Il caso “acquisizione di EA”: i videogiochi come arma di influenza
Il fondo PIF acquista EA, i videogiochi non saranno più liberi?
Il fondo sovrano saudita (PIF) ha acquistato EA verso la fine di Settembre per 55 miliardi di dollari.
Restano ancora alcuni cavilli burocratici da risolvere e si attende il via libera definitivo dell’Antitrust statunitense. Questa acquisizione ha sollevato numerosi dubbi, sia tra i videogiocatori sia all’interno del Senato degli Stati Uniti, portando due senatori a esprimere preoccupazione e scetticismo riguardo all’acquisto di Electronic Arts da parte del fondo saudita.
La lettera inviata da alcuni senatori americani al segretario del Tesoro rappresenta un chiaro segnale di come gli Stati Uniti stiano cercando di difendere la propria influenza culturale e strategica. Essa mostra quanto l’industria videoludica, e in particolare un colosso come Electronic Arts, sia considerata un asset fondamentale in questo scenario.
I videogiochi, come tutte le altre forme mediali e artistiche, sono infatti veicoli di immagini, valori e narrazioni che entrano nel nostro senso comune, contribuendo a modellare la percezione collettiva in modo più o meno evidente, e raramente neutro. La politica è e sarà sempre parte integrante della nostra vita, dai videogiochi ai film, passando per lo sport.
Chi sostiene che l’arte, il cinema o i videogiochi dovrebbero “tenere fuori la politica” mette in atto un ragionamento figlio di un processo di apatizzazione e depoliticizzazione che alcuni governi hanno portato avanti per allontanare la massa dal dibattito politico. Allo stesso tempo, questa convinzione nasce anche da una cattiva gestione del potere, che negli anni ha eroso la fiducia dei cittadini nei partiti e nella classe politica che dovrebbe rappresentarli.
Ogni opera, da quella più leggera e d’intrattenimento a quella più impegnata, è sempre una fotografia del contesto storico e sociale in cui viene creata e diventa così portavoce di quel contesto, che può esaltare o criticare, lasciando nel pubblico un’immagine destinata a radicarsi. Alcune opere stimolano riflessione e consapevolezza, altre invece mirano semplicemente a far assorbire passivamente una certa visione del mondo, presentandola come naturale e positiva.

EA: Abbiamo perso un baluardo della libertà d’espressione?
Electronic Arts è mai stata davvero un baluardo della libertà di parola?
Forse. Ma, più che per convinzione ideale, EA si è spesso fatta portavoce, soprattutto per motivi economici, di determinati ideali e visioni del mondo che coincidono con quelli che l’Occidente considera i propri “valori universali”. Valori che, nel discorso dominante, vengono presentati come giusti e indiscutibili, mentre altri sistemi di pensiero vengono accusati di essere autoritari o moralmente “sbagliati”, con l’obiettivo implicito di screditare o delegittimare chiunque osi metterli in discussione.
Con ciò non intendo mettere in dubbio la buona fede degli sviluppatori, come quelli di BioWare che, attraverso saghe come Mass Effect e Dragon Age, hanno cercato di normalizzare temi come le relazioni omosessuali, la giustizia sociale e la lotta al razzismo. In un mondo che per lungo tempo è rimasto indifferente a queste tematiche, BioWare è riuscita a sensibilizzare e a introdurre, nel medium videoludico, riflessioni etiche e morali che raramente trovavano spazio nei videogiochi dell’epoca.
Questo è solo un esempio di come i videogiochi possano essere utilizzati, in modo critico e costruttivo, per promuovere valori e ideali.
Tuttavia, non sempre l’uso dei videogiochi come veicolo culturale si traduce in un messaggio positivo o neutrale ed esistono infatti titoli che, in maniera più o meno consapevole, riflettono e rafforzano narrazioni politiche precise.

Call of Duty e Battlefield: come si costruisce un nemico
Basti pensare a due dei franchise più popolari e longevi del mercato videoludico: Call of Duty e Battlefield. Ogni anno questi titoli vendono milioni di copie e raggiungono un pubblico globale, raccontando guerre e conflitti che, seppur fittizi, rispecchiano chiaramente le dinamiche geopolitiche del mondo reale.
In molti di questi giochi l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, viene rappresentato come il difensore della libertà e della democrazia, mentre i nemici appaiono come spietati aggressori, spesso di nazionalità russa, asiatica o mediorientale. Certo, a volte compaiono anche personaggi “buoni” di queste nazionalità, ma quasi sempre sono figure che si ribellano al proprio governo, confermando così implicitamente la logica della contrapposizione.
Questo tipo di rappresentazione costituisce un esempio evidente di come i videogiochi possano essere utilizzati dal potere per diffondere in modo passivo e inconsapevole un’immagine egemonica del mondo, costruendo la narrativa del nemico e abituando il pubblico ad accettare versioni semplificate e parziali della realtà.
Così finiamo per interiorizzare determinate narrazioni, come quella che dipinge la Russia come un “paese invasore e malvagio”, senza interrogarci su come e perché si sia arrivati a certe situazioni. Ci si dimentica, ad esempio, del contesto storico più ampio: la guerra civile in Ucraina iniziata nel 2014, le decine di migliaia di vittime civili nel Donbass, il sostegno occidentale al governo di Kiev, gli appelli di Putin contro l’ingresso dell’Ucraina nella NATO (con il rischio che venissero installati missili nucleari a pochi chilomentri dal confine russo) e le richieste delle repubbliche separatiste di entrare nella Federazione Russa.
In sintesi, i videogiochi, come ogni altra forma di arte o comunicazione, non sono mai neutrali: possono stimolare la riflessione e promuovere il cambiamento, oppure rafforzare le ideologie dominanti e ridurre la nostra capacità critica, spingendoci ad accettare passivamente ciò che vediamo e ad adeguarci al pensiero prevalente nella società contemporanea.

Il panorama attuale della libertà d’espressione al di fuori di Electronic Arts
Altri esempi di come i videogiochi abbiano tratto ispirazione dai contesti politici e sociali sono saghe come Metal Gear e Cyberpunk 2077.
La serie di Metal Gear, ideata da Hideo Kojima, ha saputo descrivere in modo più o meno realistico il timore dell’arma atomica, le dinamiche di potere e il modo in cui i governi manipolano e sfruttano tutto ciò che possono per ottenere vantaggio e controllo.
Cyberpunk 2077, invece, si configura come una critica diretta al capitalismo e al neoliberismo moderno, rappresentando un mondo in cui i diritti e la libertà individuale sono garantiti solo a chi può permetterseli economicamente, mentre tutti gli altri vengono emarginati e dimenticati.
E non serve fermarsi ai videogiochi per osservare questo fenomeno: anche nel mondo dell’animazione e del fumetto troviamo opere che affrontano gli stessi temi di oppressione e controllo. Un esempio lampante è One Piece, una delle opere più grandi e influenti della cultura pop contemporanea, tanto che lo stesso Jolly Roger di Cappello di Paglia è diventato, nel corso degli anni, simbolo di ribellione e compare spesso nelle manifestazioni e proteste in diverse parti del mondo.

Fin dai suoi esordi, One Piece ha raccontato storie di oppressione, ingiustizia e manipolazione, mostrando come il Governo Mondiale e le élite esercitino un potere quasi assoluto, impoverendo i cittadini comuni e etichettando come “pirati” tutti coloro che osano ribellarsi.
Ma è proprio questo il cuore dell’opera e l’obbiettivo di Oda (non è un caso che nel suo ufficio tenga una foto del “Che”): la libertà come atto di disobbedienza.
Luffy stesso (tramite i suoi poteri e i suoi modi di fare) incarna l’idea di chi si oppone ai poteri che vogliono renderci conformi e sottomessi, combattendo per liberare chi è oppresso, ed ogni saga di One Piece riflette, in modo più o meno simbolico, questo messaggio universale.
- in Dressrosa, il popolo vive sotto la dittatura di Doflamingo, simbolo della manipolazione e del potere corrotto
- nell’East Blue vediamo i primi esempi di sottomissione e rivolta
- il trattamento riservato ai tritoni e agli uomini-pesce, da parte dei draghi celesti, rappresenta una chiara metafora del razzismo e della discriminazione
- nella saga di Enies Lobby, la ciurma di Cappello di Paglia dichiara guerra al Governo Mondiale per salvare Nico Robin, colpevole solo di conoscere la verità sul “Secolo Buio” che le autorità vogliono cancellare
- la saga del Paese di Wano mostra come Orochi, convinto di essere il legittimo sovrano, riesca a conquistare il potere attraverso manipolazioni e propaganda, riducendo il proprio popolo alla fame per alimentare le fabbriche e la guerra; la saga, pur ambientata in un mondo fantastico, offre inquietanti parallelismi con situazioni reali di oppressione e occupazione, come quelle presenti in una determinata area del Medio Oriente dal 1948 a oggi

Cosa cambierà adesso per i videogiochi?
Premesso che si attende ancora il via libera dell’Antitrust statunitense per finalizzare l’acquisto di Electronic Arts da parte del fondo sovrano saudita PIF, è probabile che, al di là delle discussioni politiche e mediatiche, nel mondo dei videogiochi non cambierà poi molto.
Certo, gli Stati Uniti rischiano di perdere un asset culturale e propagandistico di grande valore, ma non credo che assisteremo a scenari distopici o estremisti come qualcuno paventa.
Il fondo PIF è infatti presente da anni in Occidente, con partecipazioni in numerose aziende, ed è già da tempo uno dei principali azionisti di Nintendo. Inoltre, sta finanziando il prossimo DLC di Assassin’s Creed: Mirage, “The Valley of Memory”, a conferma di un interesse crescente verso il settore videoludico come strumento economico e culturale.

In sostanza, questa operazione porterà semplicemente a una maggiore apertura del mercato verso il Medio Oriente, e probabilmente vedremo più produzioni ispirate a quell’immaginario, come Assassin’s Creed: Mirage o Prince of Persia.
È vero che lo scopo del PIF possa essere anche quello di accrescere la propria influenza geopolitica, utilizzando l’industria videoludica come arma di soft power; ma, in fondo, non stanno facendo nulla di diverso da ciò che gli Stati Uniti fanno da decenni, non solo attraverso Electronic Arts, ma anche tramite altri settori strategici. Hollywood, dopotutto, è da sempre uno degli esempi più evidenti di soft power occidentale, capace di esportare valori, ideali e visioni del mondo sotto forma di intrattenimento.