Wolf Man Blu-Ray Recensione – La famiglia muta forma

Blumhouse Productions rivisita il mito dell'uomo-lupo mettendo un nucleo familiare al centro delle vicende

Wolf Man Blu-Ray copertina recensione

Al centro di “Wolf Man”, film di Leigh Whannell e sceneggiato da Whannell e la moglie Corbett Tuck, c’è una famiglia, ma il vero focus del racconto è il conflitto fra il naturale e l’innaturale.

Dal direttore di “Insidious 3” e “The Invisible Man”, “Wolf Man” è un film horror del 2025 prodotto da Blumhouse Productions e Universal Pictures. Con un budget di 25 milioni di dollari, è arrivato a guadagnarne poco più di 34. In un ora e 43 minuti il film del regista neozelandese solca sentieri narrativi interessanti ma scopre il fianco ad una monotonia di location e, parzialmente, di evoluzione del racconto che minano di molto il successo della pellicola.

Grazie come sempre a Plaion Pictures ho potuto guardare la versione blu-ray di “Wolf Man” che, oltre al film, ha mezz’ora di contenuti speciali. La traccia video è un 1080p ad alta definizione, con un aspect ratio di 2.29:1 Widescreen, e tracce audio e sottotitoli sia in inglese (Dolby atmos) che in italiano (Dolby Digital Plus 7.1).

A fare da sfondo alle vicende, il finto Oregon, girato a Wellington in Nuova Zelanda

Primordiale come la paura

I titoli di testa mettono subito in chiaro che, almeno sulla carta, questa non è la solita storia dell’uomo lupo. C’è qualcosa di più antico, tribale, quasi primordiale nella maledizione de “La faccia di lupo”, come veniva chiamata da una tribù locale dell’Oregon che ospita le vicende (il film è in realtà girato a Wellington in Nuova Zelanda, ma non si nota).

La speranza che nasce negli occhi della spettatrice è palese, e un’arma a doppio taglio: questo sarà un uomo lupo diverso. E il focus del film sembra subito definirsi, come anticipavo, sul confine fra naturale e innaturale.

Seguiamo infatti la mattinata di un ragazzino, trattato dal padre come un militare e, lo si capisce presto, cresciuto a suon di disciplina e fucili, un modo benevolo ma anche inevitabilmente distante e inaffettuoso di preparare il piccolo Blake al mondo là fuori. Quello poco fuorì, più che il mondo in generale.

Natura VS innaturalità.

Il legame con tuo figlio VS il metodo militare e freddo di crescerlo per “proteggerlo”.

Attraverso gli occhi di Blake (Zac Chandler), infatti, avremo il nostro primo incontro con l’uomo-lupo delle leggende, che però la telecamera, più che inquadrare, ci fa intuire. Il pericolo è sempre oltre un ostacolo, oltre quell’angolo, persino oltre il confine del frame, a volte. Scopriamo presto che siamo davanti ad un flashback e che il padre di Blake, per proteggere il figlio una volta per tutte, è andato nel bosco per uccidere l’uomo-lupo e non è più tornato.

Il focus non è propriamente sull'uomo-lupo quanto sulla famiglia

Ci spostiamo al giorno d’oggi, e Blake (Christopher Abbott, da adulto) è padre a sua volta e, come vuole la tradizione, è tutto il contrario del suo: un padre amorevole, affettuoso, attendo comunque alle necessità della sua piccola Ginger (una Matilda Firth molto brava ma con poco da fare). È anche un marito perfetto, ma il rapporto con la moglie Charlotte (Julia Garner qui forse meno elastica, ma sembra colpa della sceneggiatura) sembra incrinato, freddo. Rotto, forse.

Natura VS innaturalità.

Una madre, ruolo genitoriale del quale subconsciamente riteniamo scontato il legame affettivo con i figli, che però non sembra “esserci”, per la sua famiglia.

Il padre di Blake viene ufficialmente dichiarato morto, la famiglia deve tornare qualche giorno in Oregon per recuperare ciò che il padre si è lasciato indietro e, una volta arrivati, vengono attaccati da “qualcosa” e comincia il loro viaggio nell’orrore. Blake viene infatti infetto e tutto il resto del film ci mostra la sua lenta trasformazione.

Più che maledizione, malattia

Come il regista spiega in uno dei contenuti extra, il twist di “Wolf Man” è in particolare il modo nel quale le sceneggiatrici hanno scelto di usare la trasformazione in uomo-lupo come un corpo che combatte un’infezione mentre 2 anatomie molto diverse cercano un punto d’unione, quella appunto dell’uomo e quella del lupo.

In questo senso, il reparto effetti speciali ha fatto un lavorone: la trasformazione di Blake è graduale ma efficace nello spingere in avanti proprio l’idea di due nature che, innaturalmente, cercano di unirsi o almeno di trovarsi nel mezzo. Si perdono i capelli, si iniziano a perdere i denti, inizia a crescere peluria dove prima non c’era e, soprattutto, si sviluppano dei sensi elevati.

Le performance attoriali sono molto buone

Questo è sicuramente, a mio parere, l’aspetto più potente del film, purtroppo poco sfruttato. In circa 4-5 scene, infatti, “Wolf Man” cambia la nostra prospettiva e ci mette nei panni del lupo stesso: visione chiarissima nel buio più intenso, uno shader blue che sembra onnipresente, e un ipersensibilità ai suoni sono cose che abbiamo già visto, nella mitologia degli uomini-lupo, ma “Wolf Man” mette a schermo questa innaturalità in modo curioso e molto fresco.

Natura VS innaturalità.

L’uomo cerca la società che lo accetta, l’uomo-lupo ne deve rifuggire, incapace di interpretarla.

A non essere fresca è invece la storia che, dopo l’incipit interessante e la sfiziosa scelta di concentrarsi su un nucleo familiare ristretto, con la voglia di raccontare un dramma molto più personale e di mettere insieme una pellicola molto meno gratuitamente gore… non va da nessuna parte.

Dopo l’infezione tutta la storia si svolgerà in 100 metri quadrati di location, con continui salti tra esterno e interno della tenuta; il ritmo non rende le cose interessanti, tirando il freno a mano molto presto e poi rimanendo in prima per il resto della durata, nonostante una scena d’azione a chiusura del primo atto che, girata senza l’utilizzo di CGI, mi faceva promettere bene nel lato più action del film.

Mitologia espansa, ma senza un vero guadagno narrativo

So che lo dico spesso, ma in ogni contesto creativo è sempre più facile farsi venire un’idea geniale ripsetto al riuscire a realizzarla, e in “Wolf Man” c’è davvero molto di interessante. Anche solo l’idea che l’uomo-lupo sia prima di tutto un reietto linguistico (Blake infatti molto presto non riesce più a capire quello che gli dicono moglie e figlia) è fonte di tantissimi stimoli, a livello di storia, ma “Wolf Man” non sfrutta le sue intuizioni geniali e si perde un po’ per strada.

La regia non è troppo delicata

L’idea che l’uomo-lupo perda la propria bussola sociale, prima ancora che quella morale, non si è mai vista prima, nel contesto di una mitologia che, me ne rendo conto solo ora, è rimasta relativamente immobile sin dalla sua concezione. L’uomo-lupo di “Wolf Man”, sulla carte, smette di appartenere al mondo che viveva fino a poco prima perché non riesce più, ironicamente, a interpretarlo.

A complicare la visione, il focus del film è abbastanza erratico: se inizialmente il focus è Blake, da metà film questo si sposta su Charlotte e Ginger, il che porta ad un inevitabile cambio di aspettative e ad una sorta di “rivelazione” del trucco che “Wolf Man” sta cercando di svolgere di nascosto ai nostri occhi. Se in un film horror mi metti da un lato una madre e una figlia impaurite, e dall’altra un uomo, magari un marito, infetto o quantomeno “non in sé”, sappiamo già tutti dove va a finire, no?

Ed è proprio lì che il film va a finire. Il terzo atto risulta in una giravolta su sé stesso e non c’è una risoluzione particolarmente ispirata al canovaccio narrativo impostato dai primi due atti, tanto che sembra quasi che “Wolf Man” si preoccupi più di evidenziare i parallelismi e fare l’occhiolino, invece che di creare un’iterazione interessante per l’ennesimo monster movie.

Reparto tecnico ed extra

Sarò breve sugli extra: tolti alcuni approfondimenti sulla creazione dell’uomo-lupo e su alcune particolari scene, l’aspetto più interessante di questi extra è sicuramente il commento del regista. Ciò che il buon Leigh Whannell condivide, offre uno sguardo approfondito ad alcuni momenti del film o a particolari scelte registiche, ma come contenuto questo fa riferimento ad una profondità che, senza l’input di chi il film l’ha fatto, non è totalmente evidente e quindi, personalmente, più un miss che un centro.

Tecnicamente siamo invece davanti ad una traccia video pulitissima. Il supporto rende giustizia ad un environment che per la quasi totalità del film è rappresentato da boschi: marroni, verdi e, da un certo punto in poi, blu, riempiono lo schermo e forniscono un senso di immersione ineccepibile. Molto buone anche le tracce audio, e finalmente arriva “Wolf Man” a dimostrare che è possibile avere tracce sottotitoli sia in inglese che in italiano (hai capito, Peter Pan’s Neverland Nightmare?).

Il terzo atto di Wolf Man gira molto su sé stesso

Wolf Man Blu-Ray Recensione – Conclusioni

“Wolf Man”, come tanti film del genere horror, parte con delle premesse interessanti e con la superficiale promessa di voler raccontare in modo diverso un pilastro della mitologia horror rimasto intoccato da qualche decennio (se non stilisticamente, come nel caso del “Werewolf by Night” di Marvel, forse il più sperimentativo finora).

Nonostante un primo atto ben ritmato, chiuso da una scena d’azione orchestrata in modo magistrale, il secondo atto ha quasi solo la lenta trasformazione di Blake a sostenere il peso del disinteresse, e il terzo atto è un ping-pong costante fra due location vicine e che smettono di essere interessanti ad una velocità inaspettata. Peccato per l’aspetto recitativo, perché tutto il cast è efficace e credibile nei vari ruoli. Spero qualcuno raccolga questi stimoli, e ne faccia un prodotto migliore, in futuro.

6.9
Buone le premesse, ma secondo e terzo atto si sostengono sulle cose sbagliate

Pro

  • Le premesse tematiche e narrative fanno ben sperare
  • Reparto effetti speciali di alto livello
  • Buona l'idea di mostrarci il punto di vista sensoriale del lupo

Contro

  • Il secondo atto ha solo la trasformazione a dargli sostegno
  • Il terzo atto è un ping pong senza senso
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