Dragon Age The Veilguard un incubo lungo 10 anni

Dragon Age the Veilguard ha trasformato un sogno in un incubo durato 10 anni, l'attesa è stata terribile e la scoperta di questo videogioco è stata anche peggiore dell'attesa.

dragon age the veilguard non è finita

Ci sono giochi che nascono con il destino di diventare pietre miliari e altri che, pur partendo con le stesse ambizioni, finiscono per diventare simboli di come aspettative e realtà possano collidere rovinosamente. Dragon Age The Veilguard, il capitolo più recente della saga Bioware, incarna alla perfezione questa seconda categoria.

Dopo un’attesa durata quasi un decennio, il gioco è arrivato sul mercato portandosi dietro il peso di una promessa: restituire ai fan la magia di un’epopea ruolistica che con Origins aveva conquistato milioni di appassionati. Ma quella promessa si è infranta contro una serie di scelte discutibili, compromessi produttivi e dichiarazioni che hanno contribuito a peggiorare ulteriormente la percezione pubblica di un titolo già fragile in partenza.

In questo articolo approfondiremo ogni aspetto di questa parabola: dallo sviluppo tormentato alla narrazione superficiale, passando per il gameplay povero di personalità, le recensioni contraddittorie e le reazioni di chi, con parole sorprendenti, ha cercato di difendere l’indifendibile.

L’eredità di Dragon Age: la nascita di un mito e le aspettative impossibili

La genesi di una saga amata da milioni di giocatori

Per comprendere fino in fondo la delusione legata a The Veilguard è necessario fare un passo indietro e ricordare perché Dragon Age sia diventato un marchio iconico nella storia degli RPG occidentali. Tutto cominciò nel 2009, quando Bioware, allora al massimo del suo splendore creativo, diede vita a Dragon Age: Origins. Quello che arrivò sugli scaffali non era solo un gioco di ruolo: era una dichiarazione d’amore per la narrativa dark fantasy e per i sistemi di scelte morali che rendevano ogni partita unica e irripetibile. Origins combinava una storia cupa, la durezza delle guerre di Ferelden, la complessità di personaggi memorabili e un sistema di combattimento capace di far felici sia i puristi della strategia sia i giocatori in cerca di azione. Il successo fu immediato.

Quando nel 2011 uscì Dragon Age II, la sensazione di entusiasmo si trasformò in incertezza. Pur proponendo una narrazione più compatta e incentrata su un’unica città, il gioco sacrificò l’esplorazione, la varietà degli ambienti e una parte della profondità che aveva reso Origins un capolavoro. Le reazioni furono contrastanti: se alcuni apprezzarono la maggiore immediatezza, molti altri criticarono la ripetitività degli scenari e la semplificazione delle meccaniche.

dragon age the veilguard incubo

Con Dragon Age: Inquisition nel 2014, Bioware provò a mediare: creare un’esperienza più moderna, con un open world esteso e contenuti mastodontici, senza rinunciare del tutto alla sua anima narrativa. Il gioco fu un successo commerciale e vinse numerosi premi, ma la percezione di un’identità sempre più sfocata cominciò a farsi strada. I fan di vecchia data iniziavano a temere che la saga fosse diventata troppo attenta a inseguire le mode del mercato.

Quando Electronic Arts confermò lo sviluppo di un nuovo capitolo, i giocatori riposero in esso tutte le speranze di un ritorno alle origini. Ma come spesso accade, più le aspettative crescono, più il rischio di una delusione devastante diventa reale.

Lo sviluppo di Dragon Age The Veilguard: un percorso costellato di errori e incertezze

Dall’ambizione del live service al ripensamento forzato su Dragon Age The Veilguard

La lavorazione di Dragon Age The Veilguard è stata una vera e propria odissea. Secondo un’inchiesta di Bloomberg, in origine il progetto era stato concepito come un live service ispirato al modello di Anthem, altro prodotto di Bioware che avrebbe dovuto garantire ricavi continui grazie a contenuti stagionali, espansioni e microtransazioni. Ma Anthem si trasformò presto in un disastro commerciale e di immagine, costringendo EA e Bioware a fare marcia indietro.

Con l’abbandono del modello live service, Dragon Age The Veilguard divenne un RPG single player. Questo cambio di rotta significò anni di lavoro buttati al vento. Asset, meccaniche e contenuti che avrebbero dovuto costituire la spina dorsale del gioco furono accantonati o completamente riscritti.

Il prezzo di questa confusione si pagò in termini di motivazione. Gli sviluppatori si trovarono a dover reinventare il progetto più volte, mentre EA tagliava fondi e personale. A questa situazione già tesa per Dragon Age The Veilguard si aggiunsero le dimissioni di figure chiave come Mike Laidlaw, creatore della saga, e Mark Darrah, produttore storico. L’uscita di personalità tanto centrali privò The Veilguard di quel nucleo di conoscenze che aveva garantito la qualità dei capitoli precedenti.

Un team in crisi d’identità con Dragon Age The Veilguard

Dopo il fallimento di Anthem e i continui ripensamenti su Dragon Age The Veilguard, Bioware si trovò in uno stato di crisi creativa. Da un lato c’era la volontà di riconquistare i fan di Origins, dall’altro la pressione a realizzare un prodotto “accessibile” capace di conquistare nuovi pubblici. Il risultato fu un compromesso che non accontentò nessuno.

Molti sviluppatori hanno raccontato di un clima interno caratterizzato da riunioni interminabili, priorità in conflitto e una totale incertezza sulla direzione da prendere. Ogni fase produttiva si trasformava in un tentativo di salvare il salvabile piuttosto che di costruire qualcosa di davvero ispirato.

Quando finalmente il gioco raggiunse la fase gold, tutti sapevano che The Veilguard non era ciò che avrebbe dovuto essere. Ma la macchina del marketing era già partita e l’unico obiettivo rimasto era portare il titolo sugli scaffali e limitare i danni economici.

Il gameplay di Dragon Age The Veilguard: un’illusione di profondità che svanisce dopo poche ore

Un combat system piatto e privo di identità

Il gameplay di The Veilguard è probabilmente l’aspetto più controverso. Bioware ha tentato di presentare il titolo come un RPG moderno, capace di unire l’immediatezza degli action con la profondità strategica della saga. Ma l’impressione generale è che il sistema di combattimento si limiti a un insieme di abilità ripetitive, incapaci di regalare vere soddisfazioni.

dragon age the veilguard è un incubo

Le battaglie raramente costringono il giocatore a pianificare. L’intelligenza artificiale dei nemici è prevedibile e il livello di sfida si riduce a un semplice esercizio di gestione dei cooldown. Anche il feeling delle armi e delle magie è stato criticato per la mancanza di peso e impatto.

Molti veterani di Dragon Age hanno percepito il combat system di Dragon Age The Veilguard come un tradimento dell’identità della serie, che aveva sempre fatto della tattica e del posizionamento in battaglia un pilastro.

Il level design: spazi enormi e contenuti vuoti

Altro tallone d’Achille è il level design. Dragon Age The Veilguard propone scenari vastissimi, pensati per impressionare al primo colpo d’occhio. Ma esplorandoli, si scopre un mondo quasi privo di vita. La maggior parte delle missioni secondarie sono attività ripetitive che si limitano a far raccogliere oggetti o a eliminare nemici senza offrire veri spunti narrativi.

Molti giocatori hanno paragonato l’esperienza a un open world mobile, dove la quantità di contenuti finisce per nascondere la loro scarsa qualità. Invece di stimolare la curiosità, le mappe diventano un peso, un pretesto per allungare artificialmente la durata della campagna.

Anche il sistema di progressione soffre di un’identità confusa. Le build dei personaggi in Dragon Age The Veilguard non offrono la soddisfazione di un’evoluzione tangibile. L’equipaggiamento e le abilità danno l’impressione di essere stati inseriti con superficialità, per simulare una profondità che in realtà non c’è.

La narrazione di Dragon Age The Veilguard: una storia confusa che rinuncia all’identità

Un racconto pieno di buone intenzioni, ma privo di coerenza

Uno degli aspetti più criticati di Dragon Age The Veilguard è senza dubbio la trama. Bioware aveva promesso un ritorno alle atmosfere cupe di Origins e alla profondità politica che aveva reso il franchise un punto di riferimento per il genere RPG. Tuttavia, le promesse si sono scontrate con una narrazione che non riesce mai a trovare una direzione chiara.

La storia principale cerca di affrontare temi importanti, come il senso di appartenenza, l’identità e i conflitti di potere, ma lo fa in modo superficiale e spesso contraddittorio. I personaggi principali, pur avendo storie personali potenzialmente interessanti, finiscono per essere caratterizzati da dialoghi stereotipati e scelte di scrittura che sembrano pensate più per generare discussioni sui social che per dare profondità al racconto.

Chi si aspettava una trama capace di emozionare e di spingere a riflettere come accadeva in Origins si è trovato davanti a un copione dove la coerenza dell’universo narrativo viene sacrificata per colpi di scena poco credibili e momenti di fan service forzato in Dragon Age The Veilguard.

L’inclusività come strumento di marketing

Un altro punto su cui la community si è divisa è la gestione dell’inclusività. Se è sacrosanto che i videogiochi siano specchio della società e debbano rappresentare tutte le sfumature dell’identità umana, The Veilguard sembra inserire temi inclusivi in modo forzato, quasi fossero un requisito di marketing anziché una componente organica della narrazione.

Molti utenti hanno segnalato che alcuni comprimari sono ridotti a simboli più che a persone: non hanno un arco narrativo coerente, non evolvono realmente e finiscono per risultare macchiette funzionali al dibattito mediatico. Questo approccio superficiale non solo scontenta chi cerca una rappresentazione autentica, ma rischia di banalizzare argomenti complessi e di svilire il valore delle battaglie sociali che meritano ben altro trattamento.

In altre parole, la trama di The Veilguard appare come un mosaico di buone intenzioni, idee abbozzate e riferimenti fuori contesto. Chi ama la saga per il suo worldbuilding stratificato e la serietà con cui affrontava le tematiche adulte ha percepito un senso di smarrimento, come se il team di sviluppo avesse perso la bussola lungo il percorso.

Le dichiarazioni di Brian Audette: orgoglio o negazione della realtà?

La frase che ha fatto esplodere la community

Dopo l’uscita di The Veilguard, Bioware avrebbe potuto scegliere di fare autocritica e di spiegare in modo trasparente le difficoltà di produzione. Invece, la comunicazione si è caratterizzata per una serie di dichiarazioni che hanno ulteriormente inasprito il dibattito.

In particolare, ha fatto scalpore l’intervento di Brian Audette, supervisore del level design, che ha affermato senza mezzi termini:

“Non avremmo potuto creare un Dragon Age migliore. Abbiamo realizzato la versione più completa possibile, con i suoi pregi e i suoi difetti.”

Una frase che ha lasciato attoniti non solo i giocatori delusi, ma anche una parte della stampa. Molti l’hanno letta come una dichiarazione di orgoglio cieco, incapace di riconoscere che il prodotto finale fosse lontanissimo dalle aspettative.

La frase si è trasformata in un meme, ripresa e sbeffeggiata sui social, perché è apparsa come una negazione dell’evidenza: un tentativo di difendere un gioco oggettivamente pieno di problemi, come se la critica fosse soltanto un capriccio della community di Dragon Age The Veilguard.

La reazione della fanbase tra ironia e rabbia

Nei giorni successivi all’uscita di queste dichiarazioni, i subreddit dedicati a Dragon Age The Veilguard sono stati inondati da discussioni sarcastiche. Alcuni utenti hanno creato thread intitolati “Il miglior Dragon Age possibile”, pubblicando immagini di glitch, NPC bloccati nelle texture e schermate di missioni secondarie ripetitive.

Altri hanno osservato come la frase di Audette sia il sintomo di un problema più grande: la distanza siderale tra chi produce i videogiochi e chi li gioca. In un mercato in cui i giocatori si aspettano trasparenza e onestà, questo tipo di comunicazione appare fuori dal tempo.

Queste reazioni, per quanto ironiche, sono la dimostrazione che Dragon Age The Veilguard non è solo un gioco contestato, ma un’esperienza capace di generare un senso di tradimento emotivo. Chi aveva amato Origins e Inquisition non si aspettava un capolavoro perfetto, ma almeno un tentativo sincero di rispettare la storia della saga.

Le recensioni e la stampa specializzata: la polemica sui voti e il divario con i giocatori

Voti alti e sospetti di faziosità

Un’altra scintilla che ha alimentato la polemica attorno a Dragon Age The Veilguard è il divario abissale tra i voti della stampa specializzata e quelli dei giocatori. Molti siti autorevoli hanno assegnato al gioco voti compresi tra 8 e 9, elogiando la direzione artistica e la volontà di raccontare storie inclusive e attuali.

Parallelamente, su Metacritic il punteggio degli utenti si è stabilizzato poco sopra il 5. Questa discrepanza ha sollevato sospetti sulla trasparenza di alcune recensioni. Su forum e canali YouTube è diventato comune leggere accuse, più o meno esplicite, di recensioni “addolcite” per motivi commerciali su Dragon Age The Veilguard.

Sia chiaro: non esistono prove concrete che le testate abbiano davvero modificato i giudizi per compiacere EA. Ma la percezione conta tanto quanto i fatti, e quando il distacco tra la critica ufficiale e i feedback del pubblico è così marcato, il sospetto diventa un sentimento diffuso.

La legittimità delle critiche

Molti giocatori hanno sottolineato che The Veilguard, pur avendo aspetti apprezzabili come la colonna sonora e alcune sequenze narrative, non merita di essere definito un RPG d’eccellenza. Non è un caso che in numerose recensioni indipendenti si evidenzino gli stessi punti deboli: combattimento superficiale, contenuti secondari noiosi, problemi tecnici e una storia che sembra un compromesso fra tante idee mai realmente sviluppate.

La diatriba tra stampa e community ha evidenziato una frattura culturale sempre più evidente: da un lato i redattori che valutano il contesto produttivo e gli sforzi creativi, dall’altro i giocatori che giudicano l’esperienza concreta pad alla mano.

Il futuro della saga: si può ripartire dopo un capitolo così controverso?

EA e Bioware davanti a un bivio

Dopo l’uscita di Dragon Age The Veilguard, il destino di Dragon Age è più incerto che mai. Electronic Arts si trova davanti a un bivio: proseguire con un reboot totale del franchise o lasciarlo in stand-by per qualche anno, sperando che il clamore si affievolisca.

Le vendite inferiori alle attese, i refund su PC e la valanga di recensioni negative rendono difficile immaginare un sequel a breve termine. Allo stesso tempo, il potenziale del brand è ancora enorme, come dimostra la passione della fanbase e il desiderio di rivedere un Dragon Age capace di emozionare.

Le lezioni da imparare grazie a Dragon Age The Veilguard

Dragon Age The Veilguard offre all’industria videoludica alcuni insegnamenti preziosi. Non basta puntare sulla nostalgia e su un marchio storico per garantire il successo. La coerenza creativa, il rispetto dei giocatori e l’onestà comunicativa sono ingredienti irrinunciabili.

Il futuro di Dragon Age dipenderà dalla capacità di Bioware di tornare alle radici senza farsi intrappolare dalle mode del momento. Un approccio più umile e trasparente potrebbe essere la chiave per riconquistare la fiducia perduta.

La saga di un videogioco che voleva essere leggenda e si è trasformato in un monito

Dragon Age The Veilguard non è il peggior videogioco mai creato, ma è il perfetto esempio di come una produzione lunga, caotica e carica di aspettative possa sfociare in un prodotto incapace di soddisfare sia il pubblico sia gli sviluppatori stessi.

Le dichiarazioni di Brian Audette, le recensioni discordanti e il senso di smarrimento della community non sono solo dettagli di cronaca. Sono il segno che la fiducia è una moneta difficile da riconquistare, soprattutto quando ci si ostina a negare l’evidenza.

Resta una lezione che chi ama i giochi di ruolo difficilmente dimenticherà: la passione non si improvvisa e la qualità non nasce da slogan, ma da una visione chiara e dalla capacità di rispettare chi gioca.

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