Xenogears: 20 anni di un capolavoro cult

Quando mi sono reso conto che sono passati 20 anni dall’uscita di Xenogears, due sono le cose principali a cui ho pensato. La prima è stata la banale constatazione che il tempo vola davvero, mentre mi tornavano in mente flash incredibilmente vividi legati a questo gioco. In particolare ricordo come nel 1998 questo ragazzino un po’ introverso che preferiva trascorrere il tempo libero con un libro in mano o immergendosi in mondi digitali munito di joypad, riceveva da un amico due CD Verbatim: copertina bianca e titolo scritto a pennarello. «Prova questo. È tipo Final Fantasy, ma coi robbottoni!»: una presentazione grezza ma sorprendentemente efficace.

La seconda cosa su cui ho riflettuto è che dopo tutto questo tempo, dopo innumerevoli run, dopo averlo lodato e consigliato fino all’esasperazione, se qualcuno mi chiedesse di spiegare in modo chiaro e preciso perché Xenogears è così speciale mi troverebbe in difficoltà. È paradossale in effetti come uno dei titoli più ermetici mai creati sia allo stesso tempo così amato fino alla venerazione, almeno da quella mai troppo ampia fetta di giocatori che ci ha giocato.

Quindi quale modo migliore per commemorare il mio gioco preferito di sempre con qualche riga in cui cerco di dare finalmente forma alla sua grandezza?

Xenogears
Art by Gabriel Perez

L’Alpha

Parte del fascino di Xenogears sta nell’aura che circonda la sua genesi e la sua storia da outcast nella galassia dei JRPG Made in Squaresoft oltre naturalmente al suo status di “fratello oscuro” di Final Fantasy, oscuro e anche un po’ sfigato. Tetsuya Takahashi e la moglie Soraya Saga, conosciutisi durante lo sviluppo di Final Fantasy VI, inizialmente avrebbero dovuto creare Final Fantasy VII, ma quando il progetto iniziò a prendere forma Hironobu Sakaguchi lo ritenne eccessivamente sci-fi e “impegnato” per poter vestire i panni di un Final Fantasy. L’idea era comunque interessante quindi alla coppia venne permesso di continuare a lavorarci come titolo a sé stante. Libero da qualsiasi limite di continuità della saga bandiera, Tetsuya Takahashi riversò nel progetto gran parte del suo vasto bagaglio di passioni: cultura pop giapponese, fantascienza scritta (sir Arthur Charles Clarke in primis) e cinematografica, filosofia ed esoterismo.

La parte “sfigata” iniziò però già dallo sviluppo. Come dichiarato da Takahashi allo scorso E3, il team affidatogli per la creazione del gioco era costituito quasi interamente da giovani nuove leve, quindi per addestrarli si perse molto tempo; tempo prezioso tolto allo sviluppo vero e proprio, che non poteva essere esteso troppo per la policy allora vigente in Squaresoft secondo cui tutti i progetti dovevano rientrare nei due anni di sviluppo. C’è chi dice che un altro motivo sia stato un taglio improvviso di risorse e tempi per concentrarsi su Final Fantasy VIII, mai confermato ufficialmente però; anche se non è difficile immaginare che sviluppatori più esperti siano stati lesinati a Takahashi per essere dedicati alla saga principale Squaresoft.

Lo sviluppo era quindi fuori tempo massimo, e dai piani alti venne proposto di far concludere il gioco dopo la fine del primo disco, dopo la fuga da Solaris. Una soluzione inaccettabile per Takahashi, che avrebbe dovuto rinunciare a gran parte della sua visione. Per questo motivo scelse di proseguire sfornando il famigerato secondo disco “castrato”. Una soluzione che però ha permesso di consegnarci intatta buona parte della storia del gioco, che anche così rimane tutt’oggi un’esperienza videoludica dalla profondità impareggiabile.

Xenogears
Art by Mikaël Aguirre

L’eterno ritorno

C’è un preciso motivo per cui questo articolo commemorativo non si intitola “20 anni dopo”, ed è perché chiunque abbia giocato a Xenogears inevitabilmente continua a tenerlo vivo dentro di sé, impresso indelebilmente nel proprio DNA di videogiocatore. Xenogears si è intrufolato nella nostra vita come un semplice videogioco, ma ci è rimasto impresso più come un’esperienza trasversale, ben più grande della somma delle sue parti.

Con tutti i riferimenti e i temi coinvolti al suo interno ci si aspetterebbe un guazzabuglio informe e pasticciato, Takahashi invece non solo è riuscito a coniugare tutto in modo soddisfacente, ma è andato oltre le citazioni delle sue opere di riferimento per arrivare a una sintesi che riesce a parlare di temi universali, e lo fa con un’efficacia fuori dal comune.

La grandezza di Xenogears sta sicuramente nell’affrontare temi maturi e difficili, tanto da essere passato a stento oltre la falce della censura. Vi troviamo l’affascinante percorso interiore di un protagonista travagliato, ma che non scade nel patetismo e ha la forza di volontà di reagire e ricongiungersi con sé stesso, e soprattutto di lottare per chi ha a cuore. In un’epoca in cui in Final Fantasy VII venivano censurate le parolacce dei vari Barret e Cid, Xenogears ti sbatteva sullo schermo sangue e personaggi nudi, che per di più finiscono per fare l’amore! Una scena che ha molto da insegnare sul come coinvolgere il sesso senza ammiccare fanservice.

Nonostante non sia stato l’unico a parlare di una chiesa corrotta, non è stato certo banale metterne in evidenza la natura di organismo di potere e controllo, o anche come mezzo per affrontare la dura realtà, una giustificazione per una volontaria ignoranza. Eppure ha avuto la dignità di non scadere nel rifiuto della spiritualità, ma piuttosto di incoraggiare a pensarla fuori dagli schemi imposti. A un livello più radicato poi, la vicenda legata a Fei & Co. può trovare varie corrispondenze religioso/esoteriche, e nonostante gran parte dei giocatori non possa coglierne la valenza, in qualche modo si riesce a percepirne una risonanza che tocca delle corde particolari.

Ma lasciamo da parte le chiavi di lettura più profonde inserite da Takahashi, o gli innumerevoli altri temi presenti. Personalmente credo che il vero pregio di Xenogears sia stato quello di raccontare una storia d’amore nel senso più elevato possibile. Ed è questo suo messaggio ad averci lasciato una silenziosa ma persistente sensazione di calore nel petto.

Xenogears

L’Omega

Sarà che non sono più un adolescente, o sarà l’esperienza, ma negli anni ho imparato che ci sono opere che parlano di romanticismo e opere che parlano di amore: e no, non sono la stessa cosa. Xenogears non si ferma all’aspetto melenso e inconsistente del sentimento, ma parla di amore partendo da quello tra due persone per poi farlo divenire totale. Ogni cosa nel gioco è costruito a questo scopo: le vicende di Aveh e Kislev, gli orrori di Solaris, la tragicità di Ramsus ecc. Tutti questi elementi sono la cornice e il contesto funzionali a raccontare una storia di rapporto tra umanità e amore, partendo da un tema mai troppo banale: per amare gli altri bisogna prima saper amare sé stessi.

Fei nel gioco trova Elly, ma non può amarla davvero perché in lui c’è disarmonia con la sua parte negativa ed egoista (Id) e la sua insicurezza (il Codardo). Elly lo aiuta e lo guida, ed è l’unica capace di arrestare Id, ma nonostante il suo aiuto sia necessario, è Fei stesso che deve ritrovare l’interezza e l’armonia della sua persona, cosa che alla fine riesce a fare per esprimere il suo vero potenziale. Fei dunque rappresenta l’umanità (non a caso è la discendenza di Abel) che trova pace in sé stessa rendendosi predisposta ad amare.

Elly rappresenta metaforicamente l’amore stesso (creata dalla Wave Existence in risposta al bisogno di amore di Abel), il sentimento che dovrebbe guidare l’umanità su un cammino di speranza; avanti nel gioco infatti, la vediamo diventare un punto di riferimento per i popoli nel suo dedicarsi agli altri. I due, nella loro unione tra uomo e donna, sono l’emblema della completezza di una coppia ma sono allo stesso tempo il simbolo dell’unione di tutta l’umanità, della co-dipendenza tra tutti gli esseri umani, che solo insieme sono in grado di volare, come rappresentato da i due angeli con una sola ala. In questo senso l’amore reciproco è l’unica religione, l’unico “dio” che dobbiamo cercare, non una presenza esterna che ci sollevi dalle preoccupazioni.

Krelian invece rappresenta l’umanità nei suoi errori. Devastato dalla morte di Sophia, egli cede alla disperazione e alla negatività e non riesce ad accettare e amare sé stesso. Non trovando traccia di un dio Krelian decide di crearne uno da sé e per sé, un artificiale senso di sicurezza esterna. Invece di cercare il senso dell’esistenza tra le persone, in preda alla paura egli mette il suo desiderio al di sopra di tutti. Abusando delle nanomacchine abbandona ogni scrupolo e rispetto per la vita umana, e così facendo perde inevitabilmente la propria umanità e capacità di amare. Questi sono i suoi peccati.

Tra i suoi tanti pregi, non ultimo quello di essere anche un videogioco divertente, Xenogears resterà per sempre indimenticabile per aver raccontato con maturità e profondità una storia di amore universale, indicandoci come la perfezione si trovi nell’imperfezione, e come la solidarietà reciproca sia più importante di qualsiasi religione.

“We don’t have to be perfect.
Actually, being imperfect makes mankind live by helping each other.
That’s what being human is. That’s mutual understanding. That’s ‘unity’ and ‘love’.
I’m glad… no, I’m proud to be human.”

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