Andor Stagione 2 Recensione
La miglior serie di Star Wars torna con una nuova - e ultima - stagione, con una maestria superficialmente solamente dalla struttura narrativa

È impossibile negare quanto Rogue One – A Star Wars Story sia stato un fulmine a ciel sereno, nel 2016. Dopo il fin troppo nostalgico Episodio VII – Il Risveglio della Forza, che in toto mi è piaciuto ma con il senno di poi risulta un po’ leggero in termini di potenza narrativa non fine a sé stessa, c’era relativa cautezza nei confronti di un prodotto non solo standalone ma persino dedicato a raccontare la prima vera vittoria ribelle, quel sacrificio che in Episodio IV – Una Nuova Speranza era relegato ad una singola frase.
Poi il film uscì e, degli 200 milioni di dollari spesi per crearlo, ne guadagnò quasi un miliardo. I meriti sono sicuramente da dividere fra vari aspetti: effetti visivi e speciali di ottima qualità, un cast vario come mai prima e mai più da allora, e soprattutto un comparto narrativo che, in funzione del sacrificio assoluto che il raffazzonato team di ribelli era pronto e destinato ad affrontare, prese scelte coraggiose come nessun’altro film di Star Wars e, in generale, come pochissimi altri prodotti cinematografici serializzati e non.
Andor è la serie che, in due stagioni, racconta il “prima” di Rogue One: le origini di Cassian Andor, i primi passi della ribellione, e un corollario di personaggi che, grandi o piccoli domino, hanno messo in moto gli eventi di una della saga più amata di sempre. Se la prima stagione è incentrata principalmente su Cassian (Diego Luna), Luthen (Stellan Skarsgård) e piccoli gruppi di ribelli, ognuno alla prese con aspetti diversi dell’Impero, la serie scritta da Anthony Joseph Gilroy – che già aveva co-scritto Rogue One – ha nella seconda stagione un compito più importante, ossia quello di condurci fino alle porte del film del 2016 e alle porte del sacrificio della squadra omonima.
Andor Stagione 2 Recensione
Per due principali motivi suddividerò la recensione in 4 blocchi: come nella prima stagione, anche i 12 episodi di Andor Stagione 2 sono divisi in blocchi da 3 episodi ciascuno, parentesi narrative che si adattano ad un ciclo di prologo-svolgimento-epilogo che fanno, lo vedrai, la forza più grande e la debolezza più marcata di questa seconda serie. Quello che ti consiglio di fare è quindi di tornare a questa pagina man mano che avrai visto i 3 episodi di ogni singolo blocco, e io non farò spoiler dei blocchi successivi a quello che ti sto descrivendo. Attenzione, però: considero il film Rogue One come visto, quindi farò accenni a quello che avviene in quella pellicola.

A livello produttiva, stiamo parlando di 140 set, 24 location diverse per le riprese, più di 700 costumi, 152 creature e 30 droidi, e oltre 4100 inquadrature con effetti visivi. La bravura è esponenziale, e l’impegno tecnico sarà poco esplorato in questa recensione perché è ineccepibile. Prima di partire con la recensione, ti riporto le parole dello scenografo ed executive producer Luke Hull: “Nella seconda stagione abbiamo lavorato in molti più studios. Abbiamo utilizzato il backlot dei Pinewood, quattro o cinque teatri di posa, altri due teatri di posa e anche una grande tenda hangar. Abbiamo usato anche tre teatri di posa ai Longcross. Quindi c’era una quantità enorme di set da costruire per una serie molto fisica. Non utilizziamo molti green screen, quindi abbiamo costruito dei set molto grandi e spesso li trasformiamo e modifichiamo molto rapidamente per creare la quantità di set necessaria al nostro mondo”.
Episodi 1-3 | Semi
È in questo primo blocco che si palesa come Andor Stagione 2 si impone di portarci alle porte di Rogue One e Una Nuova Speranza, ossia un anno alla volta. Questi primi 3 episodi sono infatti localizzati temporalmente nel 4 BBY (Before the Battle of Yavin, ossia prima della battaglia di Yavin), e ogni successivo trittico slitterà in avanti di un anno.
Cassian ha una missione: recuperare un caccia di nuovissima fattura e fornito delle migliori tecnologie da una base dell’Impero. Per riuscirci serve la collaborazione di un ufficiale Imperiale che, oltre ad accompagnarci lungo la piacevolmente lenta introduzione alla stagione e a questa prima tripletta di episodi, aiuta a definire quanto Cassian sia cambiato. L’ufficiale teme per la sua vita, ovviamente, ma spera che il rischio valga l’opportunità di aiutare la Ribellione, e Andor la rassicura: “Stai tornando a casa da te stessa. Sei diventata più della tua paura”.
Il ritmo lento aiuta a tornare a proprio agio nei toni della serie. I movimenti di camera e il linguaggio visivo sono quelli che conosciamo, ma allo stesso tempo un’evoluzione degli stessi: imparata la lezione dal successo di The Mandalorian, gli episodi di Andor Stagione 2 sono ancora di più parentesi cinematografiche anche per il livello tecnico che inseguono, triplette narrative invidiabili non solo per la solidità quasi intoccabile del canovaccio, ma anche per la rappresentazione visiva, all’altezza di produzioni per il grande schermo che raramente spingono così in alto l’asticella.

Sono soprattutto i set e i costumi a risultare sbalorditivi, scelta produttiva che, al pari appunto di The Mandalorian, restituisce una delle esperienze più serialmente cinematografiche da un po’ a questa parte, in casa Disney.
Narrativamente c’è altrettanto coraggio: se i film e le serie ci hanno finora parlato di – e mostrato – un Impero che ha poco altro da offrire oltre al suo momento cinetico perennemente ostile, un dito teso allenato a premere il grilletto, i primi 3 episodi slacciano le cinture morali degli antagonisti ancora di più. Il controllo dell’informazione è importante, per un Impero, e manipolarla significa manipolare gli animi, portarli a chiudere un occhio verso le violenze dell’Impero, giustificate dalla protezione della libertà che dicono di garantire. Persino mettere i bisogni energetici dell’Impero galattico di fronte alla stabilità fisica di un pianeta è cosa da poco, nella grande equazione delle forze della galassia della quale la schiera di Palpatine rappresenta un’ancora indomato frangente.
L’Impero qui, in gergo tecnico, gioca la long con, la “truffa lunga”, quella che potrebbe portare frutti lungo anni, non nel percepibile immediato.
Cassian è un po’ nelle retrovie, in questi 3 episodi: per essere il personaggio che dà il nome alla serie, lo vediamo poco ed è spesso bloccato in attesa che una qualche situazione si “sblocchi”, ma è anche chiara l’intenzione di ristabilire equilibri, interessi e ostacoli per dare al resto della stagione una solida base dalla quale partire. In questo la sezione narrativa di Cassian è quella che ci perde di più, negli episodi 1-3, ma apprezzo la necessità di resettare le somme narrative ed emotive, in questo ritorno della serie.
Come sempre, tanto nei giochi quanto nei prodotti televisivi o cinematografici, apprezzo la maturità neutrale del rappresentare i “cattivi” con toni che a volte hanno il coraggio di essere simili a quelli con cui si raccontano i “buoni”. Ne è un esempio una scena casalinga fra due ufficiali imperiali impegnati romanticamente, quasi fuori tono nei confronti della natura prettamente antagonistica di chi ne è protagonista. Non solo. Star Wars mette a schermo anche un tentativo di violenza sessuale. È una scena sulla quale per fortuna non ci si sofferma troppo, ma mai Star Wars è stato così veritiero nel riflettere anche l’assolutismo del male, qui o in una galassia lontana lontana.

So che c’è chi cerca escapismo nel sci-fi, ma un sci-fi maturo offre parallelismi e chiavi di lettura che lo siano altrettanto, e non storyline manchevoli di una radice nella vita di tutti i giorni. Andor Stagione 2 in questo, spero, apre la pista a storie più mature, anche su Star Wars.
Ho amato il finale di questa prima tripletta, per lo più in mano a Mon Monthma (la bravissima attrice irlandese Genevieve O’Reilly, che già ha vestito i panni del personaggio in Rogue One, Ahsoka e Star Wars Rebels, ma che i più appassionati riconosceranno come la doppiatrice di Moira in Overwatch). È un epilogo che ci riporta violentemente ad una verità di resistenza fatta di sacrificio, deportazioni, permessi di soggiorno e totalitarismo, ma anche di alleanze e di una libertà che nasce e si cerca naturalmente, senza una miccia particolare, “perché la libertà è una ricerca che non ha bisogno di stimoli per nascere”.
Episodi 4-6 | Piazza
La trilogia di episodi con forse la miglior colonna sonora dell’intera Stagione 2 di Andor, ci vede di nuovo saltare in avanti di un anno. Come dicevo, sono salti temporali molto interessanti ma anche molto pericolosi. Provo a spiegarmi.
Se da un lato, fino ad una generazione fa, avevamo da un lato le serie più old school e procedurali (come i vari CSI, Criminal Minds, Bones, etc) e dall’altro quelle più orizzontali (Lost, Fringe), con il tempo sono iniziate le ibridazioni, ossia serie che, pur con una trama orizzontale, riuscivano a far evolvere la storia, a volte in modo anche piuttosto evidente, nelle sue singole unità episodiche procedurali.
Poi sono arrivate le serie antologiche, come American Horror Story, con una storia orizzontale che però si “resetta” ad ogni stagione con nuovi personaggi, nuovo momento temporale, o anche solo nuovo contesto narrativo.

Andor è ancora più ibridato, in questo: la storia orizzontale c’è ed è abbastanza evidente, perché sappiamo dove saranno la maggior parte dei pezzi della scacchiera, un paio di mosse prima del checkmate, quindi serve solo scoprire come tutti sono arrivati dal punto A al quale li incontriamo la prima volta, al punto B nel quale sappiamo che finiranno. Questa scoperta avviene però a blocchi di 3 episodi alla volta, e il secondo blocco di Andor Stagione 2 sembra, suo malgrado, ancora più “preparatorio” del primo agli eventi che verranno.
Non è, peraltro, un cambio di tono marcato a sufficienza da attivare in chi guarda la comprensione anticipata dell’arrivo di un trittico fatto più di sotterfugi che di chiassosi pew pew laserosi.
Ciò che rende molto interessante questa tripletta è però l’attenzione ad uno specifico personaggio, un villain che nella prima stagione sembrava aver chiuso il suo percorso ma che qui, in funzione di un apparente cambio di alleanze, potrebbero vedere di molto cambiata la sua importanza per la Ribellione e l’Impero su piccola-media scala. Potrebbe essere una finta, ma le briciole di un’evoluzione sono tutte lì, ben piazzate.
Come dicevo, qui la miccia narrativa parte più lenta del primo blocco, quindi aspettati un trio di episodi più di dai toni di una guerra fredda fatta di spie e informazioni passate di nascosto, conversazioni nei vicoli, ecc. In modo poco marcato ma comunque sensibile rispetto ai primi 3 episodi, c’è una ribellione che cresce, stavolta in un pianeta benestante, e c’è la necessità di giocare sporco anche da parte dei presupposti buoni.
È forse la tripletta leggermente più debole, lo vedremo, per un andirivieni narrativo che sembra temporeggiare più che spingere in avanti il plot, ma sappiamo, dalla prima stagione, che sono gli slow burn quelli che Andor riesce a sfruttare meglio, nei suoi momenti migliori, e Andor Stagione 2 potrebbe star calcando un terreno che è più che preparato ad affrontare.

C’è anche molta più frizione fra i “buoni”, con vari fronti e metodologie più o meno terroristiche anche nella lotta contro l’Impero ed è interessante che Star Wars, solitamente meno elegante e volenteroso nel tracciare confini sbiaditi fra agonisti e antagonisti, mantenga qui la dolorosa realtà dell’aspetto più democratico dell’attualità di cronaca, ossia quello di tanti fronti democratici che, esterrefatti dall’ascesa delle destre, è poco unito e funzionale.
La frammentazione dell’editing di questi 3 episodi tiene un buon ritmo, e forse riesce ad evitare eventuali debolezze che un episodio completamente dedicato ad uno dei plot potrebbe invece portare a galla. In questo secondo blocco di episodi sembra comunque meno forte la capacità di aprire e chiudere un comparto narrativo all’interno del blocco stesso, e lo sforzo sfuma più in un piccolo passo in avanti, che in una più stabile e riconoscibile ciclicità di intro, svolgimento ed epilogo.
Non è un grosso scivolone, ma più una disattenzione per la quale, in tutta onestà, non ha senso punire la serie più che con un cenno, dato che sceneggiatura, set e costumi, in particolare qui, rimangono di livelli elevatissimi. Andava forse fatto un lavoro più di fino con il ritmo.
Episodi 7-9 | Ribellione
Altro anno in avanti, altro passo di marcia verso l’inevitabile risoluzione. La ribellione è più aperta, ma i cattivi sono sempre un passo avanti, e miccia ed esplosivo sono esattamente dove l’Impero li vuole.
Se fino a questo momento sentivo di essere in minoranza nella particolare “sensibilità dell’attuale” con la quale Andor Stagione 2 raccontava certi parallelismi al quotidiano (disinformazione promossa dalla forza politica al governo, disinteresse della classe politica più moderata finché non tocca i loro interessi, ecc), è molto difficile in questi 3 episodi non vedere richiami fin troppo forti con quello che sta succedendo sulle strade di questa galassia, non quella lontana lontana.

È una naturale ribellione che, stanca della svolta totalitarista di partiti, governi e animi, viene corrotta da fiumi di disinformazione organizzata con abilità tale da ribaltare agli occhi di molti il confine fra bene e male, fra oppressore e oppresso, fra libertà e regime… ma la verità è lì, se si allunga il braccio e si sforza la capacità critica. I legami personali sono non solo sacrificabili, ma sacrificati, per il bene superiore (e chissà se per molti “cattivi” l’illusione sia quella).
Il realismo narrativo diventa qui anche realismo visivo, quasi documentaristico, con un episodio 8 che ha troppo i suoni e le immagini di ciò che i telegiornali ci mostrano quotidianamente, quelle guerre lontane che poi tanto lontane non sono, finché toccano esseri umani come noi. Ugualmente potente l’immagine di senatori che, nel dimostare il coraggio di arrabbiarsi ed esprimersi contro il regime, sono trascinati fuori dal senato.
È di nuovo Mon Mothma il pilastro portante delle scene migliori di questa tripletta di episodi, e questo parla di quanto il cast di Andor Stagione 2 sia capace di brillare, con i giusti script. In particolare il discorso di Mothma al senato, posto a chiusura dei 3 episodi, è di una potenza inenarrabile.
È in questo blocco di episodi che ho notato la forza più grande di Andor Stagione 2: della Forza si parla poco, ma la mano del destino è invisibile finché non si sa dove guardare, e una volta che la si nota è difficile non capire come i famosi pezzi della scacchiera siano inevitabilmente attirati dal loro posizionamento finale.
C’è anche un particolare gusto nel voler “torturare” i cattivi, in un certo senso, offrendo chiavi di lettura interessante nel contesto di uno schieramento, quello Imperiale, che nei film è, lo ripeto, marcato in modo troppo infantilmente definito, se non per i personaggi di Finn e Kylo. Un particolare villain vivrà qui i frutti del suo silenzio di fronte ad ordini che, forse, non condivide del tutto, offrendo profondità ad un personaggio, quello di Dedra Meero (Denise Gough), che quasi vorrei vedere in uno spin-off dedicato.
È stata l’attrice stessa a descrivere perfettamente Dedra: “È qualcosa che accomuna tutti coloro che sono troppo devoti alla propria causa: ognuno spera che la propria causa sia quella giusta. Dedra si considera un’eroina, in fondo“.

Episodi 10-12 | Speranza
Ad un anno dalla battaglia di Yavin, siamo vicinissimi alla meta, vicinissimi alla ribellione che conosciamo e che ha iniziato l’intera saga. Finalmente si cita “l’arma”, e si capisce quanto vicini siamo al destino di Alderaan, e in quanti pochissimi passi stanno per avverarsi i destini di Leia, Luke e Han.
Lo spazio qui è quasi tutto dedicato a Kleya e Luthen (Elizabeth Dulau e Stellan Skarsgård), personaggi il cui rapporto è sempre stato interessante, sin dalla prima stagione; una relazione fra padre e figlia, forse, ma sicuramente fra maestro e allievo, dove però i ruoli, con gli anni, si sono andati a confondere. Stellan è ovviamente un attore bravissimo, e ha qui modo di splendere in un confronto con un villain che vi farà gioire nel modo in cui finalmente si svolge. “There’s a whole galaxy out there waiting to disgust you” è una frase potentissima, nel contesto in cui la vedrai in scena.
Dulau ha qui modo di brillare come forse mai prima, prendendosi il peso di un episodio e mezzo e dimostrando che Andor, e ancora di più Andor Stagione 2, avrà pure il nome del personaggio interpretato di Diego Luna, ma è la storia di una coralità senza nome e volto, nei film principali. Quella di Kleya e Luthen è una storia tragica, quella di un estremismo necessario perché la più cristallina e puericamente speranzosa ribellione con la R maiuscola possa arrivare a determinati obbiettivi. Il fuoco della ribellione richiede che qualcuno il carbone lo spali, e i due sono i soldati che, senza gloria, si tirano costantemente su le maniche per fare il lavoro – letteralmente – sporco.
Ci sono pochissimi punti di appiglio, con questa struttura a blocchi, e un po’ se ne sente la mancanza, sballottati fra cambi caratteriali e situazionali sì motivati dal trascorrere di un anno fra un blocco di episodi e l’altro, ma a volte poco eleganti nel ricalibrare il know how di chi guarda rispetto a ciò che succede nei momenti in cui al nostro sguardo è vietato uno spiraglio nell’evoluzione narrativa. Detto questo, c’erano 4 anni di storia da coprire in 12 episodi, quindi qualche salto era lecito aspettarselo.
L’ossessione di un particolare antagonista nello scovare un centro nevralgico della ribellione si rivela un’interessante ostacolo per buoni e cattivi allo stesso modo, e anche in questo Andor Stagione 2 decide di lasciare molto più spazio ai suoi personaggi “secondari”, diventando ancora più corale della prima stagione, non solo delineando i vari volti della ribellione senza smettere di renderla come qualcosa di più di ciò che si vede e percepisce, ma tanto da plasmarla in un movimento universale quanto la Forza stessa.

Lo sforzo della sceneggiatura rende reali le varie sfumature di grigio che i film, tolto Rogue One stesso, avevano a mio parere fallito nel perseguire; in un franchise che non riesce troppo mai a distaccarsi dai suoi eroi e villain a costo di scivolare nel ridicolo (“Palpatine has somehow returned” mi rimarrà addosso, fastidiosamente, ancora per parecchio), Andor Stagione 2 è abilissimo nel narrare dell’eterno conflitto senza ricorrere a Jedi, Sith, spade laser e cavalieri senza macchia, propagando la ricerca delle ombre e dei grigi che, appunto, Rogue One unicamente rappresenta, nella saga.
C’è un difetto che, ti confesso, mi è difficile considerare tale ma che allo stesso tempo è una resolutio interrupta piuttosto sensibile: la fine di Andor e di Andor Stagione 2 non è – e forse non può essere – nella serie stessa, ma in Rogue One. Il finale di questa serie, quindi, risulta manchevole di una vera risoluzione di per sé, arrivando a percepirsi più come l’ultimo grosso respiro prima di un tuffo da una scogliera. Non posso fare a meno di notare che però, se questo non-finale fa l’occhiolino a chi ha visto il film, ha anche l’abilità di manipolare psicologicamente chi Rogue One non l’ha visto o non lo ricorda.
Il finale, infatti, ha i toni speranzosi di un finale di stagione tradizionale, quello che ti sussurra all’orecchio che, anche se non sarai lì ad assistere, andrà tutto bene: i buoni vinceranno, i cattivi perderanno, e ci sarà pace nella galassia. Però sappiamo che non è veramente così, non del tutto, e ho davvero apprezzato la scelta di voler chiudere con un’immagine specifica (che qui non spoilererò) che trovo poetica nel richiamo a Episodio IV e in generale rispetto alla voglia – o necessità – del franchise di Star Wars di spingere sempre l’idea che la speranza, con il tempo, vinca su tutto.
Conclusioni
Andor Stagione 2 è una conclusione praticamente perfetta alle storie dei personaggi introdotti nella prima stagione, e funziona bene come ponte verso Rogue One. La struttura a blocchi narrativi di 3 episodi qui funziona a mio parere leggermente meno bene rispetto alla prima stagione, ma i valori produttivi sembra innalzati su ogni altri comparto, dalla sceneggiatura ai costumi, ai set, al sound design.
I parallelismi dello script alla situazione politico-sociale attuale viaggiano da “appena percettibili” a “molto sensibili”, ed è impossibile non guardare a molte delle scene senza tracciare fil rouge emotivi all’attualità che abbiamo intorno, tutti elementi che a mio parere rafforzano e di molto il messaggio di questa serie in entrambe le sue stagioni.

C’è anche molta più abilità nel raccontare il grigio dei ruoli, sia nello schieramento “buono” che in quello “cattivo”, e non era lecito aspettarsi qualcosa di così abile nel sembrare reale, nel contesto del fantastico. Se Cassian Andor stesso è presente in molti degli episodi, la coralità dei personaggi la fa da padrone, con interpretazioni sempre almeno buone (Elizabeth Dulau e Genevieve O’Reilly sono da Emmy) e personaggi tratti per lo più con rispetto e mai troppo abbandonati a sé stessi, anche se l’attenzione a Bix (la bellissima Adria Arjona) e Wil, sopravvissuti dalla stagione precedente, va un po’ scemando con il procedere della stagione.
Se la prima stagione innalzava Andor alla miglior cosa successa a Star Wars da un po’ a questa parte, ora il podio va assolutamente condiviso con The Mandalorian ma questa seconda stagione non scalza la storia di Cassian e della ribellione da una vetta che, sono sicuro, ci vorrà del tempo prima di scalfire.
Le frasi da citare
- “C’è un’intera galassia, lì fuori, pronta a disgustarti”
- “La differenza fra ciò che viene detto e ciò che è è ormai diventata un abisso”
- “La perdita di una realtà oggettiva è forse la cosa più pericolosa”
- “La morte della verità è la vittoria finale del male”
Maestria a mezza rivoluzione dalla perfezione
Pro
- Una stagione ancora più corale e distaccata dal solo personaggio di Cassian
- Set e costumi sono a livelli più che cinematografici
- Alcune interpretazioni, come quelle di Elizabeth Dulau e Genevieve O'Reilly, sono da Emmy
- La stagione muove con sapienza i pezzi sulla scacchiera, prima di arrivare all'ovvia conclusione
- I parallelismi con la realtà intorno a noi sono potenti e inevitabili
Contro
- Un paio di personaggi sono troppo corollari per avere incisività
- La struttura a blocchi non rende sempre bene come nella prima stagione