Back in Time – Outland

Un metroidvania da riscoprire quest'estate.

L’estate è un periodo strano per i videogiocatori: di solito c’è più tempo e calma per godersi qualche capolavoro lasciato indietro, ma ci sono anche molte altre cose (più importanti, mi verrebbe da dire, NdR) da fare. Di fatto, le software house in questo periodo promettono tanto (pensate all’E3) ma producono poco, magari giochi di qualità ma di basso profilo economico. Outland di Housemarque fu uno di questi, otto anni fa.

Lo studio di Helsinki ha tirato fuori una presentazione grafica eccezionale, grazie a una direzione artistica fuori parametro, a colori meravigliosi (quanti chiaroscuri, quante tonalità!) e ad animazioni fluide e credibili. Come potete vedere dal trailer e dalle immagini disseminate in questa pagina, c’è una forte impronta naturalistica e l’aspetto risulta molto primordiale e arcano, in linea con la trama, che ci vedrà impegnati a salvare il mondo dal Caos, causato dalle due Sorelle, le quali controllano la luce e l’oscurità; nulla di particolarmente originale o avvincente in realtà, anche a causa di un eroe tutt’altro che carismatico, in sostanza una sagoma nera (che assumerà alternativamente i colori blu e rosso, in funzione del gameplay) e anonima. Poco importa, comunque, la prima donna è la grafica e tutto il resto le viene costruito intorno, come accade per la colonna sonora, la quale, in maniera tutt’altro che invadente, passa con disinvoltura da temi tribali a tracce più “drammatiche”. Tutto parecchio ambient, ma non particolarmente incisivo. Un delicato contorno, in sostanza.

Dopo la celebrazione estetica di Outland, ci resta da analizzare un’ultima peculiarità del platform finlandese, che altrimenti si gioca un po’ come un ipotetico Prince of Persia bidimensionale con una struttura ispirata al celebre e antico filone metroidvania, in grande spolvero in questa ultima decade: in sostanza, i vari mondi di gioco sono collegati fra loro da un Crocevia (prendendo in prestito il nome dal gioco stesso) e sono liberamente esplorabili, sbloccando di volta in volta nuove aree o nuovi poteri, utili ad accedere a parti di livello prima irraggiungibili, le quali irrimediabilmente contengono dei tesori, siano essi dobloni, collectibles o potenziamenti di vita o energia.

Outland

Cosa rinfresca un gameplay così radicato nel passato? Housemarque ha lavorato a diversi sparatutto, fra cui Super Stardust HD: non c’è rischio di esagerare dicendo che alcune sequenze sembrano proprio tratte da un bullet hell (quel genere di shmup caratterizzato da un numero incommensurabile di proiettili, che coprono l’intero schermo; un ottimo esempio è Guwange, di cui vi parleremo la prossima settimana), per quanto il protagonista non possa assolutamente sparare (se escludiamo un power up a raggio).

Ma perché alcuni proiettili sono rossi, mentre altri sono blu (vedi immagine sotto)? Con questa risposta, descriviamo il cuore pulsante di Outland: come se fosse in Ikaruga (che, neanche a farlo apposta, è proprio un danmaku), infatti, il giocatore dovrà switchare i colori, in modo da attraversare indenne alcuni ostacoli, attivare determinati meccanismi e uccidere i nemici che siano dotati di allineamento cromatico. La giustificazione, nella trama, è quella del controllo dei poteri della Luce e dell’Ombra, leitmotiv dell’opera. Tutto ciò potrebbe far pensare a un ritmo concitato, mentre in realtà è molto più compassato di quanto possa sembrare: tanto nelle sezioni platform, quanto nelle boss fight più caotiche, il segreto consiste nell’osservare e memorizzare i pattern – perché c’è sempre un pattern, anche quando le situazioni paiono casuali – possibilmente da un punto sicuro, o, in sua mancanza, perdendo vite su vite, essendo queste infinite.

Outland

La difficoltà è abbastanza elevata in alcuni frangenti e ciò può causare leggera frustrazione, soprattutto in alcuni scontri contro i Guardiani: per portare un esempio, uno di essi va affrontato dopo una sezione di inseguimento che dura circa tre minuti; non sono tantissimi, ma rifarla tot volte può risultare un attimino snervante. Fortunatamente, non vi capiterà di imprecare contro il sistema di controllo: agile, scattante, preciso, consente le tipiche mosse del genere, con particolare enfasi posta sul salto da parete a parete, incoraggiato dal level design. Proprio quest’ultimo, invece, può destare qualche perplessità, a causa del backtracking a cui vi obbligherà. Va detto che è connaturato al genere e che spesso non risulta un’operazione particolarmente tediante, grazie a passaggi segreti, nuovi poteri, teletrasporti e una comodissima mappa, che indica sempre l’obiettivo, però possono capitare situazioni spiacevoli, soprattutto per coloro i quali vogliono raccogliere tutti i segreti.

Outland dura fra le sette e le otto ore e mette sul piatto anche una modalità cooperativa e un’altra Arcade, quindi a tempo e a punteggio. Purtroppo il ritmo non è eccezionale, a causa di una trama non interessante e delle scelte di game design di cui abbiamo parlato, che non fanno scorrere le ore di gioco in modo particolarmente rapido; inoltre, deludono gli extra ottenibili raccogliendo i collectible, sostanzialmente una decina di artwork e un paio di abilità non certo essenziali (carina quella di visualizzare i forzieri sulla mappa, ma se non avete la febbre degli Achievements/Trofei, potrete farne tranquillamente a meno).

Outland


Dopo lo spaesamento iniziale, dovuto al particolare stile adottato, è facile ritrovare in Outland tutti gli elementi propri di un buon platform, a cui si aggiungono presto le succitate dinamiche bullet hell. Apprezzabile la scelta di proporre un gioco impegnativo, ma comunque ben lungi dall’essere impossibile. Peccato per il backtracking, anche se c’è da dire che è fisiologico nel genere e che il più delle volte è velocizzato da nuovi poteri o “passaggi segreti”.

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