[GDC14] Remedy e gli scenari videoludici: come scrivere una storia

Alla Game Developer Conference 2014, a Colonia, nei giorni che precedono l’avvio dei lavori per la Gamescom, le conferenze si concentrano e si incentrano su quelle che sono le nozioni basilari per la programmazione e la creazione di un prodotto videoludico. Tra queste non poteva mancare Remedy, che ha provato a fornire ai presenti – decisamente molti, tanto da costringere qualcuno a sedersi a terra nonostante l’ampia sala a disposizione – qualche indicazione, molto sommaria, su come si crea una storia per un videogioco.

Figlio dell’esperienza di Alan Wake e dei primi due Max Payne, nell’attesa dell’arrivo di Quantum Break, a rappresentare la Remedy e a tenere la conferenza è stato Kyle Rowley, ex designer di Homefront 2 per Crytek e attualmente senior designer nell’azienda finlandese, a lavoro proprio su Quantum Break. Rowley, però, durante la sua dissertazione durata quasi un’ora non ha fornito elementi di grande spessore, anzi, calcolando che la platea era formata da sviluppatori o comunque da persone che sono addentro al sistema e al mondo videoludico, avrebbe potuto sicuramente approfondire alcune tematiche interessanti, invece di incanalare il suo discorso in cliché narrativi. alan wake

L’elemento statistico interessante fornito da Remedy è l’asserire che soltanto il 15% dell’intero prodotto è rappresentato e realizzato con dei cinematics, con il restante 85% che viene narrato attraverso il medium ludico. L’obiettivo di ogni scena ricreata, in un segmento narrativo, è quella di condurre il protagonista dell’avventura a un obiettivo, un goal, con un risultato da perseguire. Ma in che modo è possibile far presentare l’obiettivo della vostra protesi digitale? L’esempio che viene mostrato da Rowley è quello di Alan Wake, che con un monologo annuncia la necessità di recuperare un oggetto collocato su un albero, così da farvi intuire e mostrare al videogiocatore qual è l’evoluzione narrativa di cui avete bisogno e che dovete necessariamente seguire. Va da sé che un obiettivo narrativo può essere presentato in molteplici modalità e non solo un monologo: sfruttando la disponibilità degli NPC, o anche dei cinematics, o ancora fornendo un reale obiettivo come può essere il dover raggiungere una struttura o il dover uccidere tutti i nemici che vi si pareranno innanzi.

Proprio riguardo quest’ultimo aspetto Rowley si è soffermato per qualche minuto sul player gating, un elemento essenziale dal punto di vista della creazione dello sviluppo del personaggio e dello svolgimento narrativo: il porre delle sbarre, dei limiti al personaggio, che non potrà avanzare in determinate condizioni se non dopo aver soddisfatto determinati obiettivi. Uccidere un certo quantitativo di nemici per poi poter andare al segmento narrativo successivo è una decisione presa da chi scrive e compone lo scenario e con il player gating si arriva a dare un dettaglio ben preciso di questo elemento. Al centro del segmento è necessariamente collocabile il conflitto tra il protagonista e l’antagonista: è proprio nella parola che risiede l’essenza vera e propria del virale, che non è il “cattivo”, ma semplicemente colui che crea la dicotomia con la nostra protesi digitale, colui che gli va contro e gli è avverso. Cercare di creare un conflitto che non sia tanto rappresentato nel segmento, ma nell’intera struttura narrativa è la priorità per fornire degli elementi tangibili di spessore e di profondità, capaci di rimpinguare la forza narrativa del medium. Da affiancare all’elemento conflittuale c’è anche l’esposizione del personaggio, il suo sviluppo: tale aspetto comporta delle modifiche soprattutto dal punto di vista delle animazioni. Un protagonista può iniziare la sua avventura con fare buffo, o spavaldo, per poi arrivare a una maggiore serietà nei gesti e nelle azioni: Remedy ovviamente fa riferimento ai suoi capisaldi, per l’appunto Max Payne – non il terzo, sia chiaro – e Alan Wake, ma noi possiamo pensare a qualsiasi protesi digitale che ci è cara e più vicina per renderci conto che l’evoluzione psicologica comporta un’evoluzione gestuale. Allo stesso modo l’esposizione permette anche l’inserimento di alcuni elementi accidentali all’interno dell’intero prodotto: compaiono, quindi, i collezionabili, tra cui, per esempio, i termos del caffè di Alan Wake.

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La conferenza si conclude con un aspetto saliente di quella che è la produzione Remedy: l’azienda mira sempre a far sì che l’intero team sia a conoscenza della storia, della sua evoluzione, dei suoi cambiamenti, così da far sì che tutti i dipendenti possano uniformemente essere a conoscenza del prodotto che si sta sviluppando. Va da sé che, come detto anche poc’anzi, la conferenza si sarebbe potuta gestire meglio, diversamente, articolandosi con degli elementi più tangibili piuttosto che venendo a fornire delle informazioni molto generiche.

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