Journey – Recensione Journey

In sviluppo sin dall’uscita di Flower, secondo titolo creato da ThatGameCompany per un contratto con Sony di tre titoli esclusivi, Journey è stato finalmente reso disponibile per il download da alcuni giorni: l’ultima fatica della casa americana si pone l’obbiettivo di far fronte alle voluminose aspettative creatisi attorno alla sua misteriosa figura, costruita su di un gameplay semplice ed intuitivo e su scelte visive estremamente particolari e ricercate. Successo o fallimento? 

Ascoltate la mia storia…

Basandosi su di un concept di gioco tanto semplice ed intuitivo quanto divertente (un tasto per saltare, un tasto per cantare), Journey offre un’esperienza prevalentemente dettata dai sensi, dalla soggettività con cui ognuno approccia la sua semplicistica e variegata formula, definita ora dall’esplorazione di una landa desertica, ora da una corsa al tramonto tra le rovine di un’antica città: indipendentemente dalla situazione di gioco tuttavia, ed in virtù della durata estremamente breve dell’avventura (circa due ore per "viaggio"), Journey non può essere analizzato in termini puramente tecnici, rendendo inapplicabile una semplice valutazione del suo comparto tecnico e del suo gameplay ed invitando piuttosto a soffermarsi sulle sensazioni che l’eccezionale direzione artistica del titolo riesce a scatenare, donando inoltre al giocatore la possibilità d’interpretare in molteplici modi una storia priva di dialoghi o cut-scenes che si protraggono per più di qualche secondo.

Che cosa rende dunque Journey un’esperienza unica, una bomba atomica sulla sottile coltre che secondo molti divide videogioco ed arte? Indubbiamente la già citata capacità di catapultare il viaggiatore in ambientazioni sognanti, graziate da un level design che invoglia all’esplorazione di ogni singolo anfratto del mondo di gioco onde recuperare questo o quel potenziamento che ci permetta di volare più a lungo: gli spostamenti avvengono difatti per lo più volando attraverso lo sfruttamento di appositi gruppi di piccoli pezzi di stoffa sparsi per le varie locations, richiamabili dal personaggio mediante il canto ed in grado di ricaricare la sua sciarpa, unica testimone delle esperienze vissute e passibile di crescita qualora ci si dedichi alla ricerca dei già citati bonus.
La possibilità di scivolare lungo le dune sabbiose, la fisicità dello spostamento del nostro alter-ego, l’esaltazione nell’osservare le proprie capacità di movimento crescere di pari passo alle esperienze vissute, l’eleganza che viene a crearsi mediante la coadiuvazione di molteplici effetti audiovisivi semplicemente sbalorditivi durante questa o quella fase del viaggio: tutto, in Journey, esiste in funzione del coinvolgimento del giocatore.

A tanta grazia va ad aggiungersi la qualità di un comparto multigiocatore di rara fattura: è difatti possibile incontrare, durante i propri viaggi, un giocatore per volta che si trovi nella nostra stessa posizione ed affrontare con esso tutto il resto dell’avventura o, nel caso ci si distanzi troppo, incontrarne un altro ancora con cui condividere le magnifiche sensazioni che il titolo è in grado d’elargire: ciò che veramente colpisce è la pressoché totale assenza d’interattività tra i giocatori, decisamente in contrasto con il valore aggiunto che a conti fatti il multiplayer di Journey conferisce alla produzione stessa; l’unica cosa resa possibile tramite la cooperazione dei due giocatori (i cui nomi restano sconosciuto l’uno all’altro sino al termine del viaggio) è difatti la possibilità di ricaricare la sciarpa del proprio compagno mediante il canto o di scaldarsi a vicenda con il medesimo metodo in ambienti particolarmente freddi. Eppure, malgrado una tale semplicità, l’esperienza cooperativa di Jouney permette di godere ancor di più della qualità del prodotto, grazie alla muta condivisione di visioni paradisiache e di sequenze avventurose davvero esaltanti pur nella loro essenzialità.

Stairway to Heaven

Volendo esaminare Journey da un punto di vista puramente tecnico, non ci si può non stupire ulteriormente per la qualità raggiunta dal team di sviluppo: la fisica del mondo di gioco, gli effetti particellari estremamente curati, una palette di colori capace di assumere molteplici variazioni cromatiche capaci di raggiungere il perfetto connubio tra cura artistica ed esaltazione del concept di gioco.
Come se ciò non bastasse, ad aggiungere ulteriore qualità all’insieme ci pensa una colonna sonora semplicemente epica ed emozionante, capace di adattarsi perfettamente alle situazioni di gioco sottolineando con enfasi ogni passaggio cruciale dell’avventura, contribuendo ulteriormente all’immersività del titolo.

In Conclusione

Tirando le somme, Journey è con tutta probabilità il prodotto videoludico che più di qualsiasi altro riesce a creare un perfetto connubio tra arte e videogioco, riuscendo nell’unire ad una giocabilità semplice e divertente l’impatto di una veste grafica sontuosa e di un comparto sonoro celestiale.
Il voto massimo è però irraggiungibile anche e soprattutto per una perla tanto atipica che sicuramente risulterà indigesta a molti videogiocatori moderni, principalmente a causa della breve durata dell’avventura (comunque piacevolmente rigiocabile) e dell’assenza di impegno richiesto per portarla a termine, oltre che per l’indiscutibile atipicità del ritmo di gioco.
Il nostro consiglio è quello di dare a Journey una possibilità, soprassedendo sulla forse eccessiva semplicità del suo gameplay e lasciandosi catturare dalle sue atmosfere sognanti e dalle sue inopinabili qualità artistiche e filosofiche.

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