Back in Time – Tears to Tiara II

In attesa dei porting, questa settimana riscopriamo Tears to Tiara II: Heir of the Overlord.

Qualche settimana fa sono stati annunciati i port su PlayStation 4, Playstation 5 e PC di Tears to Tiara II: Heir of the Overlord, attesi per il prossimo autunno. Una delle ultime puntate di Back in Time è dedicata al gioco di Aquaplus, uscito originariamente su PlayStation 3 nel 2013 (2014 in Occidente).

https://www.youtube.com/watch?v=mLIZCEwFRDM

Nonostante Tears to Tiara II sia il quarto gioco della serie, i fanatici delle continuity non si spaventino, perché i collegamenti con i predecessori appaiono tenui: le varie storie, infatti, si ambientano tutte nello stesso mondo, ma in periodi e regioni diversi. Ad ogni modo, chiunque desideri una conoscenza più approfondita può guardare l’adattamento anime di Kakan no Daichi (di cui non conosco la qualità, NdR). Si tenga conto, inoltre, che i primi due giochi raccontano versioni alternative della stessa storia, mentre il terzo è semplicemente una side story.

L’universo di Tears to Tiara è ispirato vagamente al conflitto fra Roma e Cartagine, ma è giusto sottolineare l’avverbio “vagamente”. Si tratta di un fritto misto, tipicamente giapponese, di storia e varie mitologie e religioni, rilette in chiave fantasy. Hamilcar Barca è l’ultimo esponente della dinastia dei regnanti di Hispania, terra sottomessa e duramente vessata dal Divine Empire; egli, con l’aiuto della dea Astarte, scesa nel mondo dei mortali per ripristinare il collegamento fra uomini e divinità, lotta per sconfiggere l’impero e liberare il suo popolo. Ciò lo porterà prima in giro per la penisola iberica, ma poi anche nel resto del mondo allora conosciuto, dal Reno alle coste dell’Africa settentrionale, alla ricerca di alleati.

tears to tiara ii

L’intreccio di Tears to Tiara II è spiccatamente heroic fantasy, considerata l’enfasi posta su intrighi politici e strategie belliche, anche se il ricamo non è ricco come quello dei pesi massimi del genere, tra cui è impossibile non citare il nono e il decimo capitolo di Fire Emblem.

Tra le tematiche principali spicca il conflitto religioso fra il “paganesimo” hispanico e l’ortodossia del Divine Empire: le divinità adorate dal popolo di Hamilcar sono ispirate alla mitologia dell’Asia Minore (oltre alla già citata Astarte, abbiamo Melqart, Tanit e così via), spesso veicolata sulle coste africane dai Fenici, mentre il Divine Empire vuole imporre un culto monoteistico che richiama il Cristianesimo in alcune sue letture. Tutto ciò ha molto poco di storico, dal momento che proprio nella Roma classica (perché ai tempi delle Guerre Puniche l’Impero era ancora lontano) si realizzò uno dei più imponenti fenomeni di sincretismo religioso della storia occidentale, ma abbiamo già detto che Tears to Tiara è tutt’altro che rigoroso da questo punto di vista.

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Tears to Tiara, nelle sue incarnazioni su PlayStation 3, è un ibrido di visual novel (non eroge) e JRPG tattico a turni. Questa formula può sembrare tutt’altro che inconsueta anche per noi occidentali, dal momento che tantissimi JRPG tattici gestiscono i dialoghi proprio come le visual novel, quindi è necessaria una precisazione: in Tears to Tiara II si legge tantissimo, più di quanto vi abbiano abituati i vari Disgaea, Fire Emblem e Final Fantasy Tactics. Della serie che la sezione iniziale dura una mezza dozzina di ore e se ne gioca a malapena una, composta peraltro da semplici battaglie tutorial. Non spaventatevi perché in seguito la situazione migliora, ma chi scrive ha avuto talvolta la sensazione che alcuni dialoghi fossero inutilmente prolissi o non del tutto necessari. Forse sarebbe stato bene diversificare fra eventi principali e opzionali, in modo da soddisfare sia i lettori meno accaniti sia i fan delle visual novel. D’altro canto è anche vero che si tratta di una visual novel, seppur ibridata, quindi non è il caso di lamentarsi, ma solo di avvisare il potenziale acquirente; nulla vieta, inoltre, di skippare i dialoghi, mentre è un peccato che non si possa salvare in ogni momento.

La qualità di questa componente visual novel è buona: la storia è ben costruita e i personaggi sono ben delineati, quindi non risulta difficile interessarsi alle vicende di Hispania. Lo svolgimento è lineare, a differenza di molte visual novel – e non solo: si pensi all’illustre Tactics Ogre: Let Us Cling Together! – che presentano diversi path. Tale linearità, unita alla già citata prolissità e a una certa mancanza di originalità, porta a qualche calo di ritmo, più che normale se consideriamo la durata spropositata dell’avventura: Atlus USA parla di ottanta ore, e non abbiamo dubbio che qualche giocatore, specie fra quelli non madrelingua anglofoni, le raggiungerà; quel che possiamo dirvi è che intorno alla quarantina di ore, quando un comune JRPG tattico mostra i titoli di coda, Tears to Tiara II ha ancora molto da dire. E non parliamo dei – pur presenti – contenuti post-game…

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Forse in modo paradossale, Tears to Tiara II è meglio come T-JRPG che come visual novel: pur conservando la mancanza di originalità di cui abbiamo già parlato, infatti, la componente tattica è davvero ben studiata, a tal punto che potrebbe essere vista come un piccolo compendio di quanto di buono si è visto nel genere. Ciò non deve sorprendere, dal momento che questo aspetto è stato curato da Sting Entertainment, vero e proprio veterano nel settore; molto più insolita, invece, è la mancanza di meccaniche astruse, marchio di fabbrica dello sviluppatore giapponese. La formula è quella del tattico a turni custom, sulle orme di Tactics Ogre; dal capolavoro di Matsuno sono state prese in prestito anche caratteristiche “minori”, come l’utilizzo delle bestie, l’orientamento delle unità (presente pure in Suikoden Tactics, fra gli altri) e l’opzione Rewind, introdotta dalla versione per PSP. Anche altre feature più inusuali sono a ben vedere riconducibili ad altri tattici: pensiamo alle cavalcature, viste nel recente Disgaea D2, o al portale per introdurre unità a battaglia già iniziata, altro elemento mutuato dai tattici di Nippon Ichi Software; la cosa interessante, qui, è che tale portale è una quadriga trainata da un elefante (ecco l’ispirazione cartaginese!) e non una casella fissa.

I sistemi di crescita, di equipaggiamento, di skill e di crafting sono molto classici e implementati con sapienza, in modo piuttosto semplice anche per i pochi neofiti che potrebbero approcciare il gioco. La crescita funziona tramite il solito livellamento – è consentito pure il grinding tramite battaglie opzionali –, che porta all’upgrade delle statistiche e all’apprendimento di magie, tecniche e abilità passive, equipaggiabili nei limiti degli skill point disponibili. Alcune abilità (ad esempio, i vari “resist poison/stun/ecc.”) possono essere apprese tramite tomi acquistabili o “forgiati” tramite crafting. Gli equip sono legati alle classi, ma in larga parte sono comuni a molte unità. Non ci sono sorprese, ma nemmeno grosse pecche nella realizzazione.

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Nonostante Tears to Tiara II non sia un campione di originalità, le battaglie hanno comunque un loro sapore caratteristico, conferito da due meccaniche: il già citato rewind e quelle che potremmo chiamare “zone di influenza”. Il primo sistema consente al giocatore di tornare a uno qualunque dei venti turni precedenti, e può essere impiegato senza patema alcuno, anzi, è il gioco stesso a incoraggiarne l’utilizzo, per costruire la partita perfetta e ottenere il rank S alla fine della pugna. Numero di turni, game over (che non sono drammatici: basta riavvolgere i turni), alleati sconfitti (ma non c’è permadeath) e altri parametri incidono sulla valutazione finale, quindi il giocatore scrupoloso tornerà spesso sui suoi passi per vedere se in quel turno non poteva posizionare diversamente le unità, oppure utilizzare un attacco anziché un altro e risparmiare qualche MP. Le zone di influenza sono forse (ma non ho giocato tutti i T-JRPG, quindi non posso esserne certo, NdR) l’unico elemento inedito di Heir of the Overlord, e aggiungono un importante fattore posizionale. In sostanza, la presenza di un’unità ostile nelle vicinanze limita i movimenti, rendendo più difficili, quando non addirittura impossibili, gli aggiramenti. Ciò valorizza la sinergia fra maghi/arcieri e tank, i quali creano un muro quasi impenetrabile per le unità più deboli, almeno per quanto concerne gli attacchi fisici.

Questi due sistemi lasciano un’impronta profonda su un gameplay che risulta sufficientemente sfaccettato e impegnativo, nel momento in cui si voglia giocare “bene”, cioè a un livello di difficoltà almeno medio e ottenendo il rank S. Da questo punto di vista, inoltre, il gioco è flessibile, perché consente di cambiare la difficoltà in ogni momento.

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Dopo tutto questo ben parlare di Tears to Tiara II: Heir of the Overlord, è giunto il momento per una tirata d’orecchie, che concerne il comparto tecnico. Siamo ben consapevoli che il budget destinato allo sviluppo dovesse essere davvero ridotto, però il gioco è piuttosto sgradevole alla vista, a causa di modelli poligonali e texture provenienti da un’altra epoca. Il risultato rappresenta un passo indietro persino rispetto ai precedenti capitoli usciti su PlayStation 3, anche a causa di una scelta stilistica opinabile, cioè quella di rappresentare in stile chibi i personaggi: non abbiamo nulla contro il super-deformed, ma in questo caso ci sembra poco adatto al contesto serioso e non coerente con il character design dei ritratti.

Il sonoro è decisamente migliore, grazie a OST e doppiaggio di qualità. La prima pare in parte mutuata dagli episodi precedenti, cosa che a noi occidentali interessa poco; quel che conta è che si tratta di un lavoro coerente ma sufficientemente vario da non stancare facilmente, nonostante la notevole durata del gioco. Il secondo è un lavoro notevolissimo, se pensiamo al fatto che tutti i dialoghi sono doppiati. Chiaramente è assente il dub in inglese, ma la combinazione mole incredibile di testo + prodotto di nicchia ha giustamente scoraggiato Atlus USA. Anche perché alla maggior parte dei potenziali acquirenti il doppiaggio originale basta e avanza!

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Tears to Tiara II: Heir of the Overlord è un gioco piuttosto pesante sulle prime, ma, dedicandogli tempo e attenzione, si rivela un buon ibrido fra visual novel e JRPG tattico, caratterizzato da lunghi dialoghi e battaglie appaganti. Chiaramente si tratta di un’opera rivolta a una nicchia.

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