The Last of Us Stagione 2 Episodio 7 “Convergence” Recensione

Se ancora ci fosse stato bisogno di sottolinearlo, siamo di fronte a personaggi profondamente diversi dalla serie, ma di fronte agli stessi dilemmi morali.

The Last of Us stagione 2 Convergence Recensione
The Last of Us stagione 2 Convergence Recensione

C’è molto che si può dire e si legge su questa seconda stagione di The Last of Us: chi ha deciso di imbastire una crociata contro Bella Ramsey – per motivi che riesco a dissociare ad una mancata attrazione per l’attrice – potrà finalmente tacere, chi accusa Mazin di essere la cosa peggiore successa al franchise potrà approfittare del prossimo anno per dedicarsi all’odio di altro, e chi continua a lamentare la mancanza di aderenza – e, a loro detta, rispetto – per l’opera originale potrà dilettarsi su una delle tante altre trasposizioni videoludiche in arrivo.

Personalmente, di tutte queste critiche, mi faccio poco o nulla. The Last of Us è la mia IP preferita, a livello videoludico, e quella che mi ha spinto a diventare game designer e a inseguire la passione del narrative design e, da pochissimo, quella dello scriptwriter. Sin da subito, e parlo della prima stagione, ho capito che siamo di fronte ad una trasposizione “da definizione”. Letterale definizione. Sì, sto per citare wikipedia.

“L’adattamento cinematografico, o trasposizione cinematografica, consiste nel creare un film basandosi su un’opera esistente e nata con un diverso medium, spesso un romanzo o un’opera teatrale, ma anche un videogioco, un fumetto o una serie televisiva.”

In questo caso, The Last of Us HBO adatta, nella sua seconda stagione, una parte del videogioco The Last of Us Part II, mentre la prima stagione ne rifletteva la prima parte. Già nel primo episodio, i più attenti – ma soprattutto quelli più capaci di capire le differenze e più aperti ad accettarle per scovarne le narrative sinuosità – hanno capito che i personaggi a schermo, dal Joel di Pedro Pascal, all’Ellie di Bella Ramsey, erano versioni “alternative” dei personaggi del videogioco, ma la struttura lineare della stagione, interrotta solo dal “Left Behind” che nel gioco arrivava dopo la storia principale, tramite un DLC, era facile da seguire e non prevedeva troppi scossoni (tranne quelli emotivi).

Come il secondo gioco al suo tempo, con la seconda stagione arrivano le maggiori frizioni, non solo verso un percorso di vendetta che è difficile per molti da giustificare – mentre per capirlo basta avere un cuore e una persona alla quale si tiene – ma soprattutto verso un “umore” che tende sempre più verso il baratro, il cupo, e la perdizione morale di chi si ritrova intrappolato negli eventi.

A questo si aggiunge il reiterato odio per l’Ellie dei Ramsey, per molti non abbastanza cresciuta per interpretare l’Ellie più adulta del secondo videogioco, perché, si sa, basta assomigliare ad un personaggio o avere la sua stessa età per poterlo interpretare… no? Con questo episodio 7, si chiude la seconda stagione e tiriamo le somme di queste quasi 7 ore passate con Ellie, Joel, Dina, Jesse, Serafiti, WLF, e tanto altro. Spoiler? La seconda stagione è la prova definitiva della mia ipotesi: i personaggi del videogioco sono la base d’ispirazione per la creazione di quelli della serie, ma non sono gli stessi, ed è ora di capirlo, da parte di tutti.

“Convergence” non deve essere solo l’intersezione fra i percorsi di Ellie ed Abby, ma anche e soprattutto quello della maturità intellettuale e soprattutto emotiva e d’interpretazione del racconto del pubblico che guarda la serie, cosa che, almeno a guardare alcune mie bolle social, non sta avvenendo, ma ho perso le speranze molto tempo fa verso la maturità della maggior parte dell’audience media di un prodotto.

Ellie ha solo una missione, trovare Abby, ma non a qualsiasi costo
Ellie ha solo una missione, trovare Abby, ma non a qualsiasi costo

The Last of Us Stagione 2 Episodio 7 “Convergence” Recensione

Nella scena iniziale riprendiamo esattamente da dove avevamo lasciato Dina e Jesse: la prima, sfortunata ricevente di una freccia serafita nella gamba, e il secondo che, forse controvoglia, si ritrova a dover salvare Ellie e Dina da rischi ben più grandi di quelli che sembrano di essere in grado di gestire.

Dina è incinta, lo sappiamo noi e Ellie, ma non lo sa Jesse, anche se chiaramente non è stupido: Dina si rifiuta di bere un goccio per assopire il dolore che sta per arrivare (quello della freccia forzata attraverso il muscolo leso per evitare ulteriori traumi laceranti ai tessutI), e confessa a Jesse che “non può” morire. Non che non “vuole”, ma che non “può”. Due più due lo sa fare anche Jesse, chiaramente. Ricordati di questa scena, perché ci servirà per un parallelismo più avanti nell’episodio.

Ellie torna dall’ospedale, e subito si preoccupa di come sta Dina. Questa, invece che preoccuparsi di sè, ora si vuole prendere cura di Ellie, e l’episodio traccia – solo visivamente – il parallelismo con una delle scene più potenti del gioco, quella nella quale Ellie, tornata ugualmente dall’ospedale e dalla tortura di Nora per estorcerle informazioni sulla posizione di Abby, si mostra traumatizzata all’inverosimile e Dina, nello spogliarla, si prende cura di lei e, coccolandola, riesce a farla addormentare.

Come sempre, dobbiamo stare attenti alle differenze fra serie e gioco e investigare nelle motivazioni e gli effetti di queste differenze: nel gioco il momento cardine di questa scena è lo sguardo perso di Ellie, perso molto in là dello specchio illuminato che ha davanti, forse perso nel fragile ricordo di una Ellie prima dell’ennessimo trauma, quello che potrebbe essere il definitivo ma che è solo il secondo di una serie – messa in moto da lei, in questa secondo esempio, ma non per questo meno d’impatto.

Tommy non sembra nemmeno lo stesso uomo che era a Jackson
Tommy non sembra nemmeno lo stesso uomo che era a Jackson

Mazin, Druckmann e Gross, che ricordo far parte di una writer’s room, per la quale nessuno dei 3 ha più potere degli altri sul racconto (quindi smettiamola con le minacce e le offese a Mazin, please and thank you), qui esplorano l’utilizzo di una maschera, da parte di Ellie, che la Ellie del videogioco non ha mai avuto bisogno di portare, più consapevole della sua innata capacità di far male ma ugualmente miope nella comprensione di quanto fuori dalla sua comfort zone la 19enne si trovi.

Desiderio di morte

C’è una cornice più ampia che credo non sia così palese a molti: Ellie ha un profondo e determinato desiderio di morte. Ellie vuole morire. Forse pensieri suicidi facevano già parte di lei prima di incrociare Joel, e quasi sicuramente alcuni ne sono scaturiti dopo la violenza estrema subita da David: di media il 33% delle sopravvissute ad uno stupro o ad un tentato stupro contemplano la possibilità di suicidarsi, e hanno 13 volte tanto la tendenza a provare a suicidarsi. In questa ottica, la frase che quasi chiude The Last of Us Part I, “Sto ancora aspettando il mio turno. Il suo nome era Riley, ed è stata la prima a morire. Poi c’è stata Tess. Poi Sam” parla proprio di questo.

Anche la frase di Ellie poco dopo la scena delle giraffe, “Ho bisogno che tutto quello che è successo sia successo per un motivo” è un desiderio di morte inespresso, la voglia di un destino più grande che giustifichi tutto il dolore che Ellie ha provato e inferto. C’è bisogno di renderlo più chiaro?

Ovviamente conosciamo l’esito di quella situazione, e tanto nel gioco quanto qui nella serie è la rabbia per essere – di nuovo – stata privata di una scelta che muove le lacrime di Ellie e l’incapacità di perdonare Joel per averla strappata da un destino “eroico” che giustificasse il percorso di dolore fino all’ospedale.

La fine del viaggio di Ellie è più vicina di quanto sembri
La fine del viaggio di Ellie è più vicina di quanto sembri

Facile è allora considerare che, come nel gioco, anche qui la sua ricerca di vendetta, che nella serie lei giustifica agli altri – e si autogiustifica – come giustizia, nasca in perfetta considerazione della possibilità di restarci secca… ma non le importa. Entrata nel camerino, mentre Dina le passa uno straccio bagnato sulle tante ferite che Ellie ha sulla schiena, questa racconta di come è stato facile torturare Nora, o almeno così dice. Ma Ellie non è Joel: Joel faceva cose come questa, come la tortura, e poi andava avanti, ma Ellie ha di sua mano ucciso 3 persone, fino a qui, e ogni vittima aggiuntiva è qualcosa che scalfirà ancora e ancora il poco di sano e buono che ancora ha dentro, perché Ellie non è Joel… ed è proprio questo il punto.

La bugia di Ellie a Dina, o meglio la cosa che le ha nascosto, ha privato Dina di una vera scelta con tutte le informazioni in mano, esattamente come Joel aveva fatto con Ellie all’ospedale a Salt Lake City. Dina qui si distrugge da dentro (Isabela Merced è magistrale in questa transizione), prima con la logica e poi con l’arrivo del peso morale di ciò che hanno fatto, ora abbandonato e non più alleggerito dalla rettitudine morale di una vendetta giustificata.

Dina si distrugge esattamente come Ellie quando Joel le confessa la verità sulla veranda, ma Dina è più matura di Ellie, il suo dolore l’ha vissuto molto prima e molto più intensamente, quando si è vista uccidere madre e sorella da un predone. Dina trova molto velocemente la maturità emotiva di far capire a Ellie di esserci ancora per lei, di essere ancora in grado di esserci, ma che c’è qualcosa da risolvere ora, una fiducia che va ricostruita, se sarà possibile farlo… però è un problema che, Dina lo capisce, si affronterà una volta tornati a Jackson.

Stessa scena, diverso equilibrio

Questa scena, lo ammetto, non trova la stessa potenza del gioco, ma trova comunque un suo equilibrio, univoco per come si presenta: la tortura di Nora è ciò che rompe la diga del segreto, qui, ed Ellie si decostruisce di fronte all’unica persona rimasta che lei ama e che la ami, in modo non dissimile da quanto Joel ha fatto sulla veranda nell’episodio scorso (“Now you’ll turn away from me”), ed esattamente come Joel ha mentito ad Ellie prima di tutto per sé stesso, Ellie ha mentito a Dina prima di tutto per sé stessa, per avere il suo aiuto senza rischiare che lei, consapevole della morte non così immotivata di Joel, non la seguisse a Seattle.

E la paura più grande di Ellie è rimanere da sola.

Dina non è più così tanto sicura di aver fatto la scelta giusta, nel venire a Seattle
Dina non è più così tanto sicura di aver fatto la scelta giusta, nel venire a Seattle

Ellie e Jesse si mettono in viaggio per raggiungere il punto di ritrovo secondario al quale si dovrebbe trovare Tommy, e nel viaggio assistono alla fuga – non riuscita – di un Serafita, prontamente catturato dai WLF: Jesse deve fisicamente trattenere Ellie dall’intervenire, gesto che fa alterare non poco la ragazza e che, lo vedremo, lei non riesce proprio a digerire, data l’altezza morale dalla quale Jesse sembra sempre agire – o meglio crede di agire.

Jesse qui si rivela più pragmatico di Ellie, e di nuovo si rende evidente quanto lui sia in parte Joel, nel modo in cui affronta i momenti di pericolo, soprattutto quelli nei quali ci sono problemi “di altri e non nostri”. Il comportamento di Jesse, che blocca Ellie dall’intervenire, richiama molto il discorso di Joel nel primo episodio della stagione, quando critica a Maria il continuo far entrare persone a Jackson, cosa che potrebbe significare aiutare altri INVECE di aiutare meglio gli abitanti di Jackson.

Se lì erano accennati, qui si evolvono i due fronti di umanità che tematicamente Joel/Ellie e Tommy/Maria rappresentano, il contrasto fra l’empatia che abbraccia l’esterno, aiutando gli altri perché in fondo siamo tutti nella stessa barca, e l’amore più egoista, ma non per questo meno giusto, che invece tira su barriere e divide tutti i “Noi” e “gli altri”.

Apprezzo che di nuovo non ci sia una risposta divina o morale “assoluta” alla cosa, perché come qui Ellie avrebbe agito per salvare il Serafita, in altre situazioni (che vedremo a breve) Ellie agisce per “giustizia” facendo cose che invece ci è molto più difficile ritenere giuste o moralmente corrette.

The Last of Us 2 è sempre stato un conflitto di morali, e questo episodio riesce a trasmettere meglio di ogni altro episodio prima d’ora quanto Ellie possa essere nel torto, ma quanto questo non renda le ragioni di chi ha intorno più “giuste” delle sue: nella serie la comunità di Ellie è espressa palesemente come Joel e solo Joel, e la sua comunità le è stata tolta e ora lei vuole giustizia. Nel momento in cui si confronta con Jesse, che vuole andare ad aiutare il cecchino che lui è convinto essere Tommy, siamo di fronte ad un conflitto prima di tutto morale.

Sacrifico il mio obbiettivo per salvare qualcun altro, qualcuno che è venuto qui per, essenzialmente, salvare me, o rimango sulla mia strada di giustizia?

Morali poi non così tanto assolute

Qui si scopre – in un twist per me inaspettato – che Jesse aveva votato no, alla votazione effettuata dal Consiglio di Jackson in episodio 3: l’andare a Seattle non sarebbe stato qualcosa di necessario per il bene della comunità ma solo per quello di un paio di individui, cosa che fa rivalutare la sua richiesta, fatta a Ellie nel terzo episodio, di mettere i di lei pensieri nero su bianco e di non far parlare la rabbia.

A cosa serviva chiederglielo? Forse a convincere Ellie stessa che partire a cercare vendetta era sbagliato? Se così fosse, questo dimostra quanto Jesse conosca poco Ellie, e ne avremo più definitiva conferma più avanti nell’episodio.

Persino l'altezza morale di Jesse viene scalfita dalla realtà delle cose
Persino l’altezza morale di Jesse viene scalfita dalla realtà delle cose

A prescindere, l’accusa di Ellie a Jesse di aver fatto morire un ragazzino – il Serafita di qualche scena prima – perché non faceva parte della sua comunità, è forse sbagliata? Jesse HA fatto morire un ragazzino, ma l’accusa arriva da una ragazzina di 20anni che sembra accecata dalla sete di vendetta, quindi da un pulpito non così moralmente ineccepibile. Però sorge la domanda: allora di che community fa parte Tommy? Chi deve andare a salvarlo? Di che community fa veramente parte Jesse? Quella definita da Dina e il futuro bebè?

Il “Fuck the Community!” di Ellie è potentissimo perché riesce a fare appello alla parte di noi che effettivamente in una situazione simile penserebbe prima al cerchio di amicizie o amori più stretto, e solo poi si preoccuperebbe di una comunità che, per quanto enorme e empatica nel modo in cui riesce a regalare un po’ di normalità alla vita di chi vi trova riparo, rappresenta un sistema troppo ampio per significare qualcosa di pratico per una persona che non insegue troppo l’ideale di eroe tragico delle leggende più antiche.

La serie di The Last of Us ha quindi un potere inestimabile: ci permette di vedere di più le debolezze dei nostri personaggi. Joel con la depressione, Ellie con la sua immaturità e la sua ricerca di morte, Jesse con la sua presupposta suprema giustizia, e degli altri personaggi ci preoccuperemo più avanti.

Il medium videogioco mette chi gioca al centro del supereroismo tipico della player agency attorno alla quale i giochi devono esistere, nascere ed evolversi; le serie possono prendersi il tempo e lo spazio per mostrare le fragilità. Se alla Ellie del videogioco quasi serve uccidere 150 persone sulla strada verso Abby, perché noi in quanto giocatrici e giocatori dobbiamo agire costantemente e ripetutamente sul mondo di gioco – e per far sì che siano le morti durante una cutscene a risultare così pesanti e memorabili per Ellie e noi -, alla Ellie della serie basta la tortura di Nora a farla sentire contemporamente persa moralmente e spenta emotivamente, al punto da non battere ciglio nel trovarsi a torturare una persona inerme.

La pace fra Jesse ed Ellie non ha vita lunga
La pace fra Jesse ed Ellie non ha vita lunga

Acque fredde, onde alte, cappi tesi

Jesse, giustamente alterato, corre verso Tommy, ed Ellie mira all’acquario, dopo aver capito che le parole che Nora continuava a ripetere mentre Ellie la martoriava indicavano la balena disegnata sul lato dell’acquario e la ruota panoramica alla fine del molo vicino allo stesso.

Fa sorridere che nonostante il maltempo e la tempesta in arrivo, Ellie non decida di andare lungo la costa, una volta trovata una piccola imbarcazione a motore, ma come nel gioco decida di “tagliare” in diagonale, cosa che la fa schiantare contro un’ondata imprevista e la fa finire su di una spiaggia poco distante. Lì un bambino (ottimo parallelismo al ragazzino che Jesse ha lasciato morire poco prima) allerta i Serafiti e, quando la madre gli domanda “cosa facciamo ora?”, il bambino perpetua automaticamente il ciclo di violenza, perché la violenza verso l’estraneo è ciò con cui è cresciuto. Ciò con cui stan crescendo in molti, nel post-apocalisse di The Last of Us.

Ellie viene quasi impiccata, ma un’esplosione distante (“Il villaggio!”, dice in modo drammatico una Serafita guardando verso l’origine dell’esplosione) la distrae e salva Ellie per il rotto della cuffia.

L’universo sta continuando a dire a Ellie di fermarsi: è quasi stata uccisa, ma lei continua. Esiste solo Abby, il resto sono ostacoli senza peso.

Siamo quasi alla conclusione del giorno 3 di Ellie a Seattle, una città che le ha portato una singola buona notizia (la certezza dell’amore di Dina e la possibilità di una famiglia) ma soprattutto nuovi traumi, e che ha ancora dolore in serbo per lei. All’acquario di Abby non c’è traccia, ma trova, a metà di una discussione, Mel e Owen. Segue un momento che ha infastidito molti, ma non voglio tornare a parlare di immaturità emotiva e di comprensione del medium, perché temo di essermi già alterato abbastanza sui social.

Questo episodio dimostra l'immaturità di gran parte del pubblico
Questo episodio dimostra l’immaturità di gran parte del pubblico

Ellie, con la pistola puntata verso i due, chiede di nuovo dov’è Abby. “Se glielo diciamo ci ucciderà lo stesso”, dice Owen, e Ellie risponde “No, perché non sono come voi”. Quel “come voi” è quasi un sussurro, due parole dette con la stessa voce rotta con la quale poco prima ha fatto capire senza mezzi termini a Jesse che la sua unica comunità era Joel, e gliel’hanno massacrato di botte davanti agli occhi. “Non sono come voi”. Quanto si sbaglia Ellie a considerarsi diversa dai due?

D’altronde Owen è, al pari di Jesse, la persona forse più moralmente ineccepibile: durante la tortura di Joel ha chiesto più volte a Abby di finirla, e poi ha insistito, anche violentemente, di lasciare vivere gli altri, perché erano lì solo per Joel. Eppure Owen, come Jesse, ha a fianco una persone dalla forza incredibile ma che è spinta, per lo più, da desideri oscuri (Abby per Owen, Ellie per Jesse).

Owen non ha intenzione di tradire Abby, al costo della sua vita, e afferra una pistola, sicuramente consapevole di avere una piccolissima chance di riuscire a colpire Ellie prima che lei lo uccida, ma lo fa lo stesso perché ogni scenario è migliore e più probabile di un Owen che tradisce Abby.

La scena che più richiede maturità nella comprensione del testo

Il grosso calibro in mano a Ellie istintivamente fa partire un colpo che penetra la gola di Owen: questo stramazza a terra e l’inquadratura rivela Mel, che si gira verso l’armadio dietro di lei, realizza che il proiettile non ha solo passato da parte e parte Owen, uccidendolo sul colpo, ma ha tagliato profondamente la sua stessa giugulare. Crolla a terra lei stessa, scoprendo velocemente la giacca per mostrare la pancia: Mel è incinta, ma ha “solo 30 secondi”.

Il confronto con Mel e Owen va inquadrato in modo diverso rispetto al gioco, pur con lo stesso risultato
Il confronto con Mel e Owen va inquadrato in modo diverso rispetto al gioco, pur con lo stesso risultato

Come solo un genitore potrà capire a pieno, quando tuo figlio è in pericolo non c’è altro di più importante e Mel entra in modalità “salvataggio del figlio”, chiedendo a Ellie di tagliarle la pancia per salvare il bambino. Lasciamo stare quanto bassa è la possibilità di sopravvivenza, perché la logica non ha giustamente spazio nei pensieri di Mel nei suoi ultimi secondi di vita. Qui ho visto, forse nel modo più brutale e palese, come lo ha capito Ellie stessa, che la 19enne non è Joel. Non lo sarà forse mai. Joel non avrebbe esitato a dilaniare la pancia di Mel per cercare di salvare il bambino, ma Ellie è, di nuovo, in una situazione al di fuori della sua portata.

Questa è la scena che più, nella mia bolla d’interazione social, ha creato dissidia. “Ellie non avrebbe mai ucciso per sbaglio i due, ma li avrebbe uccisi volontariamente come nel gioco”. NOPE. Enorme NOPE. Nel gioco non ha intenzione di ucciderli, ma Owen (per proteggere Abby, sia chiaro, sicuro non per difendere Mel) cerca di prenderle la pistola, parte un colpo che lo butta a terra, Mel attacca Ellie con un coltello e la ragazza riesce a girarglielo contro e ferirla mortalmente alla gola. Solo successivamente scopre che Mel era incinta e i demoni nella testa iniziano a farsi assordanti. Nella serie, ugualmente, non ha intenzione di ucciderli, ma Owen le forza la mano.

La differenza che esiste è che la Mel del gioco muore per autodifesa, quella della serie è danno collaterale, aspetto che rende la sua morte un’onta ancora più grande per Ellie e un ancora più difficile torsione del metro di giudizio di chi guarda la serie. Possiamo smettere ufficialmente di giustificare Ellie, ora che è morto un infante ancora nella pancia della madre, no?

Le direzioni di Mel infatti si fanno sempre più confuse, ed Ellie vuole salvare la vita del bambino, ma non sa che fare, e tradurre i termini medici di Mel in concetti comprensibili non è nelle sue skill. Mel muore, e con essa il bambino che ha in grembo. Ellie mentiva quando ha detto che è stato facile torturare Nora. Che bugia può raccontarsi, ora, che per la sua sete di vendetta qualcuno di veramente innocente è finito nel fuoco incrociato.

Ellie non ha gli strumenti per riuscire nel tentativo di salvare il bambino di Mel
Ellie non ha gli strumenti per riuscire nel tentativo di salvare il bambino di Mel

Ellie non è Joel

Se forse Ellie lo capisce solo ora, noi abbiamo la conferma. Joel ha sempre ucciso per salvare una vita, e aveva assolutamente la forza di volontà di uccidere e non pensarci due volte, e in questo Ellie gli è una pari: uccidere per sopravvivere è facile, è giustificato, è automatico, quasi. Ma uccidere per fare effettivamente del male? Per vendetta? Quello no, Ellie non riesce a farlo, e la sua anima forse è già persa.

Tommy e Jesse arrivano, c’è un richiamo fortissimo al momento fra Joel ed Ellie non appena Ellie uccide David nella prima stagione, e si torna al teatro. Sono tutti sulla stessa linea d’onda: è ora di tornare a Jackson. C’è un momento di chiarimento fra Jesse e Ellie, ennesima dimostrazione che Ellie è perfettamente in grado di mentire nel modo in cui le persone intelligenti mentono: ti dicono sempre esattamente cos’hai bisogno di sentire.

Ha mentito a Dina, perché sapeva che Dina l’avrebbe seguita nella sua vendetta verso chi ha ucciso Joel senza motivo.

Ha mentito a Gail, quando le ha detto, in ospedale, che stava bene e che poteva stare tranquilla.

Ha mentito all’intera Jackson, nell’episodio 3, cercando di sviare l’interpretazione della sua richiesta di vendetta verso un più moralmente elevato bisogno di giustizia per l’intera comunità.

Ormai dovremmo averlo capito, Ellie mente, e sa mentire molto bene
Ormai dovremmo averlo capito, Ellie mente, e sa mentire molto bene

Ora mente a Jesse, per il quale sicuramente NON farebbe qualsiasi cosa nel caso lui fosse in pericolo. A malapena un minuto di pace, e dei rumori iniziano a provenire dall’ingresso del teatro. Ellie e Jesse accorrono, Jesse muore sul colpo appena aperte le porte, Ellie si ripara e subito capiamo chi li sta attaccando: Abby.

Il confronto tra l’efficacia di Abby e l’inabilità di Ellie è fortissimo: la WLF entra, sottomette Tommy, spara a Jesse e lo colpisce in pieno volto appena esce dalla porta. Abby è un soldato, Ellie è solo una ragazzina con una pistola, in modo ancora più marcato che nella serie. Se nel gioco erano i muscoli di Abby, primariamente, a renderla micidiale, qui è la sua capacità offensiva e strategica a marcarne la superiorità.

Questa cosa è tra l’altro citata anche da Isaac in una brevissima scena che non ho riportato nella quale il personaggio si confronta con il Capitano Kwan e racconta di come, data la quasi sicura morte di gran parte delle alte sfere dei WLF nell’operazione in corso – della quale non sappiamo niente -, presto i WLF (“un gruppo che, a dispetto del nome, è fatto da assolute pecore”) avranno bisogno di qualcuno che li guidi: Abby. Nella terza stagione vedremo sicuramente meglio cosa fa di Abby la futura leader dei WLF.

C’è un ultimo scambio di battute, prima della vera scena finale.

“Ti ho lasciato vivere. Ti ho lasciato vivere e l’hai sprecato!”. Abby sposta la pistola da Tommy, a terra, a Ellie, sentiamo un paio di fortissimi “No! No!” di Ellie, due colpi di pistola, e sfumatura a nero. Abby si sveglia su un divano: è Manny a svegliarla. Abby cammina lungo un corridoio, poi si affaccia ad una balconata, e abbiamo un rapido sguardo a quanto organizzati siano i WLF: hanno un intero stadio come base operativa, con colture, pale eoliche, e sistemi idrici.

C’è della giusta confusione in chi guarda, poi una scritta chiarisce le cose. Seattle. Day One. Alla prossima stagione, dice HBO.

Chi non vede Abby nella Dever è malizioso o cieco
Chi non vede Abby nella Dever è malizioso o cieco

“Convergence”, il mio momento preferito

Sicuramente questo premio lo prende la scena tra Ellie e Mel. Ariela Barer, che interpreta quest’ultima, quasi ruba la scena ai Ramsey, e in pochi minuti restituisce una bravura emotiva e attoriale che mi fa profondamente sperare di vedere di più del personaggio di Mel nella prossima stagione. Ramsey risultano particolarmente bravi a restituire quanto impreparata sia Ellie in questa situazione: la voce rotta, le lacrime, il sussurrato “I didn’t mean to hurt them”. Wow, Bella Ramsey. Wow.

Applauso a…

Kaitlyn Dever. La sua Abby mi piace sempre di più, e sono felice che la prossima stagione sarà quasi esclusivamente concentrata su di lei.

Citazione dell’episodio

“Fuck the community!”, perché possiamo sentirci onnipotenti quanto vogliamo, ma saremo sempre più capaci di pensare a noi stessi e alle pochissime persone di valore intorno a noi, che alla “comunità”. In fondo è per questo che così tanti sono sui social a sputare odio contro la serie: il fatto che loro non abbiano abbastanza maturità emotiva e capacità di comprendere il medium televisivo da poter capire quanto preziosa è questa serie li rende egoisti. La loro insofferenza deve essere di tutti: di chi li legge e si trova d’accordo, e di chi invece è in disaccordo e – come me – si mette a combattere verbalmente contro qualcuno che chiaramente deve provare qualche godimento a perdere così tanto tempo dietro qualcosa che non le/gli piace, altrimenti davvero non me lo spiego.

Fuck the “fans”, aggiungerei insomma.

La prossima stagione sarà tutta su Abby e vedremo l'altro lato dei 3 giorni a Seattle
La prossima stagione sarà tutta su Abby e vedremo l’altro lato dei 3 giorni a Seattle

Purtroppo non dirò più “A lunedì prossimo” per un po’, perchè qui si chiude la stagione e temo dovremo aspettare la fine del 2026 per vedere la terza, ma presto proverò ad assemblare una videorecensione della stagione per intero, quindi iscriviti al canale Youtube di Gamesource.it e ci vediamo lì.

9.5
La prima metà della trasposizione di The Last of Us 2 atterra con brutale violenza

Pro

  • La scena fra Mel e Ellie
  • Kaitlyn Dever ruba la scena nei pochi minuti in cui compare
  • Fuck the Community

Contro

  • È l'episodio che più di tutti gli altri finora ha bisogno di maturità da parte dell'utenza
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