Wolfenstein: The New Order

Agli inizi degli anni novanta, il genere FPS era ancora molto fresco e non aveva diramato le sue radici nei caldi circuiti dei nostri personal computer. Tra tutti gli esempi che si possono azzardare, Wolfenstein 3D è di sicuro il più privilegiato: nonostante provenisse da un’idea già sviluppata da altre case contemporanee, ebbe la grande fortuna di diventare timidamente popolare e, quasi certamente, pose le basi per la creazione del FPS per antonomasia, ovvero DOOM. La tenacia con cui il capitano Blazkowicz si faceva strada nei freddi e ingannevoli cunicoli del castello di Wolfenstein, si perpetuava nelle iconografiche realizzazioni di id Software che, nonostante i limitati sedici colori, era riuscita ad abbozzare e concretizzare una vanità nazista degna delle migliori allostorie.
Con la stessa energia e la stessa immaginazione, poco più di vent’anni dopo, il capitano Blazkowicz ha deciso di tornare agli attenti per sterminare una volta per tutte la minaccia nazionalsocialista.

Non è una passeggiata domenicale!

Nel lontano 1946, il soldato Blazkowicz e i suoi commilitoni sono intenzionati a porre fine alla guerra attaccando direttamente l’Obergruppenführer William Strasse, noto anche come Deathshead. Sfortunatamente per le sorti del mondo intero, però, non sono riusciti in tale impresa. Blazkowicz rimase inoltre gravemente ferito alla testa dopo un’esplosione e fu costretto a restare in cura presso un istituto ospedaliero per la sanità mentale. I nazisti hanno così vinto la seconda grande guerra, portando la popolazione mondiale a inginocchiarsi di fronte alla loro egemonia. Negli anni a seguire questa ucronia modificherà completamente le sorti del mondo intero, sia dal punto di vista morale che scientifico: grazie infatti al forte potere acquisito e alle continue operazioni empiriche, sono state create macchine da guerra e armi di nuova generazione dalla potenza spettrale, quasi magica. La resistenza, invece, sembrava del tutto estinta.
Dopo ben quattordici anni, durante uno scontro armato, il soldato Blazkowicz riuscirà a risvegliarsi dal coma e a riprendere in mano le sorti delle sue azioni. Con il cuore colmo di vendetta, si muoverà verso Berlino, attraversando un mondo a lui sconosciuto: un mondo in cui gli Stati Uniti d’America si sono arresi in seguito all’esplosione di una bomba atomica. Starà a lui resuscitare una resistenza ormai striminzita per liberare il mondo dal disordine nazista.

Quattro secondi inspira, quattro secondi espira.

Wolfenstein: The New Order non ha alcuna intenzione di oliare, a poco a poco, le catene del gameplay: l’intera azione si mette in moto da subito! Infatti, sin dai primi momenti di gioco, è possibile apprezzare a pieno le qualità di uno stile molto old school ma abbastanza gradevole. L’intero primo capitolo ha l’arduo compito di prestare servizio come intro/tutorial per l’intera esperienza, sia dal punto di vista narrativo che esecutivo, e possiamo tranquillamente dire che sia riuscito bene nel suo intento: anche se in principio sembra muoversi un po’ in sordina, e quindi denaturare la bellezza ideologica del titolo, ha semplicemente il ruolo di preparare il giocatore. Fortunatamente non mancheranno le occasioni per stravolgere gli schemi.
Torna a battere sullo schermo il cuore pulsante dei punti ferita, che negli ultimi anni sono stati crudelmente elisi dalle sole animazioni ai bordi dello schermo: negli HUD sarà possibile tener d’occhio salute, armatura, armi e munizioni. La salute si rigenererà da sola, ma mai del tutto: in questo modo saremo costretti a cercare medikit e razioni per ripristinarla. Potrà essere anche sovraccaricata, ma a poco a poco ritornerà al suo valore standard (che potrà aumentare, come per quello dell’armor, con gli appositi potenziamenti).
Il parco armi è vario a suo modo: non ci sono molti equipaggiamenti tra cui scegliere e di certo non tutti saranno soddisfatti di quelli disponibili, anche se hanno un ottimo feedback di credibilità. Le armi potranno essere scelte da un menù a scorrimento circolare, e ognuna di esse avrà possibilità di un fuoco secondario o l’aggiunta di un accessorio (come il silenziatore per la pistola).

A parte gli standard del genere, Wolfenstein fa sentire il suo forte dominio durante le sessioni di fuoco più devastanti. Vi sono infatti tantissime orde di nemici e, a volte, una singola arma non basta. Ed è qui che il trash del titolo si fa emozionante, nell’equipaggiare due armi contemporaneamente: doppia pistola, doppio fucile di precisione, doppia mitragliatrice, ecc. La sensazione di distruzione totale è molto appagante. Ancor di più lo è la necessità di modificare l’approccio scelto che, in alcuni casi e soprattutto in momenti di scarsa salute, richiede l’ausilio degli appositi ripari e di molto più sale in zucca del semplice utilizzo delle munizioni. A proposito di approcci al gameplay, un qualcosa che può far storcere il naso è lo stealth inserito nel titolo. Ricorda molto Disonorhead, ed è fuori luogo per due motivi: principalmente dimostra un’inefficienza di sviluppo dell’IA, che in alcuni momenti risulta palesemente poco credibile; in secondo luogo, i nostalgici abituati ai continui scontri frontali di Wolfenstein 3D, potrebbero non gradire questa aggiunta. In ogni caso, sarà possibile avanzare nelle grandi aree di gioco senza forzature: infatti, non sarà mai necessario essere totalmente furtivi, anche se in questo caso sarà difficile sbloccare alcuni talenti (come il lancio dei coltelli). Eseguendo determinate azioni, infatti, Blazkowicz apprenderà nuove abilità, aumenterà i caricatori delle armi, e molto altro ancora. Collezionando inoltre tutti i codici enigmi presenti nei capitoli e risolvendone i quattro rompicapo, sarà possibile sbloccare delle modalità molto impegnative per i giocatori più esigenti. Ma tali documenti non saranno facili da scovare poiché saranno nascosti nelle più disparate location, dalle casseforti da dover manomettere ai condotti di ventilazione non sempre in bella vista.

La morte grida il mio nome…

Come già anticipato, ai nazisti non manca la vanità, e la realizzazione grafica della città di Berlino ne è un chiaro esempio: tutte le costruzioni architettoniche sono maestosamente curate e rendono ancor più vivida la grande e crudele potenza da loro acquisita. Quello che solo in parte il trailer dell’anno scorso ci aveva mostrato, adesso può essere osservato da più vicino, ed è di una bellezza disarmante. Lo stesso motore si comporta bene altresì nella realizzazione delle mappe di gioco, anche se quest’ultime risultano un po’ carenti nei dettagli, senza mai comunque raggiungere texture di bassa risoluzione. Diversa è la questione delle mimiche facciali e della caratterizzazione generale dei personaggi: le animazioni risultano stitiche e allo stesso tempo non convincono perfettamente, neanche nei momenti più succinti della narrazione. È l’intera costruzione della figura umana però che sembra essere abbozzata, a tratti molto spigolosa. Fortunatamente il buonissimo doppiaggio italiano riesce nell’arduo compito di rendere credibile la maggior parte dei dialoghi, e accompagna le azioni garantendo quella gioviale ironia in più.
Le musiche invece non riescono quasi mai a spiccare il volo, di sicuro perché sono molto precarie. A parte gli effetti sonori magistralmente gestiti, non esiste un vero e proprio accompagnamento musicale: bisogna arrivare agli ultimi due capitoli per udirne qualcuno, quando il titolo si mostra nella sua integrità con caratteri adrenalinici, nostalgici e pieni di compassione. Decisamente diverse invece sono le musiche collezionabili che si possono ascoltare dal diario, che ripercorrono canzoni famose in chiave nazista (come ad esempio House of the rising sun in tedesco).

… ma devo vincere una guerra!

Dopo un inizio col botto, Wolfenstein: The New Order si è dimostrato un titolo ancor più sarcastico e simpatico, un must have che sa accontentare sia i nostalgici – soprattutto grazie all’aggiunta intelligente dell’easter egg di Wolfenstein 3D – che i neogiocatori. Ma la punta di diamante del titolo non è la grafica, o il comparto tecnico o la narrazione, bensì la genialità con cui gli sviluppatori di MachineGames sono riusciti a concretizzare a schermo le conseguenze di un’ideologia distopica e catastrofica come quella nazista. È vero che si sente il bisogno di un IA più convincente, che neanche nei livelli più elevati di difficoltà spicca in quanto a furbizia, e anche il lato musicale necessita di una ritoccatina. A parte qualche ulteriore forzatura a dir poco bizzarra nella trama, l’amalgama è buona, il titolo è longevo e psicotico al punto giusto. Certamente siamo ancora ben lontani dal fascino e dalla cupidigia del primo capolavoro di id Software, e di sicuro quest’ultima fatica sembra soltanto una sua quasi riuscita modernizzazione troppo adrenalinica. Di certo non è al passo col tempo, e la sua potenza grafica è stata nettamente superata dalle prontezze next-gen. Ma tra viaggi sulla Luna, antiche rovine sommerse, super soldati e cani robotizzati, sa ricordare, come ben pochi, che uno sparatutto in prima persona può essere più del semplice utilizzo dei proiettili. Molto di più.

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