Shadow Of The Beast – Recensione

Alla fine degli anni ’80 l’Amiga 500, l’ammiraglia di Commodore che fu tra le piattaforme più potenti della storia videoludica, era ormai in produzione da quattro anni, ma mancava ancora di un titolo che potesse esprimerne le reali potenzialità tecniche e di stile. Quella, insomma, che oggi chiameremmo Killer Application: quei titoli che, da soli, giustificano l’acquisto di una piattaforma.

Nel 1989 Psygnosis, azienda inglese con già al suo attivo ottimi titoli come Deep Space, Barbarian e l’avveniristico (per l’epoca) Obliterator, decise di esplorare a fondo le caratteristiche hardware del 16-bit di Commodore, creando quello che sarebbe diventato uno dei migliori titoli per Amiga 500 (e in seguito convertito per praticamente qualsiasi sistema a cavallo tra gli anni ’80 e ’90): Shadow Of The Beast.

Sfruttando i potenti processori della piattaforma, l’azienda inglese creò un titolo dal comparto tecnico mai visto prima, con sprite e personaggi di dimensioni generose, musiche eccellenti (a opera di un David Whittaker all’epoca già bravissimo), un’atmosfera affascinante e uno scrolling parallattico (sezioni del fondale che si muovevano in modo indipendente per simulare l’effetto di profondità) a dodici piste. Traguardi, questi, del tutto impensabili all’epoca.

Gli sviluppatori di Psygnosis, tuttavia, non si accontentarono di creare un comparto tecnico ai massimi livelli, ma ci costruirono intorno un eccellente action-platform decisamente giocabile e impegnativo, e un sistema di promozione altrettanto ben studiato: dall’imponente confezione del gioco fino all’illustrazione di copertina, realizzata da Roger Dean. Dopo aver sviluppato due seguiti di Shadow Of The Beast, e ormai forte del meritato successo della sua creatura, Psygnosis (in seguito divenuta SCE Liverpool Studio e poi Sony Studio Liverpool) negli suoi anni di attività dal 1984 al 2012 si sarebbe costruita un solido e corposo curriculum di eccellenti titoli, la maggior parte dei quali caratterizzati da un livello di difficoltà elevato ma appagante. Fu la From Software degli anni ’80, per così dire.

Nel 2013, anno successivo alla chiusura dell’azienda di Liverpool, nel corso della Gamescom venne annunciato un remake del primo Shadow Of The Beast. Passati altri due anni, durante i quali i fan del titolo originale sembravano ormai aver perso le speranze, nel corso dell’E3 del 2015 Sony mostrò un gameplay praticamente definitivo del titolo. Disponibile in versione digitale (finora una versione retail sembra prevista per il solo mercato asiatico) questo Shadow Of The Beast, distribuito da Sony Interactive Entertainment in esclusiva per PlayStation 4, prova oggi a raccogliere l’eredità di quel primo, e ormai leggendario, titolo Psygnosis grazie al lavoro di Heavy Spectrum Entertainment Labs.

Le ambientazioni sono ispirate al titolo originale
Le ambientazioni sono ispirate al titolo originale
Io sono la bestia

La storia del remake di Shadow Of The Beast non è né un seguito degli avvenimenti visti nel titolo di Psygnosis, né una storia nuova, ma riprende e approfondisce la narrazione del titolo originale. Le vaste e desolate terre di Karamoon si trovano ormai sotto la dittatura di un ambizioso mago conosciuto come Maletoth che, come ogni tiranno che si rispetti, si tiene ben lontano dai campi di battaglia, preferendo di gran lunga circondarsi di eserciti, schiavi e bestie. Nel tentativo di creare una sorta di guerriero definitivo da utilizzare come arma personale, Maletoth ordina il rapimento di un bambino di pochi giorni e, nel corso di un complesso rito di magia oscura, ne muta le sembianze trasformandolo in una sanguinaria creatura: il nostro protagonista Aarbron.

Venuto a sapere dell’esistenza di una bambina dalle stesse caratteristiche di Aarbron, e volendo ampliare il numero di creature sanguinarie ai propri ordini, Maletoth incarica del rapimento il suo fedele braccio destro Zelek, che decide di portarsi dietro, come arma, proprio il nostro protagonista. Rintracciata la bambina nelle protettive mani di una setta di Cercatori, Zelek costringe Aarbron a una carneficina che, nel suo culmine, lo porterà a riflettere sul suo passato e a ribellarsi. Vista la pessima piega presa dagli eventi, Zelek cerca di fuggire portandosi via la bambina, inseguito da un Aarbron sempre più inferocito, ormai consapevole della sua reale identità e fermamente intenzionato ad attraversare le terre di Karamoon, dal Regno delle driadi fino alle Distese aride, per mettere finalmente fine alla tirannia di Maletoth.

La storia non sarà subito comprensibile
La storia non sarà subito comprensibile
Il rancore del sangue

Anche il sistema di controllo riprende a grandi linee quanto visto nel titolo di Psygnosis, con l’aggiunta di un sistema di combattimento molto più vario e profondo. I pulsanti utilizzati sono ridotti al minimo, tra attacco base, stordente, salto e parata, comunque in grado di garantire un parco piuttosto vario di attacchi. Padroneggiare il sistema di mosse, così come il tempismo degli attacchi, risulta fondamentale: le meccaniche del titolo sono infatti ben lontane dal classico vai avanti e premi ripetutamente il pulsante di attacco (un sistema invece abusato in molti titoli simili). Ogni tipologia di avversario necessita di una tecnica ben precisa per poter essere affrontata: dai nemici dotati di scudi, che sarà necessario aggirare per poterli attaccare alle spalle, fino ad avversari talmente veloci da dover essere prima storditi.

In nostro aiuto verrà anche una barra rossa, ricaricabile uccidendo gli avversari, che permette di effettuare attacchi speciali in grado di farci recuperare energia (il titolo non usa la classica barra dell’energia, ma un sistema di punti numerici identico a quello del titolo originale), di effettuare una letale sequenza di colpi con un semplice QTE (Quick Time Event) e di aumentare il punteggio generale. Padroneggiare i vari stili di combattimento, quindi, si rivela fondamentale anche per acquisire un maggior numero di punti mana, molto importanti e in grado di dare al titolo una pur vaga impostazione RPG. Uccidere avversari con il giusto tempismo, trovare oggetti nascosti, finire i livelli in minor tempo, portare a compimento una lunga serie di colpi di fila, in generale affrontare l’avventura con un certo stile, permette infatti di ottenere varie qualifiche (le classiche medaglie oro, argento, bronzo e piombo) e acquisire punteggi da spendere nella cosiddetta Saggezza delle ombre per sbloccare potenziamenti, sottotitoli dei dialoghi (personaggi e nemici parlano una lingua inizialmente incomprensibile. Sarà necessario sbloccarne a mano a mano i relativi sottotitoli), filmati, colonne sonore, biografie di personaggi, descrizioni dei nemici, amuleti e altri contenuti. Tra questi troviamo un’interessante prospettiva dedicata alla saga originale e persino una perfetta emulazione del primo titolo per Amiga 500, con relativo video gameplay completo.

Lo stile di gioco, oltre ai numerosi combattimenti, richiede anche la risoluzione di alcuni enigmi ambientali, mai invadenti, e un’attenta esplorazione dei vari livelli, allo scopo di attivare eventi alternativi, trovare oggetti utili e distruggere delle sfere che permettono di sbloccare ulteriori filmati in grado di approfondire la storia principale. Tra le numerose opzioni e modalità troviamo la possibilità di diminuire o togliere del tutto gli HUB presenti su schermo, la classica selezione del livello di difficoltà, un tutorial sempre esauriente e attivo e la possibilità di resuscitare a piacere utilizzando elisir (limitati) o anime (infinite).

Quest’ultima possibilità, comunque disattivabile, accentua quello che forse è l’unico vero difetto di questo remake: la brevità. Nonostante un’alta rigiocabilità, necessaria per sbloccare i numerosi contenuti extra, difficilmente la nostra avventura nelle terre di Karamoon durerà più di una manciata di ore.

Un discorso particolare merita la componente multiplayer online: oltre alle classiche classifiche e sfide, è presente la possibilità di evocare le anime di altri guerrieri per farci aiutare nelle sezioni più difficili e per guidarci verso zone ancora inesplorate. Un meccanismo interessante, che riprende in parte quanto già sperimentato da From Software nei suoi soulslike.

Il titolo è ricco di interessanti extra
Il titolo è ricco di interessanti extra
Lo splendore di karamoon

Gran parte dello stile tecnico di questo Shadow Of The Beast riprende le ispirazioni del titolo originale, a partire dalla visuale. Ben lontani dal riprendere la classica telecamera in terza persona, tipica di molti remake, gli sviluppatori hanno saggiamente preferito mantenere una visuale laterale tipica dei platform degli anni ’80 e ’90, nonostante siano comunque presenti numerosi cambi di distanza della telecamera, molti dei quali decisamente d’effetto. Una scelta adatta per mantenere l’attenzione sulle fasi più movimentate e per rendere ulteriore omaggio al titolo di Psygnosis.

Il comparto tecnico è ovviamente migliorato sotto tutti gli aspetti, ma in modo ancora migliore rispetto a quanto visto in altri remake di titoli storici. Il remake di Heavy Spectrum propone infatti modelli poligonali ben realizzati, un frame rate quasi sempre fisso a 60 fps e scenari ricchi di dettagli. Ma al di là dell’innegabile buona realizzazione tecnica, è l’atmosfera generale del titolo a risultare ancora migliore: tra gigantesche astronavi-robot, ambientazioni a metà tra l’antico e il futuristico, nemici dal design ispirato, tramonti di fuoco, vasti deserti e antichi templi, gli sviluppatori hanno pienamente rispettato, persino migliorandole, le atmosfere del titolo originale.

Anche sul versante sonoro il lavoro è stato più che buono: a fronte di effetti sonori ben realizzati, anche se poco vari, troviamo un’eccellente colonna sonora dinamica, a metà tra l’epico e il drammatico, realizzata questa volta da un ispiratissimo Ian Livingstone.

Un discorso a parte va fatto per la scelta, azzeccata, di includere anche il primo originale Shadow Of The Beast per Amiga 500. L’emulazione, infatti, è realizzata con una cura eccellente, comprensiva di filtri anti-aliasing vari, un ottimo sistema di controllo e persino dell’opzione di invincibilità. Una scelta, quest’ultima, piuttosto utile vista la difficoltà del titolo originale.

L'atmosfera rimane affascinante
L’atmosfera rimane affascinante

Quello dei remake è sempre stato un campo difficile per gli sviluppatori, specialmente in caso di titoli ormai entrati nella storia videoludica come il primo Shadow Of The Beast del 1989. Il rischio di deludere gli appassionati di vecchia data è altissimo, così come quello di non riuscire a interessare le nuove generazioni di giocatori. Per fortuna, non è questo il caso: gli sviluppatori sono riusciti infatti a creare un ottimo remake, decisamente fedele alle meccaniche e alle atmosfere del titolo originale, ma allo stesso tempo abbastanza rinnovato, approfondito e migliorato da poter destare nuovo interesse. Grazie a un riuscito stile visivo a metà strada tra lo Shadow Of The Beast del 1989, God Of War e 300 (il film), alla varietà dello stile di combattimento, all’ottimo comparto tecnico e all’alto numero di interessanti contenuti sbloccabili, il lavoro di Heavy Spectrum può essere considerato un eccellente remake. Nonostante rimanga il difetto della brevità generale dell’avventura, solo in parte aumentata grazie all’alta rigiocabilità del titolo, la pesante eredità del capolavoro di Psygnosis è stata rispettata in modo più che dignitoso.

8

Pro

  • Tecnicamente ottimo
  • Include l'originale del 1989
  • Molti contenuti extra
  • Altamente rigiocabile
  • Atmosfere affascinanti

Contro

  • Avventura principale breve
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