Branching Paths: alla scoperta degli indie giapponesi

“Japanese Games suck!”. L’infelice risposta di Phil Fish, developer di FEZ, alla domanda di un appassionato giapponese che innocentemente gli chiese quale fosse la sua opinione sui giochi giapponesi moderni è sintomatica della situazione attuale dell’industria videoludica nipponica. Il sol levante, un tempo colonna portante di innovazione nel campo del videogioco, ora si trova relegato a una posizione subalterna e destinato a specifiche nicchie di pubblico. Le ragioni di tale discesa sono molteplici, ma tornando alle parole di Fish, uno dei motivi fondamentali è il sacrificare il flow del gioco in favore di una eccessiva semplificazione e “tutorializzazione” dell’esperienza, citando Zelda come esempio negativo.

Sebbene tale approccio sia presente anche in molti dei giochi di successo commerciale occidentali, esiste una forma di contro cultura e opposizione a questo modo di intendere l’esperienza videoludica che si è concretizzata da svariati anni a questa parte nel boom dei giochi indie. Cosa succede nel frattempo in Giappone? Dove sono gli sviluppatori che si oppongono alla rigidità delle aziende videoludiche giapponesi?

Branching Paths

Branching Paths risponde egregiamente a queste domande e ci fa addentrare nei meandri del mondo recondito dei piccoli developer che programmano nel chiuso della loro stanzetta, cercando di ritagliarsi un posticino tra Nintendo e gli altri colossi.

Viene presentata innanzitutto la scena Touhou, e l’importanza di una personalità come ZUN all’interno dell’ambiente. Il termine “Touhou Project” indica l’universo dei personaggi creati dal Team Shanghai Alice nell’omonima serie di giochi di genere shoot ‘em up, ai quali negli anni si sono affiancati centinaia di videogiochi creati da appassionati. Una cosa appare evidente fin da subito: questi ultimi non si definiscono sviluppatori indie, bensì semplici appassionati, il cui obiettivo non è il fare della propria passione un mestiere.

Branching Paths

Finita questa panoramica sul mondo dei Touhou, che potremmo definire di proto sviluppatori indie, si comincia a entrare nel cuore del mondo indie nipponico. La passione e la voglia di dimostrare che il mestiere del developer può esistere al di fuori delle grandi case è l’anello di congiunzione delle persone che si radunano al Pico Pico Café di Tokyo e al Traveler’s High di Kyoto per discutere e confrontarsi con altri colleghi.

Branching Paths ci accompagna non solo in queste serate conviviali che trascorrono tra una birra e un playtesting, ma racconta efficacemente le dinamiche della scena e la difficoltà di emergere in un mercato, quello giapponese, che non dà spazio agli indie.

Branching Paths

Questa è infatti la nota dolente che malinconicamente caratterizza la vita di gente come Nanmo e Moppin: benché i loro giochi abbiano riscosso indubbio successo, sul suolo nipponico hanno ricevuto una attenzione pressoché nulla. Il successo di Torquel e Downwell, raccontato attraverso interviste ai rispettivi developer, appare allo stesso tempo come una speranza e una condanna per chi voglia intraprendere la stessa strada in Giappone: affacciarsi all’occidente pare essere l’unica via per il successo. Cosa riserverà dunque in futuro la scena indie Giapponese? Di chi è il compito di aiutarla a crescere e svilupparsi?

La risposta a queste domande, così come altre storie di developers stranieri e nipponici come Lucas Pope, ideatore di Papers Please è contenuta nell’eccellente lavoro di Anne Ferrero Branching Paths, la cui visione è consigliata non solo agli appassionati di giochi indipendenti ma a chiunque voglia acquisire una visione più approfondita di cosa voglia dire essere un developer che vive nella contraddizione di vivere nel paese simbolo dei videogiochi che pare essere tuttavia rimasto indietro rispetto all’occidente.

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