia di un doppiaggio non all’altezza del prodotto. L’interpretazione di Dante è scialba e poco pertinente, così come Vergil in alcuni tratti non sembra immedesimarsi nell’azione. La resa dei sottotitoli è, poi, abbastanza ridicola, ma non saranno sicuramente delle scritte a penalizzare la nostra valutazione quanto il lip-sync sfasato, che più volte si fa notare. In inglese il prodotto rende sicuramente di più, ma è necessario segnalare che il lavoro italiano stavolta è scadente.

Sfida alle streghe

Qualcuno, insomma, dovrà necessariamente ricredersi su DmC. Denigrare immediatamente il nuovo Dante non dev’essere stata una mossa astuta e saggia, soprattutto a fronte di un design e una realizzazione che dona una spinta alla IP Capcom. Indubbiamente qualche accortezza in più non avrebbe guastato e una fase platform troppo desiderosa di interrompere la possibile monotonia di DmC non aiutano Dante a raggiungere l’Olimpo. Nonostante ciò, però, siamo dinanzi a un action game di fattura pregevole che va subito a insidiare il successo di Bayonetta, in una sfida che affascinerà gli appassionati del genere. Imperdibile per un action gamer degno di tale appellativo.

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