Back in Time – Karateka

Quando Jordan Mechner tornò sulla sua prima creatura.

Prima di uscirsene con il clamoroso Prince of Persia nel 1989, Jordan Mechner si era già fatto notare nel 1984 per via del suo primo gioco, Karateka, programmato all’età di soli vent’anni, quando ancora studiava a Yale. Il titolo, che ha visto numerosissimi port negli anni successivi, è un picchiaduro a scorrimento orizzontale piuttosto elementare (d’altronde è uscito quasi quarant’anni fa!), che vede il nostro karateka farsi strada verso la principessa Mariko a suon di scontri one on one con i numerosi scagnozzi del perfido Akuma e poi con Akuma stesso.

Il Karateka di cui parliamo oggi non è altro se non il remake di quello uscito originariamente nel dicembre 1984 per Apple II, remake nato proprio per volontà di Mechner, che ha voluto proporre alle nuove leve la stessa filosofia che animava il suo primo gioco: semplice, divertente e dritto per dritto. Vediamo in che misura ci sia riuscito.

Come abbiamo già ricordato, il gioco originale si giovava di una formula elementare: un guerriero, tanti nemici, da affrontare però uno per volta, e una principessa da salvare; il tutto nell’arco di una mezz’oretta. Questo remake non sconvolge le carte in tavola, anzi, si rivela molto aderente al modello, ma aggiunge un po’ di varietà, con una scelta che possiamo anche definire user friendly: ora i personaggi giocabili sono ben tre, in quella che è una specie di staffetta per i giocatori “meno abili”. Il primo lottatore è il vero amore della fanciulla, ma, se soccomberà, proseguirete nei panni di un monaco; se anche il monaco tirerà le cuoia, prenderete le sembianze di un enorme bruto; se morirà pure il bruto potrete rivitalizzarlo spendendo 3000 punti. Nonostante i personaggi abbiano delle caratteristiche indubbiamente diverse, il modo di giocare non cambia molto, a causa del gameplay semplicistico di cui parleremo subito; le vere differenze stanno nei finali, nel punteggio e, ovviamente, nei Trofei.

karateka

Il gameplay è davvero basilare e non lascia alcuna libertà al giocatore, nemmeno nei movimenti, dal momento che c’è un unico binario e non si può nemmeno arretrare. In sostanza, si conduce in avanti il personaggio e, non appena si incontra un nemico, si ingaggia il duello.

Il battle system è semplice semplice, e prende in prestito qualcosa dai rhythm game, celando utili avvertimenti nella musica e richiedendo un certo senso del ritmo, unitamente a buoni riflessi. Il meccanismo fondamentale, nonché, a ben vedere, l’unico, è quello della parata-contrattacco: si aspetta che l’avversario sferri il colpo, si para (con la tempestiva pressione del tasto B) e ci si produce in una combo di pugni e/o calci (con X e Y) approfittando del momento in cui la guardia nemica è abbassata. Per sapere con un certo anticipo quante mosse devono essere parate basta ascoltare attentamente gli indizi forniti dalla musica, che imparerete presto a riconoscere; con un po’ di pratica, poi, spesso sarà anche possibile “leggere” i pattern avversari. Semplice, ma non facilissimo: finire l’avventura con il “vero amore” della fanciulla difficilmente vi riuscirà al primo tentativo.

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Tutto qua? In effetti non c’è molto altro; vale la pena di segnalare la possibilità di recuperare l’energia raccogliendo (con il tasto Y) i fiori lasciati da Mariko lungo il percorso e quella di scatenare il Chi, che stordisce il nemico e consente dunque di colpirlo con una combo. Il Chi si recupera combattendo abilmente.

Per il resto, possiamo considerare completamente sviscerato il gameplay di questo nuovo Karateka, che mantiene pure la durata indicativa dell’originale, di circa mezz’ora (ma non è difficile sbloccare l’Achievement che richiede di completarlo in un minor tempo). Semplice, divertente e dritto per dritto, dicevamo in apertura: la prima e la terza caratteristica sono oggettive e innegabili; la seconda, invece, dipenderà dalle vostre inclinazioni.

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Se l’offerta ludica risulta spartana, Karateka si risolleva grazie a grafica e sonoro, che si giovano della collaborazione di Jeff Matsuda (per il character design) e di Christopher Tin (per la musica). Il comparto tecnico si appoggia all’abusato Unreal Engine e offre un gradevole cel shading; buone pure le animazioni, anche se da Jordan Mechner ci si sarebbe potuto aspettare di più, visto che negli Anni Ottanta era il mago della fluidità e del realismo.

La musica è forse l’aspetto migliore del titolo, e abbiamo già visto come va a interagire con il gameplay. Vale la pena di sottolineare l’assenza del parlato, anche nelle cutscene: si tratta sicuramente di una scelta stilistica, che si può evincere dalle idee di Mechner in relazione all’approccio narrativo dei videogiochi.

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Trarre a questo punto le conclusioni non risulta facilissimo, perché ci sono due diversi modi per valutare Karateka. L’obiettivo di fornire una rivisitazione del classico uscito quasi quarant’anni fa può dirsi raggiunto, grazie a un buon equilibrio fra aderenza al passato e scelte innovative, non ultima quella del 3D; in termini più “spiccioli”, invece, ci troviamo dinanzi a un prodotto carente, soprattutto in termini di longevità: una volta portato a termine il gioco due o tre volte, gli stimoli offerti da classifiche e Achievement (400 punti, teoricamente sbloccabili in una sola run, se siete draghi del pad) non sembrano sufficienti. Si tratta, in fin dei conti, anche di un discorso di bilanciamento: la prima metà del gioco, costituita da tutorial (non skippabili) e da combattimenti elementari, costituisce un discreto disincentivo ad intraprendere una nuova run.

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