The Last of Us Stagione 2 Episodio 5 “Feel Her Love” Recensione
Il lutto è due piani più in basso
C’è una parola che, oltre ai parallelismi che la serie HBO produce, mi sta facendo piacere moltissimo la trasposizione di The Last of Us Part II; è un concetto che mi ritrovo ad avere in testa solo per la serie, anche ora che sto riaffrontando i giochi perché… vabbè, che dire, sono tra i miei giochi preferiti e credo gli unici che rigioco sempre volentieri.
Compartimentalizzazione.
“Divisione in compartimenti o scompartimenti. In partic., nelle costruzioni navali, suddivisione degli scafi, spec. quelli di metallo, in locali stagni; nelle costruzioni aeronautiche, suddivisione della camera gas di un dirigibile.”
Ellie. Compartimentalizzazione. Limitare i danni.
La serie si sta prendendo del tempo che il gioco non poteva, per la sua stessa natura di gioco, prendersi, e ne stiamo godendo i frutti. Dannazione, Craig Mazin, l’hai fatto di nuovo. Parliamo di questo episodio, dai. Ah, una veloce nota a margine: cerca di guardarti questo episodio in una stanza buia, perché da quell’episodio di GoT in poi è chiaro che quando HBO vuole fare scene notturne, fa davvero scene notturne, al costo della visibilità.
The Last of Us Stagione 2 Episodio 5 “Feel Her Love” Recensione
Siamo a due episodi dalla fine della stagione, una stagione che, iniziata con due episodi esplosivi (miccia il primo, deflagrazione il secondo), ha poi trovato i giusti spazi per lasciarci affrontare il lutto, e infine ci ha preso per mano nel primo passo verso l’oblio.
Una stagione che, lo sappiamo, non avrà una conclusione nel senso più canonico del termine, poiché The Last of Us Part II, vista la storia massiccia che racconta, viene diviso in due stagioni, ossia questa e la successiva (che deve ancora iniziare le riprese). Questo non sta trattenendo la mano di Craig Mazin e Neil Druckmann, però, che proprio in funzione del respiro più ampio concesso alla serie, stanno esplorando – anche – nuovi territori, con i personaggi e gli eventi di Seattle.
In un episodio chiamato “Feel Her Love” c’era forse da aspettarsi una concentrazione maggiore sui Serafiti, ma l’episodio li centellina in modo capace e furbo, alterando anche un altro evento principale del gioco che però, di nuovo, in una serie va contestualizzato in una vaga parentesi di realtà, credibilità al quale il gioco di per sé non deve molto, se non proprio nulla.

Mitologia del sacrificio
L’episodio parte con un flashback che non ci ha messo molto a tornare nei tuoi aruspici dei 2 flashback che hanno aperto gli episodio della prima stagione. Hanrahan (Alanna Ubach), che già avevamo visto nel flashback dell’episodio precedente, collisione fra il suo personaggio e quello di Isaac (Jeffrey Wright), cammina lungo i corridoi di un’ospedale. Ha chiaramente un ruolo importante, che scropriremo essere apparentemente pari a quello proprio di Isaac.
La porta ai piani interrati dell’ospedale è sigillata, e a dare l’ordine è stata il Sergente Park, che attende in una stanza vuota, davanti ad una mappa dell’ospedale, con una sigaretta accesa.
Il dialogo che segue, fra Hanrahan e la Sergente, presto entrambe con una sigaretta in bocca a discutere gli eventi che hanno portato la seconda a sigillare i piani inferiori, sacrificando alcuni dei migliori uomini che i WLF hanno a disposizione, è forse il momento delle due stagioni, finora, nel quale più vedo un’emorragia stilistica del Chernobyl di Mazin. Ottima contaminazione, sia chiaro, e mi domando se ce ne siano state altre che non ho colto.
Il dialogo ha due funzioni: riproporre la scelta della Sergente di fronte ad un bivio morale non troppo lontano da quello affrontato da Joel in un ospedale alla fine della prima stagione, e introdurre qualcosa che nel videogioco era presente fin dall’inizio ma che qui, usato al meglio dall’abilità della sceneggiatura, si infiltra negli eventi come un gas trasparente e mortale.
La Sergente aveva il compito di far ripulire i 3 piani interrati dell’ospedale, il B1, il B2 e il B3. Non stiamo parlando di sprovveduti, e le capacità organizzative e pratica della donna sono chiare sin da subito: il team si aspettava un po’ di infetti, magari qualche clicker, dato che è proprio ai piani più bassi dell’ospedale di Seattle che era stato portato il paziente zero americano, nel 2003.
B1, tutto pulito. Il B2 invece riserva una sorpresa al team, e uno dei soldati, un Leon che identificheremo meglio fra poco, chiede alla Sergente di sigillare ogni ingresso ai piani inferiori: “é nell’aria”. Ladies and gentleman, abbiamo le spore, ma riaffrontiamo la cosa più avanti.

Prima di chiudere l’episodio, la certezza che la Sergente abbia fatto la scelta opposta di Joel: uno dei soldati che ha inviato era suo figlio Leon, e lei è riuscita comunque a mettere il bene dei WLF e forse della città intera di fronte alla sua materna necessità di salvare la persona più importante della sua vita.
Lo dice Mazin stesso: il bello dei dilemmi morali è che, nel vuoto spinto del doverli solo immaginare, sono equazioni facili da risolvere. Poi ci si ritrova, se tutto va storto, a doverli vivere davvero quei dilemmi, e nessuno può prevedere cosa sceglieremmo, soprattutto noi stessi.
Compartimentalizzazione
Eccola, quella parola. Perché la uso? Perché in questa scena abbiamo la differenza più grande fra la Ellie del videogioco e quella della serie.
C’è un contrasto essenziale e molto interessante fra le due: nel videogioco, Ellie è incredibilmente lineare nella sua discesa verso la vendetta più atroce, mentre la Ellie di Ramsey ha più maschere da portare e delle quali rendersi conto, tanto che molti nei social hanno fatto notare in che modo diverso le due reagiscono alla novità della gravidanza di Dina, la prima con freddezza e quasi rabbia, la seconda con un “I’m gonna be a dad” che non può non far sorridere.
Perché succede? Per il tempo che è passato dalla morte di Joel alla partenza della missione di Ellie. Nel gioco, lo ricorderai, era tutto immediato. Abby arriva, Joel (Pedro Pascal) muore, Ellie riprende i sensi e il mattino dopo già prepara tutto per partire. Qui no, qui ha 5 mesi di degenza in ospedale, 5 mesi nei quali deve, indovina un po’, costruire e portare una maschera che nasconda il dolore di ciò che è successo, a tutti e un po’ a sé stessa, e che rassicuri le persone che “contano” di Jackson che no, Ellie non ha intenzione di andare a vendicare Joel alla cieca, senza un piano e senza il supporto di un gruppo di jacksoniani.
La sera prima Ellie ha avuto modo di vivere materialmente l’affetto di e per Dina (Isabela Merced), e con lei ora c’è esplicita tenerezza, e il “ti amo” non detto più visivamente palese degli ultimi tempi; quando è con Dina va tutto bene, e la luce di Ellie, quella vera, quella per la quale non ti sforzi di essere quello che la gente vuole, ma sei solo te stessa e hai la fortuna che qualcuno ti accetti così come sei, ha modo di brillare, di essere innaffiata dell’amore che già è raro nel mondo vero, pensa nel mondo di The Last of Us.

Poi però rimani da sola, sul palcoscenico di un teatro, e ti domandi se forse sei in grado di entrare in punta di piedi nella stanza che il lutto ti ha strappato con forza e nella quale ora vive abusivamente. Ellie imbraccia la chitarra e canta la prima strofa di “Future Days“.
È una canzone importante, lo sappiamo noi che abbiamo giocato il videogioco, ma per l’utenza della sola serie è un enigma, e un’altra domanda che sorge è come mai Ellie smette di suonare subito dopo la prima strofa, e perché l’abbandono che la nostra Ellie stava vivendo fino a poco prima viene sostituito velocemente da una rabbia palesissima nello sguardo di Ramsey.
È un odio sul quale ci soffermiamo poco, però, perché è ora di muoversi, e di mirare all’ospedale. A Nora.
La prima persona che ho ucciso
Te l’avevo fatto notare qualche episodio fa: Dina aveva chiesto ad Ellie quale fosse stata la prima persona che ha ucciso, ma Ellie non aveva ricambiato la domanda.
Prima della confessione, c’è un nuovo mucchio di cadaveri a offrire una scusa a Dina per vomitare. Serafiti, non solo uccisi dai WLF ma derisi nel modo più visceralmente violento possibile. Il graffiti della Profetessa e il mantra “Feel Her Love” sono esternazioni di una fede che, l’abbiamo visto, Isaac e i WLF non solo non rispettano, ma ritengono idiota, ai limiti della cieca superstizione.
È un modo di sminuirli, e di somatizzare l’incapacità di capire come un gruppo di persone, ridotte a preghiere, archi e frecce possa anche solo pensare di offrire una minaccia ad un gruppo militare come i WLF. Eppure ci stanno riuscendo, eppure – come diceva il Serafita torturato nell’episodio prima – un po’ alla volta stanno vincendo, perfino, e sono convinti che alla fine vinceranno, perché ogni giorno c’è un WLF che diventa Serafita, e mai nessun Serafita abbraccia la causa dei WLF.

Come rispondi ad un gruppo come i Serafiiti, allora? Abbellisci anche tu il muro, ma con un mucchio di cadaveri, e un “Feel this, bitch” tanto infantile nella sua espressione da far esaltare ancora di più quando le Cicatrici, ossia come i Lupi chiamano i Serafiti, siano talmente estranei allo spettro gerarchico e morale dei WLF, da spingere questi ultimi a non avere altro che una replica elementare, ai loro mantra. Specchio riflesso, con contorno di genocidio. I parallelismi con il conflitto Israelo-Palestinese sono ancora potentissimi.
Mentre Ellie e Dina si dirigono ad un grosso edificio abbandonato che sembra di poco interesse ai WLF, e rappresenta quindi un passaggio sicuro in direzione dell’ospedale, Dina confessa che la prima persona che ha ucciso è stato un predone che, entrato in casa mentre Dina, ottenne, era uscita, ha ucciso sua madre e sua sorella.
“Qualunque cosa abbia fatto Joel, niente al mondo poteva fargli meritare quello che gli hanno fatto“.
È un scomodo ritorno a quegli imperativi morali di cui parlavo prima, a quei “Se…” ai quali è facile rispondere quando non ci siamo in mezzo. Se il predone fosse scappato, Dina non si sarebbe fermata di fronte a nulla per vendicarsi di quello che ha fatto alla sua famiglia, quindi è pronta a seguire Ellie in capo al mondo per permetterle di vendicarsi, senza farsi rallentare nemmeno dalla gravidanza. “Se vuoi che vengo con te, vengo con te. Se vuoi che torno indietro, torno indietro. Se muoio è solo colpa mia“.
Qui c’è una scelta profondamente egoista, da parte di Ellie: quella di chiedere a Dina di continuare, di andare avanti con lei, verso l’ospedale, incurante dei pericoli ai quali potrebbe stare per sottoporla. Vedremo quanto bene andrà, questa scelta.
Non “se”, ma “chi”
Iniziamo ad andare verso la chiusa action dell’episodio in una serie di scene sensibilmente caotiche, almeno fino alla metodica ma non meno violenta scena finale.
Siamo all’edificio, ed effettivamente non sembra esserci una minaccia immediata, poi la torcia di Ellie incrocia lo sguardo di “uno di quelli furbi”, uno Stalker. Ellie, lo ricorderai, è stata morsa affontandone uno nel negozio innevato poco fuori Jackson, e questi sembrano essere più di uno. 3. No, aspetta. Una decina.

I ruoli di Ellie e Dina, qui, si ribaltano, per necessità. Dina ha finora protetto Ellie facendo piani, organizzando risorse, definendo percorsi: qui la sopravvivenza non è più un obbiettivo, però, ma una scommessa, ed Ellie canalizza Joel. È pronta a sacrificarsi per salvare Dina, di nuovo, ma stavolta è palese che abbiano tra le mani qualcosa di più grande di quanto possono riuscire a gestire.
Gli Stalker stanno piegando l’inferriata che protegge Dina come fosse burro, e Ellie è sommersa da infetti. I colpi di fucile che arrivano a salvare le due rimbombano nell’enorme magazzino e agli occhi di Ellie, e ai nostri, l’ombra che imbraccia il fucile e salva Dina ed Ellie sembra proprio Joel, ma non può essere. No?
È effettivamente un’altra figura “paterna” – ora anche letteralmente – a offrire il deus ex machina di questo momento di tensione: Jesse, partito da Jackson il giorno dopo Ellie e Dina, in compagnia di Tommy, dal quale si è però separato e con cui ha perso i contatti. Le salva, ma è arrabbiato, soprattutto con Ellie. “Ti sembra che abbia di voglia di parlare con te? “.
Il pericolo offerto da Seattle, in “Feel Her Love” ma anche nell’ultimo episodio, è più grande delle capacità delle due, e persino con Jesse armato e pronto, sono costretti a scappare dai WLF, ovviamente allertati dai ripetuti colpi di fucile. E dove potranno mai finire, se non in un bosco nel quale persino i WLF hanno paura di entrare?
Per una violenza scampata, una ineluttabile
Si scappa dai WLF, e si finisce nelle fauci dei Serafiti.
C’è un rituale di violenza al quale assistere. I Serafiti non sono solo vittime, come ci ha fatto credere l’episodio 3, e non sono solo temibili, come abbiamo capito dalla scena alla stazione televisiva dell’episodio 4: sono ritualistici, nella loro esecuzione della violenza.

Il parallelismo qui è meno forse, ma palpabile: la Fede è esattamente come la vendetta, come il senso di virtù, come la rettitudine. Sono strumenti potentissimi, è inutile negarlo, ma possono anche essere pericolosissimi, se sono corrotti, distorti o mal direzionati. L’abbiamo visto nella prima stagione, con un altro topic. Ogni relazione che Ellie e Joel hanno incrociato sul proprio cammino è stata una relazione di amore, sano o malsano che fosse.
The Last of Us Stagione 2 si allena sulla declinazione di un’emozione diversa, più animale e viscerale dell’affetto: la naturale violenza che abbiamo dentro, e che un contesto post-apocalittico lascia uscire dalle gabbie. Possiamo provare a mascherarci dietro costrutti sociali o mentali, ma siamo esseri profondamente definiti dalla violenza e ancora di più dal senso di rettitudine che usiamo per giustificare le nostre azioni malvage. Non saremo forse i primi a istigarla, ma se qualcuno ci spinge, troviamo naturale spingere di risposta.
Ellie e noi ci troviamo davanti ad una violenza autogiustificata dalla rettitudine, e vedremo presto l’impatto che il senso di giustizia avrà, nella nostra protagonista e nelle persone che ha intorno.
Tornando alla scena con i Serafiti, “Feel Her Love” ci delizia con un’impiccagione con sbudellamento (chi ricorda il “Budella dentro o budella fuori, investigator Pazzi?”), contrasto brutale al messaggio d’amore della Profetessa che però non dovrebbe troppo sorprenderci, data la morte dell’unica vera guida spirituale che i Serafiti abbiano mai avuto. Il messaggio originale trova posto solo nelle memorie di pochi, e persino in quelli sembra sbiadito il messaggio di empatia che la Profetessa voleva diffondere, in vita.
Freccia nella gamba a Dina, Ellie si ritrova a separarsi dal gruppo… e poi intravede l’ospedale. Non le interessa sapere se Dina sta bene, non le interessa capire se Jesse ha avuto il tempo di portarla in salvo o se i due hanno bisogno di aiuto. La vendetta è cieca perché ti rende cieco verso tutto il resto, in fondo.
Non mi interessa
Chiudiamo l’episodio all’ospedale: Ellie ha trovato Nora, e può puntarle una pistola addosso per convincerla a dirle dove si trova Abby.

Il problema più grande dell’uomo come animale è il tribalismo, e Nora non ha intenzione di tradire la sua tribù. C’è quasi un momento nel quale Nora (una Tati Gabrielle che non vedo l’ora di vedere in Intergalactic The Heretic Prophet) sembra sul punto di empatizzare con Ellie, ma poi la natura più viscida di chi pensa di essere nel giusto fa capolino, e non riconosciamo che disprezzo nel suo descrivere la morte di Joel a Ellie: “Quella merda ha avuto quello che meritava“.
Nell’inseguimento che ne consegue ci facciamo strada fra i corridoi dell’ospedale, ma soprattutto andiamo in prima persona ad esplorare il famoso piano B2, quello nel quale tempo prima la Sergente ha dovuto sigillare la sua squadra migliore, e suo figlio.
Sono felice che abbiano deciso di introdure solo ora e nel contesto di ambienti chiusi da tantissimo tempo, le spore: il Cordyceps vuole sopravvivere, in fondo, e se non ha infetti “comodi” da usare per espandersi ai piani superiori, perché non usare gli infetti disponibili per farli diventare…. beh, aerosol di spore fungine?
C’è una sorta di malvagità nella revisione delle origine delle spore. Gli infetti, qui, sono tenuti in vita per diventare aerosol: inalano ossigeno, espellono spore. Ma in tutto questo sono vivi. La Sergente era convinto di aver condannato suo figlio Leon alla morte, ma c’era molto di peggio ad attendere la sua povera anima, un limbo fra vita e morte che forse mostra, per la prima volta, il lato più economicamente egoistico anche del Cordyceps stesso. Vuole solo propagarsi, e tuttò ciò che è sulla sua strada o è di aiuto o viene plasmato in elemento di aiuto.
Ricordi quanto giustificata si è sentita Ellie, nel partire in questo percorso di vendetta? “Hanno ucciso uno dei nostri, e serve giustizia”. Poi ancora, quando fuori Seattle trovano il primo massacro operato dai WLF sui Serafiti. Poi ancora contro i Serafiti, nella scena alla stazione televisiva. Ellie sarà anche immune dal fungo, ma a livello di modus operandi non potrei biasimare chi ci possa vedere più di qualche superficiale parallelismo.

La rivelazione
Nei minuti finali dell’episodio, una Nora ansimante, velocemente infettata dalle Spore e altrettanto velocemente sicura che il volto rigido di fronte a sé sia quello della famosa ragazza immune, si rende conto insieme a noi di qualcosa che mette un rigidissimo bastone fra le ruote nella ricerca di giustizia di Ellie.
“Sai cosa ha fatto Joel?”
“Lo so. Non mi interessa.”
Ellie sa – e chissà da quanto – che Joel ha mentito, su quanto è successo all’ospedale di Salt Lake City. Quindi sa che la scelta di Joel è stata di enorme impatto. L’uomo ha praticamente dissolto le Luci da solo, disseminando i pochi sopravvissuti ai quattro venti e condannando l’umanità a non trovare mai più la possibilità di un vaccino.
Se lo sa, perché continua questo percorso di vendetta? È solo egoismo? Ipocrisia? “Feel Her Love” accenna ad una risposta, ma sarà il prossimo episodio a svolgere il tema.
Intanto la luce rossa del corridoio plasma il volto di Ellie in qualcosa di ancor più violento, quasi alieno nella freddezza del suo “Where is Abby?” ripetuto ancora e ancora. Come sono ripetute le pesantissime bastonate sulle gambe (ricordami Abby dove aveva colpito Joel, nell’episodio 2?) che Ellie usa per convincere Nora a confessare la posizione di Abby. È una violenza perfetta nel contesto di Seattle, ma che non può non grattare con la Ellie che conosciamo – e che qui non riconosciamo -, con quella innocente ragazzina per la quale Joel era la cosa più importante del mondo, dopo ovviamente i fumetti di Savage Starlight.
L’episodio si chiude con il calore di quel rapporto, l’incipit di un flashback che si svolgerà nell’episodio 6. Ellie dorme serena nella sua cameretta, si apre la porta, e un Joel sorridente le regala un “Hey, kiddo“, al quale Ellie risponde un assonnato “Hi“, morbido come le parti più dolci del loro rapporto.
È impossibile non rivedere il Joel papà, in questa scena, e poggiare gli occhi sopra il volto di Pedro Pascal dopo quasi 3 episodi senza di lui provocherà sicuramente qualche lacrima. Con il nostro cuore, però, Mazin e soci giocheranno abilmente la settimana prossima, te lo assicuro.

“Feel Her Love”, il mio momento preferito
La scena nel corridoio rosso con Ellie e Nora. Funziona TUTTO in quella scena: gli occhi quasi completamente neri di Ellie, la sorpresa di Nora nello scoprire che la leggenda della ragazza immune è realtà, la sua incapacità di comprendere come possa Ellie continuare questo suo percorso di vendetta pur consapevole di ciò che Joel ha fatto, il richiamo alle mazzate di Abby sulla gamba tumefatta di Joel…
Scena perfetta.
Applauso a…
Al reparto effetti visivi e props, ma anche di nuovo al reparto stunt. Per la prima cosa, il modo in cui hanno assemblato la location del piano B2 interrato dell’ospedale è da brividi, con queste grosse colonne costellate di complessi fungini, e i poveri WLF completamente integrati in esse, aerosol viventi intrappolati in un limbo inimmaginabile.
Nel secondo caso, la dozzina di Stalker nella scena con Dina ed Ellie si muovo ai limiti del concepibile, con un’abilità innata di risultare animaleschi e predatoriali, nel modo in cui si approcciano alle due prima silenziosamente e in attesa, e poi triggerati nel loro responso più rumoroso.
Citazione dell’episodio
“I’m sorry about your son”. Il parallelismo del sacrificio della Sergente e la scelta che invece ha fatto Joel è potentissimo, e complimenti a Alanna Ubach per aver reso così incisiva una frase così concisa.
A due episodi dalla fine, Ellie ha finalmente modo di sfamare la voglia di vendetta
Pro
- Il cold open è un ottimo richiamo ai flashback della prima stagione
- Lo switch visivo di Ellie in "bestia" è potentissimo, nelle scene con Nora
- Il finale
Contro
- Ellie sembra meno capace che nel gioco, ma è una scelta creativa giustificata dal medium