Eat Lead: The Return of Matt Hazard – Recensione Eat Lead: the return of Matt Hazard

I videogiochi, come per ogni media quali letteratura e cinema, sono catalogati per genere. Dal loro albore, in cui la funzione meramente ludica dominava su ogni aspetto del prodotto, si è passati all’introduzione di tipologie in cui è presente una trama, le quali col tempo sono state evolute sempre di più puntando ad offrire narrazioni mature. Ma che dire della comicità? Già, perché se c’è un genere che di sicuro manca all’appello nei videogiochi è proprio il comico. Ma non più: Eat Lead: The Return of Matt Hazard, che qui ci apprestiamo a recensire, si propone come il primo vero gioco comico, una parodia degli ultimi 25 anni di storia videoludica che si presenta come una sorta di "videogioco nel videogioco".
 


 


Il mio nome è Hazard, Matt Hazard

I videogiochi ci hanno permesso (e ci permettono) di metterci nei panni di ogni sorta di personaggio, siano essi commando infiltrati in territorio nemico, cavalieri erranti o star dello sport. Nell’immaginario mondo di Eat Lead, Matt Hazard è un po’ tutto questo messo insieme: nell’introduzione ci viene raccontato come egli sia stato l’eroe dei videogiochi di maggior successo di sempre, con citazioni parodiche a svariati titoli realmente esistenti (quali, fra i tanti coinvolti: Duke Nukem, Wolfenstein, Contra, BioShock, e così via). Il tracollo giunse quando Matt ebbe l’idea di divenire protagonista un gioco di kart racing, distruggendo la sua immagine e portando quasi al fallimento l’azienda. Ma un nuovo amministratore delegato prende in mano le redini dell’azienda, e decide di tornare ad usare Matt Hazard dopo anni di silenzio. E qui inizia il gioco, che presto porterà alla luce un complotto per cancellare Hazard per sempre e rimpiazzarlo con nuovi eroi.
 


 


Mangiando piombo

Citazione dopo citazione, parodia dopo parodia, la delirante avventura di Matt Hazard prosegue. L’impostazione è quella di uno sparatutto in terza persona in cui in ogni scontro bisogna fare uso di coperture. È possibile portare con sé un massimo di due armi alla volta e utilizzare due potenziamenti che verranno sbloccati nel corso dell’avventura, più un paio di power-up che si troveranno sparsi qua e là. Le situazioni assurde del gioco porteranno alla creazione di cross-over multipli, dove ci si potrebbe ritrovare a combattere con ogni sorta di nemico: toglietevi dalla testa ogni previsione, perché entrando in un semplice magazzino potreste ritrovarvi davanti di tutto, da banditi del far west a space marine, o persino soldati nazisti bidimensionali – cosa che influisce anche sul nostro arsenale, visto che si maneggia di tutto, da semplici 9mm a pistole ad acqua, da revolver a fucili al plasma.
 


 


Hazard… spacca davvero?

Tutto oro quel che luccica? Purtroppo no. Passato l’entusiasmo iniziale e trascorsa un’oretta di gioco, ci si comincia a chiedere cosa il gioco possa offrire oltre ripetuti scontri all’insegna dell’"uccidi tutto ciò che si muove su schermo". Sebbene l’impostazione sia voluta e svolga un ruolo all’interno dell’ironia del gioco, alla lunga risulta piuttosto noioso, e se da un lato l’ironia fornisce il pretesto per questo, dall’altro è lecito chiedersi perché non si sia fatto di più per creare un gameplay più variegato, data la possibilità di slegarlo da qualsiasi senso logico. L’aspetto visivo non aiuta: non si tratta di un gioco particolarmente curato, e l’interattività nulla con l’ambiente costituisce uno dei maggiori elementi di banalità.

In definitiva, Eat Lead si rivela un gioco che considerato come puro strumento ludico è scarsamente efficace, ma stroncarlo per questo significherebbe negare la geniale cura riposta nel creare una trama in grado di "prendere in giro" buona parte della storia e dei cliché videoludici. Una prova è quasi d’obbligo.

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