Grand Theft Auto V – Grand Theft Auto V: il capolavoro di fine generazione?

Sarà pur vero infondo, a volte ritornano. Molto più spesso però, checché ne dica il maestro del terrore, non torna nessuno. Affatto. Saranno le insidie, la paura che sempre si cela in ogni ritorno, in ogni viaggio compiuto a ritroso, ricalcando le orme dei propri passi lasciate lì in un periodo diverso, un’altra vita. Quelli che tornano, in genere, li riconosci perché si tengono in disparte, sfuggono alle masse e mantengono un basso profilo, cercando di sgusciare, inosservati, verso i luoghi cari: la propria casa, il proprio quartiere, la propria gente, il proprio bar di fiducia. Poi ripartono e non li vedi più per anni. Nessuno, dopo tanto tempo, torna da dove è partito in pompa magna, facendosi notare; nessuno, a meno che non abbia qualcosa di valido da raccontare.

Rockstar lo fa, ritorna e ritorna con stile. Torna in una Los Santos che non è più quella del 1992, di San Andreas, bensì un’infida, sconfinata metropoli moderna, una giungla del 2013, coi suoi problemi e i suoi controsensi. Ritorna perché lì c’è ancora qualche storia cazzuta – stiamo pur sempre parlando di Grand Theft Auto, lasciatemi usare il linguaggio appropriato – che il mondo ignora. Ritorna per diversi motivi, forse perché era giusto così, perché ogni tanto bisogna pur farlo.

Ha atteso ben cinque anni, prima di compiere questo delicato passo; ora ci ritrova qui con una generazione agli sgoccioli: quella current-gen, come va molto di moda definirla adesso, che sembra proprio non volersi arrendere al pensionamento, limitandosi ad un inchino e ad una sommessa sortita, bensì voglia ancora stupirci col suo canto del cigno. In effetti, può vantare ancora qualche asso nella manica e, nonostante possa strabiliarci in molti modi, sono pochi i nomi su cui puntare. Non c’è da stupirsi se una delle migliori quotazioni, sul taccuino dell’allibratore fidato, sia appunto per Grand Theft Auto V. Puntate tranquilli, siore e siori!

Geneticamente superiore, geneticamente diverso

Sospensioni idrauliche, tum tum sordi delle musiche hip hop, testosterone, bolidi su ruote, sparatorie, sogni americani, bicipiti e steroidi anabolizzanti, tatuaggi da ghetto, mafia, sangue, puttane (non prostitute), crimine, crimine e ancora crimine. Perché mai dovrebbe essere un titolo così stereotipato e volgare a siglare la fine di tutto? Perché non qualcosa di più raffinato e poetico? Bè, prima di tutto perché Rockstar non ci ha mai deluso davvero. In secondo luogo, perché, celato sotto la logica P.I.M.P., anche in GTA c’è sempre stata una magnetica e particolare poesia. E poi perché? Perché Niko Bellic, nonostante l’acclamazione della critica e i grandi numeri di GTA IV (più di 25 milioni di copie vendute), non ci ha fatto dire yo! quanto CJ; perché San Andreas ha retto lo scettro troppo a lungo ed è impensabile che questa generazione scorra via lasciando che un titolo del 2004 la surclassi; perché a noi, infondo, la volgarità piace e niente ci rende più appagati del vedere il nostro pad fumante, subito dopo il suono dello sparo di un fucile a pallettoni.

Rockstar questo lo sa. Ecco perché, nei giorni scorsi, la stampa specializzata è stata invitata ad assistere ad una dimostrazione in alcuni dei principali studi della software-Houser, uno nella bassa Manhattan (NY) e l’altro in un aristocratico quartiere di Chelsea (Londra). Nessun hands on quindi, piuttosto un hands off come ha detto qualcuno, nient’altro che una sala proiezioni, uno schermo da 60 braccia, non pollici, e una PS3 di debug. No, nessuna californiana in bikini e shorts, nessuna lollipop girl in stile Lola del Rio, solo due membri dello staff pronti a svelare qualche meraviglia, ad eseguire qualche gioco di prestigio: uno, intento a giocare in tempo reale, l’altro occupato ad illustrare i vari passaggi con tipica verve da comunicato stampa.

Quello che è stato mostrato è il minimo indispensabile, quanto basta a dire al mondo “guardate, è tutto vero, la volgarità è qui e non ve la tocca nessuno”, a trasferire su uno schermo tutto quello che, sino a questo momento, era pura teoria. Quanto basta, cioè, a confermare che GTA V cambierà tutte le regole e offrirà al pubblico qualcosa di totalmente nuovo. Un gioco mastodontico, geneticamente superiore come direbbe Brucie, la cui mappa dovrebbe essere grande ben 3,5 volte quella di Red Dead Redemption, se ci si limita alla terraferma, e addirittura 5 volte se si tiene conto anche del fondale sottomarino. Dalla regia, i fanatici delle misure dicono – metro alla mano – che, nel complesso, sarà pari a Red Dead Redemption, San Andreas e GTA IV messi assieme. Boo-ya!

D’altronde, lo si è detto, GTA IV ha fallito. Siate onesti, in quanti oggi lo indicherebbero come loro capitolo preferito? Il successo economico, il plauso delle copertine, nulla è servito per ottenere quell’ambito posto d’onore che è possibile ritagliarsi solo nel cuore di ogni singolo fan. Una storia troppo lunga, un divertimento troppo blando, si è detto di tutto per cercare di motivare il fatto che solo una piccola porzione di tutti coloro che hanno giocato a GTA IV pare siano riusciti ad ultimare effettivamente la storia principale. Saranno i vari passi indietro fatti in materia di gameplay, saranno tutti quelli slavi e pseudo-sovietici col loro gelido clima da Guerra Fredda; resta il fatto che era necessario cambiare direzione, voltare le spalle ad una vuota e un po’ monotona Liberty City e tornare a osare di più, molto di più.

In molti temono che questo ritorno possa essere un flop, nient’altro che un nuovo GTA IV, un altro titolo troppo serioso e improntato al realismo che calpesterà i bei ricordi di quando le cose erano più cazzeggio e goliardia, di quando scorrazzavamo per il boulevard con la nostra auto sospinta dal protossido d’azoto, con la scritta Vinewood che scorreva fuori dal finestrino. A tal proposito, fece abbastanza scalpore un articolo di Forbes, quel Why I’m not looking forward to Grand Theft Auto 5 di un tal Dave Thier. Probabilmente, solo il 17 settembre sapremo con certezza se questo signore aveva torto o mirabili doti profetiche. Da parte nostra, ci sentiamo solo di dire che la ricerca del realismo è il leitmotiv videoludico odierno e che difficilmente sarà totalmente accantonato, onde evitare di risultare retrò e pericolosamente anacronistici. E allora? GTA V sarà noioso, per questo? Giudicate voi.

Una demo di ordinaria follia

Los Santos, fuori città. Un biposto – eh già tornano gli aerei – sorvola un’immensa area extraurbana di nome Blaine County. Tutto ciò che vi serve per una gita fuori porta è qui: montagne, laghi, fiumi, basi militari, centri abitati, fauna caratteristica del luogo e molto, molto altro ancora. Volete prendere la macchina e lasciarvi la metropoli alle spalle? Lo fate a vostro rischio e pericolo.

Un ragazzotto di colore si lancia nel vuoto, ad almeno un kilometro dal suolo. Un momento, questo non è il tizio del primo trailer! Ah già, è Franklin, uno dei tre protagonisti del gioco. Abile autista, tipico atteggiamento da gangster di strada, di quelli con le strette di mano scenografiche e la pistola puntata di traverso. L’aria non è però quella che si vede nei video rap, il muso duro racconta un’altra verità, quella di chi è abituato a lottare giorno per giorno nel proprio giardino, ad ogni angolo. L’aria di chi le forze dell’ordine le conosce bene ed è disposto a conviverci, talvolta sottomettendosi e talvolta no, finendo poi col fuggire a perdifiato per vicoli e canali di scolo. Un uomo in cerca di opportunità, sicuramente quello che definirebbero un ragazzo in gamba in quel di South Los Santos. Cosa sarà mai, per un tipo come lui, una passeggiata nel cielo? Di certo, il paesaggio è di quelli che ti possono togliere anche quel briciolo di respiro che ti rimane dopo qualche secondo in caduta libera. Ottimo rimedio contro la desolazione e la miseria del proprio circondario, eh Frank? Già, perché il panorama è dei più selvaggi e sembra non avere limiti: cime che bucano le nubi, foreste, cervi che fuggono impauriti, persone che divorano strade sterrate a dorso di quad e più in là, all’orizzonte, i grattacieli che fanno da barriera all’oceano. Però non c’è più tempo di giocare a volare sul tetto del mondo, è il momento di aprire il paracadute – assente in GTA IV, se non nell’espansione The Ballad of Gay Tony – e di raggiungere la meta, nel cuore dell’area rurale. La discesa sembra non finire mai, ma finalmente Franklin raggiunge un fiumiciattolo in una valle, disturbando la quiete di due pescatori intenti ad oziare vicino al camper, forse gareggiando per chi ha il pesce il più lungo.

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