Elden Ring: i motivi del successo

Un articolo in cui diamo il nostro parere sui motivi del successo di Elden Ring.

Nel corso delle generazioni videoludiche ci sono titoli che semplicemente fanno il loro mestiere, titoli che hanno un forte impatto sul mercato e altri che lasciano un segno indissolubile nella storia della generazione corrente e di tutta la storia del medium. Non vi è alcun dubbio sul fatto che Elden Ring appartenga a quest’ultima categoria. L’ultima opera di FromSoftware, scritta e diretta da Hidetaka Miyazaki, è stata un successo assoluto di critica e vendite registrando, un eccezionale 96 su Metacritic e riuscendo a piazzare più di 12 milioni di copie. Ogni volta in cui un titolo riesca a impattare così tanto sul medium, c’è da interrogarsi sulle motivazioni che hanno spinto il gioco ad avere un tale successo.

Siamo dunque felici che una personalità stimata come Francesco Toniolo abbia esteso il suo invito ai vari redattori delle testate videoludiche italiane di dare il proprio parere a riguardo. Ovviamente non ci siamo voluti tirare indietro, ma dato che quest’articolo terrà principalmente in considerazione opinioni e pensieri strettamente personali, trovo che sia più corretto usare da qui in avanti la prima persona. Mettetevi dunque comodi e ne approfitto per augurarvi una buona lettura.

Elden Ring 2

Qualità

Sono una di quelle persone fermamente convinte che se un’opera artistica – sia essa un dipinto, un libro, un film, un fumetto e così via – riesca a ottenere così tanti consensi, una qualità intrinseca debba esserci. Le opere umane non nascono a caso:  dietro a ogni creazione c’è qualcuno che ha passato giorni, mesi (o anni, nel caso di un videogioco) dietro quell’idea. A volte non esce fuori quello che realmente l’autore spera; in questo caso, spesso e volentieri, l’opera cade in fretta nel dimenticatoio e viene piazzata sul mercato giusto per non perdere l’investimento di tempo e denaro utilizzato per la realizzazione di essa. Altre volte, invece, l’opera raggiunge la qualità che l’autore desiderava. Tuttavia, il concetto di qualità dell’autore non sempre coincide o intercetta il gusto del pubblico.

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C’è quindi uno step successivo, che si può compiere solo ed esclusivamente quando l’opera raggiunge il consumatore, in questo caso il videogiocatore. Può succedere che il videogioco riesca a interpretare alla perfezione i gusti del mercato, ma non avere alcun tipo di velleità artistica; in tal senso, la qualità dell’opera è la mera e corretta immissione nel mercato del prodotto giusto al momento giusto. Ci sono altre situazioni, invece, in cui a una corretta interpretazione e comprensione del momento attuale del mercato, vi è una forte componente artistica che l’autore vuole fare emergere dalla sua opera. Elden Ring rientra proprio in questo caso.

Elden Ring

L’opera di Miyazaki non è solo infatti il nuovo souls partorito dalla mente del “padre” dei souls: è la summa di tutto ciò che il genere stesso dei souls ha rappresentato nel corso di questi anni e che in Elden Ring trova la sua massima realizzazione. Il gioco infatti eccelle in molti aspetti e non vi è alcun dubbio sulla qualità del titolo. Tuttavia, come accennato nell’incipit, questa non è una recensione, ma un approfondimento sui motivi del successo. Se siete curiosi di sapere nel dettaglio cosa ne penso sul gioco in sé, vi consiglio di leggere la mia recensione. Scusandomi per questa piccola digressione, continuo la disamina.

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Social

Al giorno d’oggi la comunicazione via social (Facebook, Instagram, TikTok, Twitter) è entrata prepotentemente nelle nostre vite e ciò aiuta diversi prodotti a essere spinti nel mercato, anche forse più di quanto ci si potrebbe aspettare. Mettiamola così: Elden Ring era sicuramente un gioco atteso, ma in quanti si aspettavano fosse così atteso? D’altronde i fan storici dei souls non rappresentavano una nicchia del mercato? Non è più così, ma andiamo con ordine. I souls, in particolare da Dark Souls in poi, sono stati titoli sicuramente di successo, che peraltro devono molto della loro fama (quantomeno all’inizio) al marketing aggressivo ma allo stesso tempo efficace di Bandai Namco. Questi giochi erano venduti come “Prepare to Die” (“preparati a morire”) o nelle schermate pubblicitarie veniva spesso mostrata l’ormai iconica frase di game over “You Died” (“sei morto”). Cosa voleva fare Bandai Namco con questo? Semplicemente vendere una sfida al giocatore; come a dire: “sei abbastanza bravo da superare questi giochi?”. Questo ha creato una sorta di competizione tra giocatori a chi riuscisse a superare l’apparente elevata difficoltà di questi giochi. E sia chiaro: i giochi erano difficili, ma non così difficili. Le meccaniche multiplayer e, soprattutto, la possibilità di aumentare livello e caratteristiche del personaggio permettono pressoché a chiunque di completare questi giochi.

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Questo non è tuttavia il messaggio che si voleva fare passare anche dal punto di vista social; pochissimi si concentravano sull’artisticità, la complessità della lore, i riferimenti ad altre opere come ICO e sul fantastico level e game design di questi giochi. Tra i pochi vi è sicuramente Michele Poggi (aka Sabaku no Maiku). Sabaku, che dai tempi dell’uscita di Dark Souls è divenuto ad oggi uno degli streamer più importanti in Italia del settore, ha fatto crescere enormemente la community souls ed è riuscito ad “allevare” tantissimi giocatori alla comprensione piena e qualitativa di questi titoli. Non fermarsi dunque alla mera sfida complessa offerta da questi giochi, bensì raggiungere una consapevolezza a 360 gradi di cosa questi titoli hanno effettivamente rappresentato.

Durante il periodo di lockdown e in piena pandemia, Sabaku ha effettuato un esperimento interessante: rigiocare tutta la saga souls in compagnia di un compagno da molti inaspettato, Francesco Cilurzo (aka Cydonia). Cydonia è conosciuto in Italia soprattutto per i suoi contenuti legati a Pokémon, ma è anche noto per la sua incredibile capacità di sviluppare teorie e sviscerare lore di giochi molto complessi. I due hanno riacceso (o ravvivato, usando un termine soulsiano) la fiamma sopita dei fan dei souls. Il loro gameplay trasmesso in diretta su Twitch della saga di Dark Souls è stato un gran successo e ha preparato il pubblico videoludico all’arrivo di Elden Ring. Ma quale tipo di pubblico? Non quello di Sabaku, che era già più che pronto, ma quello di Cydonia: un pubblico probabilmente non abituato a questi titoli, ma che grazie a lui hanno trovato interesse e curiosità a riguardo.

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Se da un lato Elden Ring è riuscito a destare la curiosità di un pubblico come quello di Cydonia, dall’altro la campagna marketing a cura di Bandai Namco del titolo è stata ben diversa rispetto a quella di Dark Souls. Fateci caso: pochissime volte in questa campagna marketing è stato fatto cenno alla difficoltà del gioco. Per come Bandai ha voluto vendere il titolo, la sfida non è il gioco in sé con i suoi nemici, ma l’Interregno.

Interregno

Fin dal suo annuncio, l’aspetto più chiacchierato di Elden Ring sia da parte di Bandai Namco sia di FromSoftware stessa è stato il mondo di gioco, l’Interregno, appunto. La mappa di Elden Ring è senz’ombra di dubbio una delle più vaste che si siano viste all’interno del mercato videoludico. Ma fino a qua, tutto sommato, niente di nuovo: abbiamo avuto nel corso di questi anni moltissimi open world ed Elden Ring non sarà di certo né il primo né l’ultimo. Dove sta allora la differenza che questo titolo è riuscito a creare? Nella densità e nell’oscurità. Mi spiego meglio. L’Interregno è un mondo vastissimo e tra i più ispirati a livello artistico che abbiamo avuto modo di apprezzare nel corso di queste generazioni. Ciò che però fa realmente la differenza è la densità di contenuti nel mondo di gioco. Durante le mie sessioni di gioco di Elden Ring non mi sono mai annoiato, trovando sempre e comunque qualcosa da fare: uccidere un nemico particolarmente potente, raggiungere una determinata posizione, portare avanti una determinata quest e così via. FromSoftware è riuscita davvero a rendere questo mondo vivo e pulsante (al pari forse del solo The Legend of Zelda: Breath of The Wild) donando al giocatore una sensazione di “fame” perenne e di una sazietà che non arriverà mai. C’è però un ulteriore aspetto, più sottile e nascosto, che a mio parere è il vero segreto del grande successo di Elden Ring e riguarda la parola oscurità.

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L’oscurità è un concetto molto antico che convive con l’uomo dalla sua nascita praticamente. L’oscurità è l’assenza di luce, di colore e quindi di visibilità, di sensibile. Nell’oscurità tutto è sospeso ed emergono le paure ancestrali che da sempre caratterizzano l’essere umano, come quella dell’ignoto. La padronanza del fuoco, in tal senso, ha rappresentato un passo fondamentale per l’evoluzione dell’uomo: avere una fiamma significava non solo poter trasformare carni crude in pasti commestibili, ma anche e soprattutto di vedere al buio e quindi potersi difendere da attacchi nemici (siano essi da parte di bestie feroci o altri uomini).

La luce crea conoscenza, laddove l’oscurità crea ignoranza, superstizione e paura, e in Elden Ring c’è tanta oscurità. Ma in che senso? Da sempre i titoli FromSoftware propongono narrative silenziose, criptiche e poco decifrabili. Un meccanismo che non piace a tutti, ma che sicuramente riesce ad affascinare molte persone. Dark Souls stesso deve molto del suo successo a una community attiva in cui diversi videogiocatori cercavano di aiutarsi l’un l’altro nella risoluzione di enigmi o comprensione della lore. Cos’è successo però stavolta e cosa c’è di diverso rispetto ai tempi di Dark Souls? Stavolta, c’è stata la pandemia da COVID-19: un fenomeno che ha colpito l’intera razza umana e che ha portato all’isolamento tantissime persone, nazioni e paesi. Un qualcosa che ha risvegliato in molte persone il desiderio e la voglia di ricongiungersi con gli altri in modo pacifico e costruttivo. I videogiochi, in tal senso, hanno aiutato molto ad accorciare le distanze tra le persone, seppur in modo virtuale.

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Ma cosa c’entra questo con Elden Ring? Elden Ring, più di qualsiasi altro gioco uscito recentemente e attualmente sul mercato, ripropone quell’oscurità, quella cripticità che aveva caratterizzato il primo Dark Souls. Un’oscurità che però crea una comunità unita nello scopo di gettare una luce su queste tenebre. Un senso quindi di fratellanza che è riuscito a risuonare e ad emergere soprattutto in ambito social. Seguendo questo ragionamento, Elden Ring sarebbe riuscito dunque a “convincere” i non interessati al titolo e ai souls a partecipare a questo senso di comunità generale che il titolo stesso per sua natura riesce a generare e quindi a divenire il grande successo di vendite che è diventato.

Non so se la mia visione sia corretta in tutte le sue forme, ma mi piace vederla così. Un gioco, un videogioco che in un tempo caratterizzato da distanza, distacco e guerre, è riuscito a unire tantissime persone nel comune obiettivo di scoprire cosa si celi dietro l’oscurità dell’Interregno e dei personaggi di Elden Ring.

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