The Last Door

Il troppo storpia è un popolare detto applicabile davvero a ogni cosa, compresi i giochi indie. Dopo anni di diffusione, sentire ancora parlare di “videogiochi dalla grafica retrò”, “omaggio alle vecchie generazioni” e così via, suona sempre meno come un vanto e molto di più come una scusa per nascondere una mancata capacità di produrre qualcosa di accattivante. The Last Door, avventura grafica di produzione spagnola, ricade in pieno in questa discussione: il suo aspetto fatto di pochi pixel di grosse dimensioni, infatti, lo rende alla stregua di un prodotto poco più evoluto di un qualsiasi gioco per Atari 2600. Ma dobbiamo già rimangiare quanto detto, perché The Last Door è davvero bello.

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La più antica paura

The Last Door viene concepito inizialmente come un breve gioco realizzato per browser (lo trovate qui), successivamente approdato su Kickstarter con l’idea di diventare un prodotto a episodi. L’idea colpisce e viene finanziata con sempre maggiore successo di episodio in episodio, fino ad arrivare alla conclusione della prima stagione, che è possibile acquistare in blocco con il nome di The Last Door – Collector’s Edition. Ma cosa ha spinto le persone ha investire in questo titolo, e noi a consigliarvelo già dal primo paragrafo? Due parole, due sentimenti: inquietudine e paura.

Seppur senza riferimenti diretti, il gioco è un omaggio alla produzione letteraria di H.P. Lovecraft, meglio riuscito di molti altri concorrenti. Troppe volte è infatti capitato che nomi ed elementi ricorrenti delle opere dell’autore americano venissero usati in contesti che per nulla ne incanalavano lo spirito, abusando di rappresentazione grafica e facili cliché da cinema horror commerciale. The Last Door, nel suo minimalismo, riesce invece a mettere quel senso di disagio e paura verso l’ignoto e verso qualcosa che pare costantemente osservarci e seguirci, avvolgendo nell’atmosfera cupa e misteriosa l’utente sin dai primi momenti del gioco.

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Benvenuti a villa Derceto

A voler mettere chiarezza da subito sullo stato d’animo che l’opera vuole comunicare, l’inizio del gioco richiede al giocatore di aiutare un uomo, Anthony, a commettere il suicidio, impiccandosi. Ogni azione si alterna alle frasi delle sue ultime parole, indirizzate al vero protagonista del gioco, Jeremiah Devitt. Il primo capitolo è dedicato al ritrovamento del corpo di Anthony sul soffitto della sua villa – un chiaro omaggio a un altro gioco fortemente ispirato a Lovecraft, ovvero Alone in the Dark.

Una volta concluso il primo capitolo, il resto dell’avventura vede Devitt impegnato a districare il mistero della morte dell’amico, indagando sul passato comune di entrambi, attraverso una storia di segreti pericolosi, occultismo e soprannaturale.

Trattandosi di un’avventura grafica, l’esplorazione avviene tramite mouse, semplificando al massimo l’interazione: si agisce con il tasto sinistro, e si esamina con il destro, e il cursore che cambia automaticamente quando si è sopra qualche oggetto cliccabile. C’è l’inventario, e spesso capita di dover unire più oggetti tra loro, ma in generale nessun enigma risulta troppo complesso o illogico al punto da distogliere l’attenzione del giocatore dal punto focale del gioco, che come abbiamo specificato è l’atmosfera. Ma come fanno dei semplici pixel a spaventare?

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Anche la morte può morire

La tecnologia usata per il gioco è l’ormai vetusto e abbandonato Flash Player, limitato, e il gioco si limita a una finestra piuttosto piccola o uno schermo pieno troppo invasivo, ma ciò non importa: vi spaventerete lo stesso. Il limitato numero di pixel usati per rappresentare ogni cosa induce erroneamente a credere che non sia possibile destare paura a causa dell’impossibilità di rappresentare espressioni facciali e della bassa definizione degli elementi. Eppure, quando vi ritroverete a rientrare in una stanza, che al vostro ultimo passaggio era vuota, trovandola piena di corvi che fissano il protagonista, state certi che il senso di sicurezza svanirà immediatamente. Questo soprattutto grazie all’aspetto che più ci ha coinvolto: l’audio.

La libreria di suoni utilizzati è spartana, ma perfettamente integrata a ogni scena. Scricchiolii di legno nel silenzio e nel buio, risate di bambini in luoghi abbandonati, lamenti in lontananza. Tante piccole cose che istigano l’attenzione, mettendo in allerta su cose che potrebbero accadere, e che si verificano o non si verificano con uguale probabilità, non rendendo mai scontato nessun esito. Al contempo, l’accompagnamento musicale è qualcosa che rivaleggia con produzioni ad ampio budget. Quando non saremo immersi nel silenzio, la colonna sonora composta ed eseguita da Carlos Viola trasporta le emozioni e le fantasie con un’orchestra di archi e piano, con uno stile e un’adeguatezza raramente visti altrove.

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