Clair Obscur Expedition 33 è il JRPG che mi mancava

Si sentiva bisogno di un gioco così

Partiamo da una premessa fondamentale: i JRPG a turni non sono mai morti e, anzi, in questi ultimi anni stanno vivendo una nuova giovinezza. Certo, non siamo ancora ai livelli della golden age vissuta a cavallo dei fine anni 90/primi anni 2000, ma la narrativa che vede Clair Obscur: Expedition 33 (da ora abbreviato in COE33) come il “salvatore” del genere è, francamente, poco aderente alla realtà. Solo nell’ultimo anno ho giocato almeno una decina di JRPG a turni, senza contare tutti quelli usciti e che non ho potuto provare per ragioni di tempo o semplice affinità. Inoltre, molti di questi avevano una qualità pazzesca.


COE33 vanta in compenso di una sequela innumerevoli di meriti, il primo tra questi si rifà proprio a un commento che scrissi due anni fa nella TOP 99 dei miei JRPG preferiti di sempre:

“…nel cercare di trovare la giusta collocazione al JRPG di papà Sakaguchi mi sono reso conto che è davvero un peccato che non sia mai esistito un Lost Odyssey 2 o che, quantomeno, qualcuno non abbia provato a replicare questo tipo di produzione…per me Lost Odyssey è stato l’ultimo baluardo di un tipo di JRPG che ad oggi non si fa più, ed è un gran peccato.”

Oggi mi sento di dire che, grazie a COE33,  quel JRPG è arrivato nella maniera più sorprendente e che mai mi sarei mai aspettato, visto che parliamo di un team francese, Sandfall Interactive, formato da poco più di 30 persone (si senza considerare l’outsourcing, marketing, pr, publisher e bla bla bla). Dopo Chained Echoes, sviluppato dal tedesco Matthias Linda, questa nuova scia dei “western” jrpg è incredibilmente paradossale quanto affascinante. 

Sebbene COE33  non rivoluzioni la formula del JRPG, è evidente che chi lo ha sviluppato possiede una conoscenza profonda e indiscutibile della materia, oltre a un talento cristallino nel saper rielaborare elementi presi dai grandi maestri della scuola giapponese, restituendoli in un contesto moderno, elegante e personale. Il risultato è un’opera che riesce a sembrare sempre fresca e originale, pur lasciando trasparire quel familiare profumo nostalgico delle serate trascorse con i grandi classici del passato. Tutto questo prende forma all’interno di una cornice (occhiolino 😉 matura e drammatica, dai toni cupi, ma anche capace di momenti bizzarri, leggeri e perfino goliardici, sostenuta da una una direzione artistica  e una colonna sonora e che avvolge fin da subito e non ti lascia più andare.

La trama cattura immediatamente, e la qualità della scrittura si attesta su livelli così alti da dare vita a personaggi non solo eccezionali, ma profondamente autentici. Nessun cliché, nessuna caricatura: COE33   racconta storie di persone, per lo più adulte, alle prese con problemi concreti all’interno di un mondo fantastico. La delicatezza con cui vengono trattati temi complessi come la morte, la famiglia, il lutto, il sacrificio, l’egoismo e il senso del viaggio ha ben pochi eguali nel panorama videoludico odierno. COE33 è riuscito perfino a farmi apprezzare una precisa scelta narrativa collocata verso la fine del secondo atto, una svolta che in altri giochi, e altri medium, ho sempre faticato ad accettare.

Ma l’aspetto che più di ogni altro mi ha colpito è la sorprendente quantità, e soprattutto qualità, dei contenuti presenti nel mondo di gioco, non solo quelli principali, ma anche e soprattutto quelli secondari. In questo senso, la world map svolge un ruolo straordinario: non mi sarei mai aspettato, nel 2025, di vedere un JRPG riproporre con tanta intelligenza e buon gusto una mappa del mondo costruita in questo modo. Proprio come nei Final Fantasy classici che mi hanno fatto innamorare del genere, la capacità di ricompensare l’esplorazione con un oggetto raro, un boss opzionale o un dungeon nascosto ha rappresentato per me un autentico tuffo nel passato. E non esagero quando dico che COE33  può vantare uno dei migliori endgame visti in un JRPG negli ultimi vent’anni, se non qualcosa in più.

Come sconfiggere Ballet Cromatico in Clair Obscur: Expedition 33

COE33 è il frutto di un lavoro di persone talentuose che hanno realizzato il gioco che hanno sempre desiderato, venduto a 50 euro e capace di raggiungere le 2 milioni di copie in pochi giorni dal lancio nonostante sia stato inserito all’interno del Gamepass. Si tratta di un risultato che tutte le grandi software house e publisher dovrebbero studiare ed analizzare, e non mi riferisco solo a chi si occupa di JRPG, come nel caso di Square Enix. Per quanto poi non mi piacciano tantissimo i commenti tipo “Ecco, guarda come si fa un Final Fantasy. COE33 è più Final Fantasy di FFXVI”. Sono affermazioni che personalmente non condivido del tutto, pur riconoscendo che tra le righe si nasconde una certa verità. Square Enix per troppi anni ha cercato di sperimentare cercando di dare una nuova direzione a Final Fantasy e fin troppo spesso si è notato un certo smarrimento. Non perchè abbia fatto brutti giochi, anzi, ma perchè questa sperimentazione, ormai da troppo tempo, avviene senza una reale cognizione di causa: si guarda poco al passato, si ignorano le lezioni apprese, e si trascurano quegli elementi che in passato hanno funzionato e che meriterebbero di essere ripresi ed evoluti. Mentre altre sarebbero da dimenticare o rimaneggiare da zero. È proprio qui che Square Enix dovrebbe trarre ispirazione da COE33: imparare a guardare al passato per costruire un futuro coerente e significativo, senza fossilizzarsi su trend e mode che creano solo danni.

COE33 ha dimostrato che c’è ancora fame di un certo modo di giocare, di certi personaggi e, soprattutto, di storie ben scritte che guardino non solo ad un pubblico giovane ma anche a quello più adulto. 
Il tempo ci dirà se COE33 verrà riconosciuto come un capolavoro e un classico del genere, al momento mi limiterò a dire che si tratta del gioco che tutti noi avevamo bisogno. Io ne avevo bisogno. Ma soprattutto, un gioco

Per quelli che verranno dopo

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