The Solus Project – Recensione

Pezzo dopo pezzo, il 7 giugno The Solus Project è finalmente giunto al suo stadio finale: se il nome non vi suona nuovo è perché siete degli affezionati di Gamesource/VGNetwork e vi ricordate del nostro primo incontro con l’avventura-survival game ideata e sviluppata da Sjoerd “Hourences” De Jong e dai ragazzi di Grip Games ma, per chi se lo fosse perso, ecco per voi un breve ripasso, proprio dal punto in cui avevamo lasciato la sfortunata spedizione spaziale, indispensabile per capire al meglio se tutte le impressioni positive del hands-on siano state confermate e se i piccoli difetti riscontranti siano stati corretti.

Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati

Le cose sulla Terra non vanno benissimo anzi, con ogni probabilità, il nostro pianeta come noi lo conoscevamo non esiste più e noi, ultimi sopravvissuti della razza umana, siamo stati spediti in orbita alla ricerca di un nuovo pianeta da colonizzare. Ma si sa, quando inizia a piovere, poi spesso grandina anche e così, anche la missione di cui siamo stati incaricati, non va affatto nel verso giusto e, giunti in prossimità nel pianeta Gliese-6143-C, il nostro razzo spaziale su cui stiamo viaggiando viene colpito da un oggetto non bene identificato proveniente dal corpo celeste ed in men che non si dica, ci troviamo da soli, senza risorse, senza compagni di viaggio – tutti quanti probabilmente morti a seguito dell’impatto – su un pianeta in cui sono piuttosto frequenti delle poco accoglienti tempeste di meteoriti ed uragani e del tutto disabitato. O forse no? Uno degli aspetti che ci aveva maggiormente colpiti dell’introduzione di The Solus Project era stato proprio il suo raccontare-non raccontare, il farci capire che noi non eravamo soli su quel pianeta, che Gliese-6143-C aveva – o sta ancora – ospitando altre forme di vita, che degli alieni, adorati come delle vere e proprie divinità, avevano condotto una razza a loro inferiore verso una nuova casa ma che, tanto per cambiare, anche questa storia aveva dei risvolti più cupi ed una guerra intestina fra le divinità aveva causato l’estinzione o comunque la sparizione dei nuovi abitanti di Gliese-6143-C. Su questo background narrativo, Sjoerd “Hourences” De Jong e Grip Games hanno innestato un gameplay da survival atipico, molto diverso da quanto visto nei vari ARK: Survival Evolved o The Long Dark: le funzioni vitali vanno sì costantemente monitorate tramite un piccolo computer che portiamo sempre con noi, ma certamente non ricoprono un ruolo così fondamentale ed azioni come bere, mangiare e riposarsi non risultano affatto invasive e far sì che tutti i parametri rimangano stabili non è un’azione complicata. Questo è certamente un bene per godersi al meglio la storia raccontata da The Solus Project ma d’altra parte, chi fosse alla ricerca di un vero e proprio survival potrebbe rimanere scontento del modo in cui queste meccaniche sono state solo accennate dagli sviluppatori e che, proprio come nella fase anticipata, anche a gioco completo ricoprono un ruolo secondario: anzi, proprio mentre giungevamo al termine dell’avventura, le bottiglie e le riserve di cibo erano talmente abbondanti e ricorrenti sul nostro cammino che facevamo fatica a trasportarle con noi per via dell’inventario limitato. Un discorso del tutto analogo può essere fatto per altri due elementi del gameplay. Il primo è un classico dei survival game ed è il crafting, che già in fase di anteprima definimmo molto semplificato: niente rifugio da costruire e nessun particolare strumento da comporre pezzo dopo pezzo nemmeno nelle fasi avanzate del gioco. Questa scelta permette sicuramente di godersi al meglio la (dis)avventura in prima persona senza essere costretti a montare un bullone alla volta anche un singolo tubo, ma il fatto che una torcia accesa ad inizio gioco la si possa conservare fino al termine risulta piuttosto paradossale. Il secondo elemento del gameplay di The Solus Project sono gli enigmi ambientali. Anche in queste fasi, gli sviluppatori pare si siano voluti concentrare soprattutto nel non far singhiozzare il flusso narrativo, evitando di spezzare il ritmo di gioco con momenti morti causati dalla difficile risoluzione di un puzzle. Ecco quindi che in The Solus Project gli enigmi vengano risolti nella maggior parte dei casi con un unico passaggio, attivando ad esempio l’apertura di una porta con un oggetto recuperato esattamente due minuti prima. Insomma, definire The Solus Project come un gioco difficile sarebbe davvero un azzardo anche se dobbiamo ammetterlo, alzando al massimo la difficoltà nel menù delle opzioni e disattivando tutti gli aiuti, il livello di sfida diventa più appagante, nonché terrificante per via delle meteoriti infuocate che cadono dal cielo, dei terremoti e degli altri agenti climatici estremi del pianeta.


Un evoluzione inaspettata… Più o meno

Quando ci avventurammo per la prima volta sul misterioso Gliese-6143-C subito rimanemmo colpiti dalla sua atmosfera e dai misteri che esso celeva, in particolar modo nel sottosuolo. Attraverso i numerosi bozzetti sparsi vicini ai relitti spaziali e con delle sinistre lapidi e incisioni, avevamo subito capito di aver solo scalfito la superficie dei segreti nascosti sul nuovo pianeta, avevamo capito che qualcosa era andato storto nella nostra spedizione, ma esattamente non era chiaro né di chi fossero i resti meccanici sparsi qua e là sulla terra, ma soprattutto di chi o che fossero le ossa che ci avevano fatto gelare il sangue nelle enormi strutture nascoste nel sottosuolo. Insomma, una domanda continuava a risuonare nella nostra testa mentre esploravamo le maestose rovine di Gliese-6143-C: “Che fine ha fatto la civiltà che abitava il pianeta?”. Gli indizi erano molti ed estremamente evocativi e vanno fatti i complimenti al team di sviluppo per aver reso viva ed accattivante la storia in ogni fase dell’avventura, avvolgendo la trama in un alone di mistero che, passo dopo passo andava diradandosi, mentre era sempre più chiaro il ruolo ed il destino degli alieni-divinità. Il finale, o meglio, la repentina svolta che The Solus Project ha però preso nel finale, quella proprio non ce l’aspettavamo. Le rovine sotterranee avevano qualcosa di sinistro, così come le incisioni e le lapidi di certo non trasmettevano tranquillità, ma che The Solus Project diventasse un vero e proprio horror non lo avevamo per nulla intuito. In questa sede non vogliamo ovviamente bruciarvi la sorpresa di sapere in che cosa vi imbatterete su Gliese-6143-C, ma una cosa la dobbiamo certamente dire: questo salto da avventura di atmosfera, dico-non dico, ad horror non farà certamente piacere a tutti e potrebbe lasciare l’amaro in bocca a chi avrebbe preferito che The Solus Project  non divenisse una sorta di Prometheus o Alien, perché i nuovi luoghi al chiuso esplorati verso la fine ricordavano da molto vicino quanto proposto nelle due pellicole cinematografiche.


Bellezze aliene

Al di là del cambio di sceneggiatura, The Solus Project non ha però perso il suo fascino grazie al lato artistico e al comparto grafico, dove spicca il magistrale uso dell’Unreal Engine, soprattutto per quel che riguarda l’effettistica ed i particellari: vedere piovere dal cielo un’infinità di meteoriti infuocate, mentre dal suolo si alzano nuvole di polvere incandescente è uno spettacolo tanto terribile quanto affascinante. Gli spazi chiusi, da esplorare con la sola luce della torcia o dei cristalli luminosi, riescono anche essi a restituire un colpo d’occhio decisamente appagante, così come le maestose ed inquietanti costruzioni megalitiche edificate dalla civiltà che ha calcato il suolo di Gliese-6143-C. Parlando però di queste strutture, soprattutto ora che il gioco è al completo, abbiamo però notato un eccessivo riciclo di alcuni elementi, con il risultato che molti dei luoghi esplorati ci rimandavano con la mente a quanto avevamo visto esattamente dieci minuti prima. Le texture delle rocce, ed in generale di tutto quanto si presenta sulla superficie del pianeta, non appaiono poi in grandissima “forma”, così come ci ha fatto storcere un po’ il naso il fatto che le mani del protagonista non vengano mai mostrate quando si tiene un oggetto. Concludiamo la nostra analisi concentrandoci sui testi, i quali, piuttosto numerosi ed indispensabili per ricostruire quanto è accaduto attorno a noi, non sono stati tradotti in italiano e dunque potrebbero essere difficilmente digeribili da chi non mastica bene l’inglese.


La versione Xbox One

(a cura di Luca “lou” Marinelli Brambilla)

A breve distanza dall’uscita dal programma early access di Steam, The Solus Projectabbandona anche il programma preview di Xbox One per arrivare finalmente in versione definitiva. Fermo restando tutto quello che il nostro buon Daniele ci ha già raccontato per quanto riguarda l’impianto narrativo ed il gameplay del gioco, vediamo ora come si comporta ilThe Solus Project sullo scatolone di Microsoft. L’impianto tecnico non si avvicina a quello mostrato su computer, e probabilmente avrebbe meritato un po’ di attenzione in più. Durante l’accesso anticipato gli sviluppatori puntavano ai 1080p, e ad occhio l’obbiettivo sembra non essere stato centrato perché il gioco mi è parso un po’ troppo spalmato sul televisore. Oltre questo le texture del sono davvero bruttine se viste da troppo vicino. Inoltre, il problema più evidente, è come al solito di Xbox One lo streaming delle texture, che purtroppo spesso e volentieri ci mettono qualche secondo a comparire, soprattutto dopo il caricamento di una nuova area. Poco male, ci si può passare sopra, perché la direzione artistica rimane di alto profilo, con un uso brillante dei colori e un design complessivo di ottimo livello. Il colpo d’occhio rimane d’impatto, e la sensazione di essere persi su un pianeta una volta abitato rimane fortissima. Certo, dall’Unreal Engine 4 avremmo voluto vedere qualche cosa di più, ma in fondo si può soprassedere. Il frame rate è mediamente stabile, e non mi è mai capitato di vedere cali clamorosi. Una cosa che ho molto apprezzato è come è stata sfruttata la potente vibrazione del pad di Xbox, che all’arrivo di un uragano comincia a muoversi in modo folle, mettendo una sensazione di ansia davvero rara da trovare altrove. Anche il fatto che il pad vibri al calare delle funzioni vitali ci dà la sensazione di avere davvero in mano il computerino del protagonista. I menù invece li ho trovati poco intuitivi, troppo da “gioco per PC” e poco console friendly, ma questo è un problema veramente di pochissimo conto.

Nonostante i limiti tecnici evidenziati, quindi, questa edizione console di The Solus Projectmantiene tutto il fascino della release originale, rimanendo un gioco di indubbia qualità, solo limitato dall’evidente minor potenza della macchina su cui gira, e verosimilmente dagli scarsi fondi dello sviluppatore.

8

Pro

  • - Artisticamente molto ispirato
  • - La storia rimane viva ed interessante fino alla fine
  • - Survival sì, ma senza esagerare

Contro

  • - Il finale potrebbe non piacere a tutti
  • - Alcuni elementi del gameplay troppo semplificati
  • - Qualche sbavatura nella grafica
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