Blades of Fire Recensione

In principio era Blade of Darkness. Classico di culto, gemma nascosta rilasciata in un’epoca nella quale il mercato degli action rpg brulicava di titoli in grado di trattenere il giocatore incollato allo schermo durante una sessione di combattimento sfrenato. Devil May Cry, ad esempio, rilasciato da Capcom nel 2001 o God of War, capolavoro di Santa Monica Studio.
L’opera di Rebel Act Studio introduceva, tra le tante, un sistema di combattimento peculiare improntato sull’iniziale, necessario, apprendimento delle tecniche e, di seguito, sulla combinazione di mosse e attacchi da centrare attraverso l’utilizzo di tasti direzionali e pulsanti di attacco. Il titolo viene ricordato per l’elevato livello di difficoltà che introduceva tanto da essere riconosciuto, per certi versi, come un antenato dei souls.
Blades of Fire, titolo action sviluppato da Mercurysteam e in uscita il 22 maggio, si pone in una sorta di continuità spirituale con Blade of Darkness, in particolare grazie all’introduzione di un sistema di combattimento altamente caratteristico; dall’altro, da esso prende le distanze, rendendo giustizia al merito delle armi durante le battaglie.
Queste diventano compagne di viaggio, non semplici ricicli pronti all’uso da gettare ma essenze dell’intera avventura, protagoniste da costruire, conservare e curare. Ogni colpo è in grado di consumarne la stabilità e il compito del giocatore è quello di ripararle o riforgiarle, cercando di gestire con saggezza le risorse ottenute.
Blades of Fire Recensione
In un tempo remoto, il mondo era governato da giganti colossali conosciuti come Forgiatori, saggi maestri che diedero vita ad un’era di splendore e prosperità, sino a quando una guerra devastante non ne minaccio l’estinzione. In pericolo, i Forgiatori donarono agli uomini il loro segreto più prezioso: il Segreto dell’Acciaio.
Tale eredità permise al genere umano di prendere le redini del mondo e guidarlo sino al tempo in cui è ambientato il titolo. La regina del regno, Nerea, abile maga, improvvisamente ha lanciato un incantesimo in grado di trasformare in pietra l’acciaio, corrompendo dunque il prezioso lascito dei Forgiatori, rivoltandolo contro l’umanità.
Aran de Lira è chiamato a interrompere tale maledizione, affrontando dunque un’avventura che per certi versi prende le forme dell’epopea, vuoi per la generosa durata del titolo, vuoi per la dimensione delle diverse aree di gioco proposte, il quale si estende in orizzontale tanto quanto in verticale, vuoi per la mole di informazioni acquisibili.
Al fianco di Aran, il destino ha voluto che si unisse Adso de Zelk, studioso dell’Abbazia di Egion, il cui acume e spirito analitico si rivelano fondamentali durante il cammino. Più di un semplice compagno di viaggio, Adso rappresenta la mente strategica del duo: osserva, studia, annota meticolosamente ogni dettaglio sul suo diario, costruendo un prezioso compendio di conoscenze per affrontare con astuzia i nemici più ostici.
Il titolo introduce un omaggio sentito a Il nome della rosa, opera letteraria di Umberto Eco. Adso de Zelk, difatti, è un chiaro richiamo ad Adso da Melk, giovane novizio e allievo di Guglielmo da Baskerville. Entrambi incarnano la funzione di cronista del racconto, trascrivendo immagini, scoperte e creando una sorta di enciclopedia dell’intero mondo.
Questo easter egg letterario si incastra perfettamente in Blades of Fire. Dopotutto, l’avventura ci porta alla scoperta di ambienti peculiari e caratteristici, colmi di nemici diversi tra di loro. La figura di Adso de Zelk risulta quindi fondamentale per apprendere elementi accessori della narrazione che altrimenti non verrebbero a conoscenza, anche grazie alla possibilità per Aran di interloquire con il compagno durante l’avventura.
Come detto, il titolo si distingue per una impostazione che sfiora i toni dell’epopea letteraria, grazie a una straordinaria ricchezza di contenuti e alla notevole complessità della sua mappa di gioco (ne parleremo). Questi elementi concorrono a dilatare sensibilmente la longevità del gioco che può facilmente superare le 60 ore, a seconda del livello di esplorazione a cui il giocatore sceglierà di dedicarsi.
Tale approccio, tuttavia, rischia di generare un senso di frustrazione nel lungo periodo. La progressione, difatti, è studiata per essere volutamente frammentata, con il risultato che spesso il gioco richiede al giocatore di compiere azioni minute e apparentemente marginali per avanzare nell’esperienza. Questi passaggi, seppur coerenti con la filosofia del design, finiscono col risultare faticosi e ripetitivi, soprattutto nelle fasi avanzate del titolo.
Un sali e scendi continuo
Blades of Fire non è un open world ed è importante precisarlo sin da subito. A differenza dei titoli contemporanei che puntano su mondi sconfinati, il titolo propone una struttura apparentemente più ordinata, articolata principalmente in quattro macro regioni, ognuna delle quali si distingue per l’unicità dei nemici che la popolano e per la varietà dei materiali da raccogliere.
All’interno di ciascuna area, la progressione si sviluppa attraverso spazi per lo più ben delimitati, costituiti da ampi corridoi che si intersecano e si sovrappongono, creando una verticalità e una profondità che arricchiscono la navigazione. Questa scelta di level design non è casuale e riflette il background lavorativo di Mercurysteam, software house che, ricordiamo, ha prodotto Metroid Dread.
Non a caso, la disposizione degli ambienti e la loro esplorazione richiamano da vicino la filosofia dei metroidvania, con una forte enfasi sulla scoperta e sul backtracking. Il ritorno sui propri passi non è solo un elemento secondario ma componente fondamentale del gameplay, necessaria per sbloccare nuove aree e acquisire abilità.
In continuità con quanto detto anche nel paragrafo precedente, a complicare l’esperienza di gioco è la gestione delle indicazioni relative agli obiettivi di missione. Blades of Fire sceglie deliberatamente di non fornire informazioni chiare e costanti sulla direzione da seguire per il completamento degli incarichi. Solo accedendo al menu di pausa e selezionando una voce specifica è possibile attivare un segnalino per la missione in corso.
Al di là di questo, però, Blades of Fire non offre alcun supporto visivo o guida per orientare il giocatore lungo il percorso corretto, eccezion fatta per la possibilità di utilizzare la freccia in alto per avere maggiori informazioni da Aran ovvero interloquire con Adso al fine di reperire dati o semplici curiosità su ciò che accade in quel momento.
Per agevolare, seppur parzialmente, la fase di esplorazione, il titolo introduce un sistema di viaggio rapido tra le aree, reso possibile grazie all’utilizzo delle Fucine (sulle quali torneremo più avanti). Questi punti di spostamento rapidi sono distribuiti in modo strategico all’interno delle regioni, garantendo una copertura pressoché totale della mappa.
Come già accennato, Blades of Fire offre una varietà di biomi accuratamente caratterizzati, capaci di differenziarsi nettamente l’uno dall’altro. Si passa così da imponenti castelli d’ispirazione medievale a lande innevate, fino ad arrivare a paesaggi naturali di grande impatto visivo e a claustrofobici cunicoli sotterranei dove il senso di oppressione è tangibile.
Da questo punto di vista, va riconosciuto il merito alla casa di sviluppo, che ha saputo costruire un mondo di gioco coerente e ben strutturato. Nonostante la complessità degli ambienti, il level design risulta leggibile e facilmente memorizzabile, permettendo al giocatore di orientarsi con naturalezza anche dopo lunghe sessioni di gioco.
Unica nota parzialmente negativa, sebbene possa considerarsi più una scelta di design che un vero e proprio difetto, è l’assenza di un comando dedicato al salto. Diversamente da quanto accade in molti titoli d’azione, in Blades of Fire il salto non può essere gestito liberamente dal giocatore: quando il gioco richiede di superare un ostacolo o di arrampicarsi, l’azione viene segnalata a schermo tramite la comparsa di un popup.
Questa impostazione, funzionale alla visione degli sviluppatori, finisce però per limitare in parte la libertà di esplorazione. Non mancano infatti situazioni nelle quali sarebbe naturale saltare o scalare determinati elementi dello scenario ma il gioco non lo consente, imponendo dei confini che possono risultare poco coerenti con la filosofia di scoperta che permea tutta l’esperienza di Blades of Fire.
Il sistema di progressione tra forgiatura e centralità delle armi
Blades of Fire pone le armi al centro dell’esperienza di gioco, trattandole in ogni loro aspetto: dalla creazione alla gestione della durabilità, fino al loro ruolo chiave durante l’esplorazione. Cuore di questo sistema sono le fucine, come detto distribuite ponderatamente nelle diverse aree di gioco, che permettono l’accesso a un hub dedicato alla creazione delle armi.
Qui, il protagonista ha la possibilità di forgiare un’ampia varietà di strumenti offensivi, ispirati a quelli utilizzati dai nemici. Tuttavia, per sbloccare la possibilità di costruire nuove armi, è necessario sconfiggere un numero determinato di avversari dello stesso tipo, così da ottenere la pergamena corrispondente che ne consente la creazione.
Il processo di forgiatura si distingue per un notevole livello di dettaglio e personalizzazione. Il giocatore può scegliere i materiali da utilizzare, dal tipo di acciaio per la lama alla composizione dell’impugnatura, e intervenire sulla forma stessa delle varie componenti, determinando così sia l’estetica sia le caratteristiche funzionali dell’arma stessa.
La fase pratica della forgiatura si traduce in una vera e propria attività di precisione: attraverso una sequenza di colpi di martello, il giocatore deve riprodurre uno schema stabilito dal gioco. La qualità dell’esecuzione influisce direttamente sulla durevolezza dell’arma. Difatti, completare con precisione la forgiatura, permette di ottenere un numero di stelle, ciascuna delle quali rappresenta una possibilità di riparazione per l’arma.
La forgiatura rientra senza dubbio tra le attività più gratificanti offerte da Blades of Fire, assumendo un ruolo centrale sia nell’esplorazione che nelle fasi di combattimento più avanzate. Alcune aree di gioco, difatti, richiedono l’utilizzo di armi specifiche per poter essere superate, così come certi nemici risultano vulnerabili esclusivamente a determinati tipi di armi (approfondiremo questo aspetto in seguito).
Blades of Fire si distingue per l’assenza di un tradizionale sistema di progressione del personaggio. Non sono previsti punti abilità da assegnare al protagonista né parametri personali da potenziare nel corso dell’avventura. Il giocatore può recuperare nel mondo di gioco due tipologie di manoscritti, nascosti all’interno di casse disseminate nelle varie aree.
Tuttavia, queste reliquie non servono ad accrescere le capacità individuali di Aran, bensì esclusivamente a migliorare le pozioni curative, aumentando la loro capacità o la loro efficacia, ovvero a sbloccare nuove stelle per le armi, incrementandone la possibile durabilità. Il titolo sposta il tradizionale concetto di progressione tipico dei giochi di ruolo dalle statistiche del personaggio alle armi stesse, confermandone ancora una volta il ruolo centrale nell’economia del gameplay.
Inoltre, Aran de Lira non dispone di attributi numerici propri, quali forza, agilità o resistenza: le uniche statistiche rilevanti sono quelle associate all’equipaggiamento offensivo realizzabile, le quali determinano parametri come il danno, la velocità e le altre caratteristiche tecniche. È apprezzabile la scelta di game design di far ruotare l’intera esperienza ludica attorno al sistema delle armi, rinunciando così al desueto livellamento del personaggio.
Quando si combatte in Blades of Fire?
l sistema di combattimento proposto da Blades of Fire si inserisce nel solco tracciato dai tradizionali action game in terza persona, offrendo un impianto immediato ma tutt’altro che banale. Il giocatore ha a disposizione quattro tipologie di attacco, ciascuna assegnata a uno dei principali tasti del controller (quindi con X si esegue un fendente dal basso, con cerchio e quadrato si colpisce ai lati dell’avversario e via dicendo).
A determinare l’esito degli scontri saranno invece due meccaniche fondamentali: la parata e la scelta dell’arma giusta. Padroneggiare il parry è essenziale, poiché consente di mandare temporaneamente in stordimento l’avversario, aprendo una brevissima finestra di vulnerabilità nella quale infliggere ingenti danni. Piccola nota positiva: anche i nemici possono parare il tuo attacco e destabilizzare Aran per pochi attimi.
Nel suo impianto generale, la struttura dei combattimenti richiama in modo evidente l’impostazione dei soulslike, non solo per il livello di difficoltà elevato, ma anche per alcune precise scelte di game design. Si pensi al sistema di respawn dei nemici: ogni volta che il giocatore decide di riposare presso una fucina, tutti i nemici eliminati fino a quel momento tornano in vita.
Alla morte, il giocatore perde l’arma equipaggiata in quel momento, che potrà essere recuperata unicamente tornando nel luogo esatto in cui è avvenuta la sconfitta. L’interazione tra armi e combattimento assume dunque un ruolo strategico centrale. Ogni nemico, infatti, presenta specifiche vulnerabilità alle armi utilizzate e alla zona del corpo colpita.
Una volta agganciato il bersaglio tramite l’apposito comando, apparirà un contorno colorato attorno alla sua figura: verde, giallo, arancione o rosso, in base al grado di efficacia dell’arma e alla zona attaccata. Questo sistema incentiva una scelta oculata dell’equipaggiamento, costringendo il giocatore a valutare attentamente quale arma impiegare in ogni singolo scontro.
Un ulteriore elemento di rilievo durante le fasi di combattimento è la gestione del vigore. Il suo recupero, attraverso la pressione di uno specifico tasto, si rivela fondamentale, in quanto consente al giocatore di incrementare la velocità degli attacchi, di migliorare la stabilità nell’esecuzione del parry nonché la velocità della schivata.
Degna di nota è anche l’ampia varietà di nemici presenti nel gioco, un aspetto strettamente connesso alla meccanica della forgiatura e alla necessità di sconfiggere più volte lo stesso tipo di nemico. Sebbene non sia raro imbattersi in pattern comportamentali simili tra creature differenti, spesso declinati in versioni con forme o abilità variate, questo non intacca la qualità dell’esperienza.
Al contrario, il sistema di combattimento si conferma uno degli elementi più riusciti di Blades of Fire: dinamico, appagante e dotato di un eccellente feedback visivo e sonoro. Ogni colpo trasmette un senso tangibile di impatto e peso, rendendo gli scontri coinvolgenti e gratificanti. Particolarmente soddisfacente risulta l’utilizzo dell’attacco caricato, capace di esaltare ulteriormente la fisicità del combattimento e conferire maggiore profondità all’azione.
Meritano una menzione particolare anche le boss fight. Il mondo di gioco è disseminato di boss opzionali, alcuni liberamente accessibili, altri invece sbloccabili solo dopo aver portato a termine specifiche sequenze, come l’inseguimento di un corvo-guida che conduce progressivamente verso lo scontro. Ogni boss è sapientemente caratterizzato sia dal punto di vista estetico che meccanico, con pattern d’attacco unici che impongono uno studio attento delle loro mosse.
In conclusione, gli sviluppatori di Blades of Fire hanno tenuto a sottolineare con chiarezza che il titolo non va in alcun modo interpretato come un hack’n’slash tradizionale, e la precisazione risulta più che fondata. Il sistema di combattimento, infatti, scoraggia apertamente un approccio caotico e privo di metodo: affidarsi a una ripetizione meccanica dei comandi d’attacco porta quasi inevitabilmente alla sconfitta.
L’accompagnamento sonoro e l’inquadratura
l comparto sonoro di Blades of Fire si distingue per un’elevata qualità e un’attenta cura compositiva. La colonna sonora principale, costruita sull’intreccio di flauti e suggestivi canti celtici, si rivela particolarmente evocativa, accompagnando con coerenza e intensità l’intera avventura del giocatore. L’esperienza sonora raggiunge il suo massimo potenziale se fruita con l’ausilio di cuffie, soluzione fortemente consigliata, che consente di cogliere la profondità del sound design in ogni dettaglio.
Il suono si configura così come elemento narrativo a tutti gli effetti, capace di amplificare l’emotività dei momenti più intensi, in particolare durante le boss fight, dove la tensione acustica si fonde perfettamente con quella del combattimento. Non mancano, infine, affinità con la recente scuola action inaugurata dai reboot di God of War (2018 e Ragnarok).
Blades of Fire richiama questi titoli soprattutto nell’uso della telecamera dinamica ravvicinata, che resta incollata alle spalle del protagonista durante le fasi di combattimento, restituendo una visione più intima e viscerale dello scontro. È una scelta registica che enfatizza la fisicità dei colpi, il peso delle armi e l’impatto delle animazioni, e che trova nella regia attenta e nell’ottimo lavoro sonoro un ulteriore potenziamento immersivo.
Anche sul piano del combat system si avverte un’impostazione affine: attacchi pesanti e leggeri concatenabili, nemici che richiedono lettura e gestione degli spazi, costante attenzione al timing dei colpi, della difesa e schivate. Non si tratta, però, di un semplice omaggio: Blades of Fire prende in prestito certi stilemi per declinarli in un contesto più tecnico e meno cinematografico, dove la sfida si gioca più sulla padronanza delle meccaniche.
In conclusione
Blades of Fire si configura come un action (RPG) atipico, capace di coniugare la tradizione dei titoli “hardcore” con un’impostazione metroidvania che rappresenta, a tutti gli effetti, la sua cifra stilistica più distintiva. La mappa di gioco, infatti, si sviluppa attorno a una struttura verticale e stratificata, fortemente interconnessa, nella quale l’esplorazione, il backtracking e la memoria spaziale assumono un ruolo centrale.
Questo approccio, lontano dalle derive più recenti dell’open world, restituisce un senso di progressione organico e coerente, rafforzando la sensazione di crescita del giocatore attraverso la conoscenza acquisita sul campo, più che tramite mere statistiche numeriche. L’introduzione da parte di Mercurysteam di una meccanica di forgiatura rappresenta certamente l’innovazione più riuscita, che sposta il fulcro della progressione sulle armi.
Dall’altro, l’esperienza di gioco in generale può risultare troppo diluita, con quest frammentate e obiettivi poco chiari, che possono compromettere il ritmo dell’esperienza. In definitiva, Blades of Fire non ha paura di allontanarsi dai canoni consolidati degli action per proporre una visione certamente autoriale. Non è un titolo immediato, né così indulgente, ma saprà gratificarvi se siete alla ricerca di una esperienza nuova tra le tante uscite di quest’anno.
Non è un titolo immediato, né così indulgente, ma saprà gratificarvi se siete alla ricerca di una esperienza "nuova"
Pro
- Lodevole coerenza stilistica e narrativa nella costruzione del mondo di gioco
- Sistema di combattimento profondo e tecnico
- Meccanica di forgiatura innovativa e centrale
- Impianto sonoro evocativo
- Forte identità metroidvania
- Prezzo di uscita competitivo
Contro
- Progressione talvolta eccessivamente diluita
- Assenza di un salto libero che limita in parte la libertà di movimento
- Durata eccessiva.