Sakaguchi a ruota libera su Final Fantasy, il futuro del mobile gaming e di Square-Enix

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Hironobu Sakaguchi, ai più noto come il creatore della saga di Final Fantasy, abbandonata poi nelle mani di Yoshinore Kitase dopo il decimo capitolo, attualmente è autore di giochi per mobile, tra cui l’ultimo è Terra Battle, prossimamente disponibile su smartphone e tablet. Dopo tanti anni nel mondo degli RPG, tra cui i più recenti The Last Story e Last Odyssey, Sakaguchi ha deciso di abbracciare il mondo del mobile, così come le regole del mercato indicano. In un’intervista a Kotaku, Sakaguchi-san ha avuto modo di toccare tutti i punti salienti del momento che vive l’industria videoludica.

Si inizia col parlare della grandezza del team a disposizione per Terra Battle: «A essere onesto con Terra Battle ho appena un solo programmatore e quando ho incontrato questa persona mi sono detto “questo è il ragazzo col quale voglio lavorare”, e poi ho incontrato un paio di artisti. Attualmente ho otto persone nel mio team, incluso me stesso. L’industria dei videogiochi è molto simile a un albero: inizi con Nintendo e PlayStation 2 o anche Xbox, poi c’è un’evoluzione che in qualche modo io ho anticipato. Arrivi agli RPG open world. Se posso essere sincero, Terra Battle è molto simile a un ramo, è parte di quest’albero, ma è un ramo diverso. In senso buono, posso definirlo quasi come una succursale, non si sa dove sta andando, ma penso sia un’ottima transizione per un qualcosa di diverso. In un certo senso sento comunque di aver chiuso il cerchio, perché ho iniziato a lavorare sulla Famicon, poi vici Dragon Quest. Ho subito pensato “Oh mio Dio, è davvero difficile inserire un intero gioco di ruolo su uno spazio così ristretto“, poi adesso con i telefoni cellulari mi sono detto “Oh, sto soltanto toccando e riesco a fare tutto quello che stanno facendo”. Poi mi sono lanciato in Puzzle & Dragon e ho visto la qualità dei dati, la quantità di strategia, l’elemento stesso di gioco e ho pensato “Si può realmente fare qualcosa di decente su mobile”. È stato qualcosa di nuovo per me, quindi penso che questo lavoro mi servirà per avere nuove idee».

Il mercato detta le regole dei videogiochi al giorno d’oggi, ma quanto Sakaguchi è soggetto a queste dinamiche lo spiega in maniera diretta: «Quando inizio a sviluppare un gioco non mi preoccupo mai di crearlo per una regione, per una tendenza, per un target di riferimento, davvero. Ovviamente non sono sordo a quello che succede nel settore, quindi accetto sempre le sfide. Ho guardato quello che stava accadendo e mi è venuto in mente qualcosa: non si tratta solo di guardare, ma di sapere cosa sta succedendo all’interno. Sono passati dieci anni da quando sono stato l’ultima volta in una grande azienda a lavorare sui videogiochi: sicuramente ci sono molte ragioni per cui le aziende fanno le proprie decisioni, ma io davvero non ne so molto del perché in Giappone stanno cercando di allargarsi verso il mobile. Quello che sto facendo ora, però, sono sicuro che sarà diverso tra tre anni: sto anticipando qualcosa di completamente diverso».

«Previsioni? Se le avessi non sarebbe così difficile fare questo lavoro. Sto facendo giochi a schermata orizzontale e lo shock di fare qualcosa con schermo verticale è effettivamente grande. Ti devi preoccupare del layout, dell’aspetto, inoltre devi preoccuparti di giocare con una sola mano e non due. Dev’essere facilmente accessibili. Bisogna preoccuparsi di persone che giocano nel tempo libero, è completamente diverso da chi sta per affrontare un’esperienza di 50-60 ore su console. Così sto cercando di lavorare sotto un diverso insieme di regole. In questo senso sento che sto per affrontare una sfida completamente nuova, con nuove idee».

«Ho giocato un po’ a Final Fantasy Dimension, sì: è stato realmente difficile da controllare. Avrei voluto poter usare un controller, ma se stai facendo un gioco per cellulari devi fare in modo tale che sia giocabile con il cellulare. Quando ero alla Square-Enix la regola era di non fare alcun tipo di porting: non è una cosa che mi piace. Adesso la penso allo stesso modo: invece di lavorare a un porting preferisco lavorare a qualcosa di nuovo. È davvero difficile da comprendere quello che stanno facendo adesso alla Square-Enix, almeno per me: io amo le nuove sfide, ve lo ripeto. L’ho fatto una volta, però, sì, con Final Fantasy Chronicles. Non sono molto interessato nemmeno nei sequel. La porta però non è realmente chiusa per queste cose, ma è tutto legato alla necessità di trovare una persona con la quale saper lavorare, come quel programmatore di cui parlavo prima che ho trovato in Giappone. Quando Terra Battle, per allora, raggiungerà i due milioni di download creeremo un MMO basato su quell’universo: ovviamente non sarà un porting, ma un gioco 3D Non abbiamo ancora pensato a nulla dal punto di vista del gameplay né del game design: attualmente abbiamo però 165 personaggi, che sono davvero tanti. Non mi interessa però se sarà un singleplayer o un MMO, ma sicuramente vedendo la mole di personaggi a disposizione mi viene più facile pensare a un MMO. Sarà un progetto lungo, perché non abbiamo ancora iniziato a lavorarci, ma non è un problema di tempo».

«Non saprei come rapportarmi a un eventuale sequel di Chrono Trigger. All’epoca avevamo moltissimi creativi, sviluppatori e anche Toriyama, quindi persone famose. Una volta che hai finito è difficile dire “Ehi, rifacciamolo!”. Non è così facile. Sento ancora, ogni tanto, Kitase-san, parliamo molto, abbiamo un rapporto tale che ci permette di parlare di queste cose. Sono conservazioni segrete, però. Lavorare di nuovo alla Square-Enix? No, non ci sto pensando in questo momento».

Poi arriva la domanda fatidica, quella che tutti ogni tanto si pongono: «Tornare sulla serie Final Fantasy? Ogni volta che Nobuo Uematsu fa un concerto o qualcosa del genere le persone dicono “Fanne ancora!”. Il franchise però è arrivato a essere più grande di quanto fosse il suo creatore: è come se adesso finalmente possa distinguermi da Final Fantasy. A questo punto sento di poter fare qualcosa di grande e non mi guardo indietro. Per essere onesto, quindi, probabilmente no, non tornerei a lavorare su Final Fantasy. The Last Story non era come FF, non ci sono riferimenti: è completamente diverso. Il titolo? Beh è il tipo di titolo che amo».

Inizia poi il momento retrogame, fissando l’attenzione su Final Fantasy VI, uno dei capitoli più apprezzati della saga in America: «Kitase dice che Final Fantasy VI è stato sviluppato in un solo anno, ma mi sembra fosse passato molto di più, forse un anno e mezzo. C’erano 50 o 60 persone circa. Final Fantasy, il primo, venne realizzato da quattro persone inizialmente, adesso su Terra Battle ne ho otto. Non saprei dirti cosa preferisco tra gli RPG old school e gli RPG della nuova generazione, ognuno ha dalla sua qualcosa di positivo, sia quelli che riescono a dare sensazioni con le immagini, sia quelli che offrono una narrativa con dei libri, perché il videogiocatore ha la possibilità di immaginare».

«Un ricordo del passato? Ricordo che un giorno andai a lavoro e chiamai a raccolta tutti quelli che erano attorno a me e dissi: “Questo è quello che faremo”. La reazione fu tipo: Oh bene, Sakaguchi ci sta provando di nuovo” e quindi non presero sul serio la proposta, ma quando iniziammo a lavorarci capirono che era qualcosa di grande. Per Terra Battle è stata la stessa cosa: sono andato a lavoro e ho detto “questo è qualcosa di grande”».

«Sono sorpreso che tu continui a parlare di Final Fantasy VI, perché a quei tempi non riuscì a vendere moltissimo, sai. Avemmo problemi con la grandezza dei personaggi, con la pixel art, anche per questo Final Fantasy VII ebbe subito la CGI. Quando sento dire che Final Fantasy VI è il preferito di alcuni ragazzi mi chiedo sempre “perché non l’hai comprato all’epoca allora?”. Rimpianti? Sì, le persone pensano che ogni volta che io tocchi qualcosa riesca ad avere successo, in realtà ci sono giochi per i quali sono arrivato al 50% o anche il 60% del lavoro e non sono mai usciti sul mercato: l’unico rimpianto è non essere riuscito a completarli. Tra questi Tobal, non ebbe successo, ma mi piaceva.».

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