Baby Steps Recensione
Pedibus calcantibus.
Prima ancora di Baby Steps, ossia all’uscita di Getting Over It, Bennett Foddy disse che nel creare quel gioco, fonte di frustrazioni fuori scala, aveva in mente una persona precisa. Aveva fatto quel gioco per una persona precisa. Ho come idea che il target non voluto sia diventato il giocatore tipo come me, quello che se gli metti davanti una serie di scalini pericolosi e che, alla prima caduta, causano una perdita considerevole del progresso ottenuto, ci saltano a pié pari, almeno fino a perdere la pazienza.
Baby Steps è un titolo leggermente più semplice di Getting Over It e, se la sua difficoltà è chiara sin da subito, il suo impatto emotivo, per quanto contenuto, davvero non me l’aspettavo. Bennet Foddy, mi hai saputo pure regalare qualche lacrimuccia.

Baby Steps Recensione
Di Baby Steps ti sto parlando in ritardo. Il codice è arrivato un po’ più tardi del dovuto, insieme al titolo erano usciti altri 2 titoli da recensire, e io, consapevole del tempo che il gioco di Foddy e compagnia mi avrebbe richiesto, ho incastrato Baby Steps nel confortevole – ma restrittivo – quadretto del “secondo gioco in rotazione”.
Per questo, tu che mi leggi, probabilmente già sai moltissimo di Baby Steps, ma voglio comunque partire dal concetto base del gioco. Noi interpretiamo Nate, un 30enne sovrappeso in pigiama che, svaccato sul divano da non si sa quanto e con due genitori leggermente troppo incuranti della sua salute, si ritrova teletrasportato in una umida caverna. Forse un’altra dimensione, forse un sogno, forse un incubo… forse semplicemente, ciò che viene dopo.
Sembra l’intro di un horror, ma non lo è. È difficile incastrare con altrettanta eleganza Baby Steps in uno specifico genere, ma, per chi si ricorda il QWOP giocato da browser due decenni o poco più fa, Baby Steps è un QWOP-like e un rage game. Il buon Nate, infatti, non sa camminare come tutti gli altri personaggi dei videogiochi, e dovremmo aiutarlo, passo dopo passo, ad esplorare il mondo in cui si ritrova. Letteralmente, passo dopo passo.

È letteralmente una la meccanica che Baby Steps pianta come pilastro ludico: usando il direzionale sinitro e tenendo premuto uno dei due rispettivi grilletti (destro per la gamba destra, sinistro per quella sinistra), porteremo avanti, uno alla volta, i passi di Nate, luogo dopo luogo, scalata dopo scalata, e soprattutto caduta dopo caduta. Se il nostro piede finira su una superficie in grado di darci solidità e non troppo inclinata, rilasciando il grilletto relativo potremo ancorare quel piede e cominciare il movimento con l’altro.
Nelle 20 ore di gioco (sono a pochissimo dalla fine, e ho visto playthrough da 6-7 ore, quindi c’è sicuramente modo di velocizzare le cose, se si è capaci), Baby Steps continua a introdurre nuove sfide di attraversamento dell’ambiente, come neve, sabbia, fango, ecc. Complice un ritmo di dinamiche ben studiato, Baby Steps ci toglie il tappeto da sotto i piedi non appena abbiamo iniziato a prendere un po’ troppa confidenza con le sue meccaniche di attraversamento di quella particolare sezione di mappa.
2 passi avanti, 3 passi indietro
La meccanica stessa del passeggiare è abbastanza facile da imparare, e presto ti ritroverai, come me, a camminare con confidenza e ad un ritmo sostenuto, già ad un paio di minuti dall’inizio. Ho definito però Baby Steps un rage game, quindi se camminare non è “il problema”, cosa lo è? Beh, il mondo nel quale Nate è stato teletrasportato – riminescenza della compressione biomica di Getting Over It – è un percorso quasi tutto in salita: caverne, pianure, colline, montagne, deserti, ecc. Il percorso in salità è, senza troppa eleganza interpretativa, un modo per Nate di tornare a vivere il mondo – seppur non il suo – e, magari, la sua vita.

Non ci sono checkpoint evidenti, per Nate e noi, ma ogni singolo passo è un salvataggio che sovrascrive quello precedente, e a meno che tu non voglia save-scummare, come ammetto di aver fatto io stesso per potermi avvicinare al completamento del gioco e portarti questa recensione, preparati a fallire più e più volte. Ho notato però che, soprattutto nei primi due terzi di gioco, ogni caduta rovinosa che mi ha portato a valle per decine di metri o più è sfociata nella possibilità reale di trovare un percorso migliore, un easter egg, o un nuovo cappello da indossare.
Questi sono puramente un fattore estetico, e almeno 4 di quelli che ho trovato erano posizionati in modo da farmi invocare diversi pantheon nel raggiungerli, ma ho anche piacevolmente notato che in Baby Steps le sfide più grandi sono quelle che ci auto-imponiamo. È uno specchio che il gioco sicuramente ci mette davanti in modo consapevole, e io ci posso vedere un parallelismo con il fatto che io sono sempre in grado di essere l’ostacolo più grande verso me stesso, e che non c’è mai giudice più cattivo – e peggiore – di me nel potermi giudicare, nel poter mettere su una scala i miei successi e i miei fallimenti.
Sono però anche sicuro che tu che mi leggi potrai vederci altro, in Baby Steps, o anche non vederci nulla. Il potere interpretativo di un gioco così meccanicamente semplice ma narrativamente così accattivante è il suo superpotere più nascosto e più devastante.

Leggere solitudini
Il mondo è molto meno solitario di Getting Over It, però: fin da subito incontreremo Jim, una sorta di guida del luogo che ci offre il suo aiuto ma che Nate, prontamente, rifiuta. L’ansia sociale del ragazzo è palese sin da subito e, usando questa agorafobia, Baby Steps costruisce un ritmo narrativo molto diluito, dato che è costituito da pochi minuti di cutscene ogni 30-60 minuti circa (a seconda della tua bravura a scalare), ma incredibilmente funzionale e, cosa ancora più importante, unico.
A contribuire ad un senso di freschezza non inaspettato da un prodotto così fortemente indie (i modelli sono ben fatti ma non hanno troppo polish, ad esempio, e Nate può arzigogolarsi in modi intensamente non-umani) c’è un fortissimo accento sulla comicità dei dialoghi, assurdi nel loro ping-pong ritmico e stranianti al punto da farti ridere… perché una parte di te non sa benissimo come reagire.
Non ti arriverà come sorpresa che, a circa un terzo del gioco, Baby Steps introduca animali antropomorfi parlanti, con tanto di membro in vista (se non hai disattivato l’opzione nudità nel menu principale), ma anche oggetti quotidiani, qui di dimensioni straordinariamente fuori scala rispetto al normale, e quest opzionali che si possono riassumere nella più classica delle fetch quest, qui depotenziata della carica di noia grazie al fatto che ogni oggetto che terremo in mano (dopo averlo raccolto con X) cadrà, anche con un certo arrogante momento di moto, e dovremo tornare a prenderlo e raccoglierlo di nuovo… se lo troveremo.

Alcune sfide aggiuntive, legate a trofei (e vuoi che non mi faccia del male ancor di più a cercare di raggiungere il platino?), creano ostacoli imprevisti, come la necessità di trasportare un fragile vaso attraverso un lungo tratto di terreno scivoloso, o tenere stretto un contapassi e raggiungere la fine del gioco con meno di 10k passi, o ancora arrivare alla fine prima che la sveglia che abbiamo in mano suoni.
Baby Steps sicuro non è per deboli di cuore, sotto questo aspetto. Potrai anche arrabbiarti ad alta voce verso il gioco, ma c’è sempre una parate di te che dà la colpa a te stesso, lo so.
Conclusioni
È davvero limitante parlare di Baby Steps solo con le parole che ho usato, però il cuore del gioco è davvero di una semplicità quasi disarmante, ed è in quel incosciente disarmarsi, una sorta di volontaria sospensione dell’incredulità qui legata all’accettazione della – mai tediosa – difficoltà di base del gioco, che il titolo di Foddy e compagnia riesce a colpire nel segno, al cuore di un target che, in sfide così giganti, riesce per un attimo a dimenticarsi le sue, a stringere i denti e ad essere più forte di quanto si ricorda di poter essere nella vita di tutti i giorni.
Non è un gioco da portare avanti in modo costante, e sicuramente non un titolo sul quale ti suggerisco di intestardirti, perché le mie scalate migliori e più eleganti sono sempre state dopo qualche ora di pausa dal gioco (esattamente come con i boss degli amici di FromSoft), ma Baby Steps è un gioco di cui c’è bisogno.
Ne ha bisogno il mercato, ne ho bisogno io.
Hai il coraggio di scoprire se ne hai bisogno anche tu?

Un gioco dall'intensità palese e contemporaneamente nascosta
Pro
- Nasconde una narrazione molto potente, pur se centellinata
- Ogni scalata è una sudata ma anche una soddisfazione immensa
- Dimentichi i tuoi problemi, con il pad in mano
- Uno dei giochi più divertenti di questa gen, insieme a Thank Goodness You're Here
Contro
- Non per le persone poco pazienti, soprattutto verso sé stesse