Rain – Rain

La storia di un mondo invisibile rivelato dalla pioggia

Nella storia dell’uomo la pioggia ha sempre ricoperto un ruolo catartico per l’animo di ognuno di noi. Quell’incedere cadente dell’acqua dal cielo, quello che per molti poteva essere il pianto degli angeli, ciò che da bambini ci hanno raccontato essere il dispiacere di un’entità sovrannaturale che riversava il proprio dolore sulla nostra cruenta polvere. De André la cantava come compagna perfetta per il pianto, D’Annunzio ne cantò le onomatopee, una a una. Chiunque si renderebbe conto del mondo che la pioggia muta, mostra e palesa. Perché quando piove va di scena una realtà diversa, nuova, inaspettata e inattesa. Colori di ombrelli, ticchettii di gocce sull’asfalto, splash di piedi nelle pozzanghere, ombre che camminano nascoste dalla necessità di ripararsi, palazzi bagnati e tetti gocciolanti. 

Questo è lo scenario di Rain, un’avventura sui generis del Japan Studio; un’avventura che saluta questa generazione, che canta, sulle note di Debussy, l’ultima sinfonia di una generazione che ha saputo regalarci da Journey a Braid, fino a Limbo e ora Rain, storie oniriche, raccontate con emozione e che trasmettono il quid necessario e ultimo al raggiungimento della concezione artistica del videogioco. 

L’amore ai tempi della pioggia

Rain è una storia d’amore. Un rincorrersi sotto la pioggia di due figure bambinesche che, età galeotta, non hanno ancora scoperto il senso profondo dell’amarsi. Si rincorrono perché sono semplicemente attratti l’uno dall’altra, per necessità e per interesse, per un fine ultimo di salvezza, di piacere salvifico. Entrambi si sono ritrovati in un mondo oscuro, buio, tenebroso, pieno di pioggia. Una pioggia incessante che ha mutato l’intero ambiente, trasformandolo in una zona ignota, sconosciuta, nella quale brillano soltanto due luci, da due case: cosa ci sia lì dentro non è noto nemmeno ai bambini, che però sanno che rappresentano la meta della loro corsa, della loro fuga. Ancor prima, però, l’uno dovrà trovare l’altra, ritrovarsi e toccarsi, per poter notare le rispettive presenze. Una volta ricongiunti la città sarà meno tenebrosa, ma soprattutto sarà più facile sfuggire alle Bestie che popolano la città, tutte capitanate dall’Oscuro. 

Un racconto profondo, che si sviluppa tramite testi che seguiranno il vostro cammino, senza intralciare mai il vostro incedere sotto la pioggia. Un’esperienza nuova, un immedesimarsi in una realtà diversa: la pioggia e i vostri passi racconteranno lo sviluppo dell’intera vicenda in otto capitoli diversi, ognuno concentrato su una realtà e un’atmosfera, con dei titoli a effetto che possano trasmettere il senso del tutto in pochissime parole. Un successo narrativo che vi condurrà a scoprire cosa ha condotto i due bambini in quel mondo di tenebre e come potranno, ore e ore dopo, scapparne. A patto di poterlo farlo. 

C’è chi aspetta la pioggia per mostrarsi

Dicevamo di una corsa, di una fuga e Rain, per l’appunto, è questo. L’intero gameplay si articola in tre tasti azione, di cui uno decisamente secondario: con quadrato avrete la possibilità di correre, e dovrete farlo sempre, salvo quando dovrete per necessità di cose camminare lentamente e in punta di piedi; con il tasto X salterete, esclusivamente per aggrapparvi a delle sporgenze troppo alte da poter essere scalate automaticamente o per saltare dei burroni in corsa; infine con cerchio eseguirete le azioni che compariranno a schermo, come a esempio aprire una porta, chiuderla, spingere una scatola o salire una scala. Tutto molto snello e scheletrico, per un gioco che non fa del gameplay la propria forza, ma nell’esplorazione e negli enigmi.

Nelle prime battute, nei primi tre livelli dell’avventura, vi ritroverete a correre per la città delle tenebre da solo, così da poter assaporare l’esperienza di un gioco diverso dal normale e dai canonici. Ma dal quarto livello fino all’ottavo vi ritroverete in compagnia della bambina che vi ha condotto e indotto all’interno di questo mondo: insieme a lei si svilupperà un vero e proprio sistema di cooperativa con l’IA, costringendovi anche spesso a dover salvare o liberare la strada alla vostra compagna d’avventura. Questo significherà attivare il cervello e giocare di logica per trovare l’uscita giusta e la soluzione più adatta, che sarà principalmente una soltanto. Se in un primo momento, infatti, entrambi i bambini decideranno di scappare dall’Oscuro o dalle Bestie successivamente si armeranno di coraggio e punteranno a soluzioni diverse, cercando magari di imprigionare tutti i mostri avversi o, quando possibile, stenderli in altro modo. 

L’attenzione maggiore durante la vostra fuga va data alla pioggia: da lei dipenderà tutto il vostro futuro. Sotto di essa sarete visibili, sia a voi che alle bestie che a tutti gli altri presenti, bambina compresa. Sotto le tettoie o qualsiasi altro riparto che possa tenervi all’asciutto dalla pioggia sarete invisibili a tutti, compresi i vostri occhi. L’unica cosa che può darvi visibilità in assenza della pioggia sono le orme che lascerete a terra durante il vostro cammino: sarà in questo caso che dovrete stare attenti a non farvi scoprire da chi vi insegue e allo stesso tempo fare in modo di vedervi per capire dove recarvi. Con l’avanzare dell’avventura il tutto verrà reso più ostico dalla comparsa delle pozzanghere, rumorose anche sotto le tettoie, e degli accumuli di fango, che vi sporcheranno e vi renderanno visibili anche nell’invisibilità, almeno fino a quando non riuscirete a lavarvi interamente i piedi. I rumori potranno comunque venire dalla vostra parte quando dovrete per forza di cose attirare a voi dei mostri o usarli come arieti per sfondare un ingresso: soluzioni che dovrete cercare da voi e che dovrete trovare ogni volta per poter superare un valico che divide voi dalla vostra meta. 

Al chiaro di Luna

Per far sì che Rain funzioni nel suo insieme era essenziale affidarsi a una direzione artistica di altissimo livello. I JapanStudio hanno compiuto un lavoro incredibilmente preciso, disegnando uno scenario tenebroso e inzuppato di acqua e pioggia degna di Rain. Per quanto l’avventura sia interamente scriptata e tutti gli eventi accadono perché devono accadere, senza lasciare nulla al caso e senza permettervi di modificare il minimo movimento, l’esperienza scorre così come deve essere narrata. La stessa telecamera non è da voi manovrabile e non avrete alcuna possibilità di gestirla come meglio credete: è già scritto come essa dovrà muoversi e cosa dovrà mostrarvi. Anche per questo nel caso in cui doveste sbagliare strada finireste per il non vedervi più e la telecamera non vi seguirà: tutte le inquadrature sono scelte e create ad hoc per la narrazione e così quando volterete l’angolo avrete sempre una ben precisa scelta del regista su cosa vedere e come vederlo. Stile e direzione al servizio di una storia da narrare, che limitano l’aspetto ludico ma esaltano allo stesso tempo la narrazione. 

L’ambientazione è comunque perfetta, scura quanto basta e dissestata in maniera altrettanto vincente. Non c’è, però, interazione con l’ambiente se non nelle primissime battute: quando sarete soli, infatti, come dicevamo anche prima, dovrete necessariamente affidarvi a molti rumori ambientali e allora sbattere contro i barili o contro le sedie e i tavoli abbandonati per strada è essenziale. Nel proseguire, però, la città diventa sempre più spoglia e vuota, così da impedirvi qualsiasi tipo di interazione, se non con gli oggetti preposti e prestabiliti per le azioni, come le porte o delle scatole da spostare.

Infine arriviamo alla colonna e agli effetti sonori. Il compositore Yugo Kanno si è affidato a suoni flebili e che sono spesso offuscati dallo scroscio della pioggia e del suo sbattere sul terreno battuto dai piedi del protagonista. Per la main theme, invece, si è scelto il Chiaro di Luna di Claude Debussy, tra l’altro cantato, nel finale, da Connie Talbot, voce inglese di appena 12 anni che accompagna la suite bergamasque del compositore francese con voce angelica. Un insieme di realtà artistiche che non possono non sfociare in un racconto incredibilmente denso, supportato anche dal finale narrato con fumetti all’acquarello disegnati da Tomoharu Fujii.

La pioggia svanisce e tutto cambia

Cosa ne sarà di Rain nel ricordo generale di questa generazione non ci è dato saperlo, così come non possiamo sapere che reazione avrà il mondo videoludico dinanzi a Rain. Siamo lontani dall’idea di videogioco come traspare negli ultimi anni, anzi quello di cui abbiamo raccontato fino a ora è forse l’esatto opposto di ciò che maggiormente si cerca in un’esperienza videoludica. Però spesso è necessario soffermarsi dinanzi a un racconto, perché Rain trasmette lo stesso pathos che i racconti di Lost Odyssey avevano dato nella storia degli immortali, con l’aggiunta di un insieme onirico che racchiude l’intenzione di trasmettere qualcosa. Non sarà un videogioco in tutto e per tutto, ma Rain resta un momento catartico, un attimo salvifico, una storia pura per la quale sedersi in poltrona o sul divano e godersela per le sue cinque o sei ore, per sapere cosa avrebbe voluto musicare Debussy e perché quelle due ombre corrono sotto la pioggia. Alla ricerca della luce. La luce che ucciderà l’Oscuro. 

Rain è un’esperienza che va fatta. Perché ce la meritiamo. 

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