The Evil Within

Varcata la grande porta d’ingresso della diroccata villa immersa nel verde ci accoglie un’imponente scala a doppia rampa semicircolare, in legno, illuminata dalla spettrale luce della luna che, attraverso i secchi alberi del giardino e le imposte dell’atrio, dona allo scenario un aspetto allo stesso tempo surreale e terrificante: siamo pronti a scommettere che sulla destra ci sia una grande sala da pranzo e, forse, dietro alla porta a sinistra ci possa essere un non morto che, di spalle, sta pasteggiando con il cadavere di un malcapitato.

Poi ritorniamo in noi: non siamo in QUELLA casa, questa non è la periferia di Raccoon City e questo non è il primo, storico, Resident Evil. L’atmosfera che ci ha accolto porta però nero su bianco la firma di un Shinji Mikami di altri tempi, mandando l’hype alle stelle: che finalmente il papà di RE sia riuscito a lavorare su un progetto che riporterà in auge il survival horror?

Un genere dimenticato

C’era una volta Alone in the Dark, capostipite e patriarca videoludico di un genere che, anni dopo, avrebbe spopolato su Playstation One: stiamo ovviamente parlando del survival horror, che dalla fine degli anni ’90 alla metà degli anni 2000 ha terrorizzato eserciti di videogiocatori in tutto il mondo. I primi tre capitoli di Resident Evil – senza dimenticare il bellissimo Code Veronica – e poi Silent Hill, Parasite Eve, i remake di Alone in the Dark persino su Game Boy Color, e ancora Clock Tower, Fobidden Siren, Demento, Deep Fear (grande esclusiva Sega Saturn) e tantissimi altri meritevoli titoli che per motivi di spazio non posiamo citare in questa sede hanno contribuito a sdoganare il survival horror rendendolo un genere importante tanto quanto il platform o l’FPS.

L’onnipresente FPS, per l’appunto, che ha finito con il rovinare tutto: la decisa virata verso l’azione e la spettacolarità a tutti i costi imposta dai moderni shooter ha contagiato i generi più riflessivi e lenti ed ecco che, magicamente, anche le serie più paurose hanno iniziato a presentare quella componente action che per forza di cose erodeva lo spazio da dedicare alla tensione, alla paura, all’horror come tanto piaceva ai fan del primissimo RE. Non stiamo demonizzando tutto ciò che è venuto dopo, sia chiaro: abbiamo amato alla follia Dead Space e simili nonostante il loro essere ibridi horror/TPS. Stiamo semplicemente sostenendo la condivisa tesi di chi definisce survival horror solamente i titoli sopra citati, usciti nel breve lasso di tempo in cui ogni sviluppatore appassionato di horror seguiva l’innovativa linea tracciata da Resident Evil.

Un urlo. Qualcuno che sembra un dottore trascina un’altra figura al di là di una pesante porta, che si chiude rivelando un grande emblema inciso su di essa. Ritorniamo alla realtà, accorgendoci solo ora della lunga digressione. Abbiamo ancora un sorriso stampato in faccia: lo stile di Mikami si vede, e questo l’abbiamo capito. La speranza si riaccende, mentre l’ambientazione della casa sembra sempre di più evidenziare la componente horror a discapito dell’azione, del TPS, di tutto quello che in questo momento – per farla breve – non ci interessa. Abbiamo solo pochi minuti e intendiamo assaporali tutti: ancora galvanizzati da questa E3 e da quanto abbiamo visto fin’ ora, ci concentriamo appieno su The Evil Within.

Grigio e malato

Il titolo di questo paragrafo è composto dai primi due aggettivi che si sono venuti  mente per descrivere quanto abbiamo visto su The Evil Within all’E3 2014: “grigio” per la palette cromatica slavata in stile Silent Hill, in grado di amplificare il senso di angoscia dato dalla privazione del colore; “malato” perché anche i più piccoli particolari del gioco, come i menu o il sistema di potenziamento del personaggio – gestibile da una sedia che sembra uscita direttamente dalla serie Saw – sono appositamente studiati per essere disturbanti e restituire un senso di terrore che far venir voglia di girarsi di scatto mentre si gioca, giusto per vedere se nella stanza è tutto ok. Inutile dire che è quel genere di sensazione che, da appassionati di Survival Horror quali siamo, non provavamo da parecchio tempo.

Passando a quello che è stato mostrato in termini di vero e proprio gameplay, pare che The Evil Within giocherà molto sull’alternanza di due ambientazioni, raggiungibili attraverso dei passaggi dimensionali collocati negli specchi: gli sviluppatori hanno sottolineato come per buona parte dell’avventura faticheremo a capire cosa è reale e cosa no, spiegandoci come proprio questa componente di mistero sia una delle caratteristiche horror più riuscite nel loro prodotto. Nella casa, l’ambientazione che abbiamo descritto in apertura e nella quale era ambientata praticamente l’intera sessione di gameplay mostrataci all’E3, abbiamo capito come Sebastian – il protagonista dell’avventura – dovrà muoversi per sopravvivere: sembra avrà molta importanza muoversi di soppiatto e al buio, dal momento che i nostri passi e la luce della lanterna – non una torcia, ma una lanterna, altro apprezzatissimo elemento retrò alla Alone in the Dark – avvertiranno i nemici della nostra presenza. Da alcuni di essi, inizialmente impossibili da battere, sarà necessario fuggire, mentre con altri si potrà ingaggiare un combattimento: in questo caso il sistema di puntamento sarà il solito in voga dai tempi di RE4, alle spalle del protagonista, anche se la mira di Sebastian non sarà poi così precisa.

Da tutto ciò traspare la volontà di dare al titolo un taglio survivor, accentuato anche dalla scarsità di risorse belliche disponibili: ci è stato mostrato come servano parecchi proiettili per atterrare un nemico e di come possa essere più saggio, per fare un esempio, ferirlo alle ginocchia per costringerlo a terra finirlo incendiandolo con un fiammifero, conservando così piombo nel caricatore per le situazioni peggiori. In The Evil Within i nemici storditi a terra prendono fuoco come se fossero impregnati di benzina: pare che dovremo sfruttare a fondo questo vantaggio durante le lunghe sessioni di esplorazione.

Non mancheranno nemmeno gli enigmi e le situazioni adrenaliniche in cui serviranno precisione e riflessi per evitare il game over: accettiamo di buon grado questo compromesso dal momento che,  lo ammettiamo, oggi è impossibile appassionare un videogiocatore con la sola suspance. Se l’abilità del team guidato da Mikami sarà all’altezza delle nostre aspettative, il bilanciamento tra esplorazione e momenti di concitazione dovrebbe garantire la giusta dose di salti sulla sedia e colpi di scena.

Ultima caratteristica degna di nota che ci è stata mostrata all’E3, l’uso dei medikit: ripristinare la propria salute significa iniettarsi con una siringa una bella dose di antidolorifico e adrenalina. Se con i medikit piccoli fila tutto liscio, quando avremo bisogno di recuperare molta salute perché ridotti allo stremo da un combattimento i problemi saranno maggiori: l’iniezione del medikit grande stordirà Sebastian per qualche secondo, un po’ come accadrebbe nella realtà. Questo si tradurrà in immagini sfocate, difficoltà di movimento e piena vulnerabilità agli attacchi di eventuali mostri nelle vicinanze: l’ennesimo elemento che ci ha fatto capire quando The Evil Within terrà il giocatore sul chi vive in ogni momento, rendendo un’esperienza paurosa persino un momento positivo come il ripristino della salute.

Shinji, non deluderci

È tutto quello che possiamo dire dopo aver assistito agli intensi, pochi minuti di presentazione di The Evil Within in quel di Los Angeles. L’impressione di trovarsi, una volta nella hall della magione, all’interno della casa di Resident Evil ci ha investito con un misto di eccitazione e terrore. Confidiamo in Shinji Mikami e nel suo team perché arrivati al 24 Ottobre 2014 – data ufficiale i uscita del gioco – quel logo che tanto ricorda quello di The Evil Dead di Sam Raimi non sia solamente una citazione, ma una vero e proprio ritorno alle origini per il tanto bistrattato genere del survival horror.

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