Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX Recensione
Ci sono giochi che si nascondono dietro la semplicità, e poi ci sono quelli che, senza urlare, riescono a costruire un piccolo mondo interiore capace di farti restare più a lungo di quanto ti aspettassi.
Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX appartiene a questa seconda categoria: un titolo che non chiede di essere amato subito, ma che, una volta superata la barriera dell’apparenza, rivela un equilibrio raro tra curiosità, ritmo e gratificazione.
Non avevo mai toccato la serie di Atelier Ryza prima d’ora, e lo ammetto: mi frenava quell’estetica a metà tra il cartoonesco e l’allusivo, tra la leggerezza del design e l’eccesso di certi tratti fisici che sembravano ridurre tutto a fanservice. Eppure, complice questa nuova versione DX, che aggiunge qualche storia extra e migliorie di qualità della vita, ho deciso di dargli una possibilità.
È stato un incontro inaspettato: dietro l’apparenza “carina” si nasconde un titolo che sa parlare con una voce più matura di quanto sembri, e che costruisce un ciclo ludico tanto ossessivo quanto rilassante.

Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX Recensione
La storia di Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX non è ciò che spinge a giocarlo. È piuttosto la cornice di un percorso personale, più che una trama in senso stretto. Ryza, o meglio Raisalin Stout, vive su un’isola apparentemente senza tempo, circondata da amici e monotonia, e una vita in fattoria che non la attira, anzi che proprio lei respinge. È una protagonista curiosa, un po’ come lo ero io nell’avviare per la prima volta il gioco, non un’eroina predestinata: vuole solo capire cosa c’è oltre il confine della sua quotidianità.
La narrazione si muove lenta, quasi ipnotica, a volte soporifera. L’incipit lascia intravedere un’avventura più grande, ma la vera forza sta nei piccoli momenti: la scoperta di un nuovo ingrediente, il level up dopo l’ultimo boost di XP, la nuova arma sbloccata. Il gioco non cerca la tensione, ma più, quasi, l’abitudine. Anzi, la noia controllata. È un ritmo che potrebbe alienare chi cerca costantemente lo stimolo, ma che invece diventa la chiave di lettura di tutto, quello di una cozyness dalla quale Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX non scappa, ma che abbraccia e mette sul tavolo senza presunzioni.
Certo, la scrittura non brilla. I dialoghi sono semplici, a volte troppo. Le cutscene sono essenziali, limitate da animazioni rigide e routine visive che sanno di un budget medio. Ma in questo minimalismo si nasconde una sorta di onestà: Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX non vuole essere un dramma epico, ma assume i contorni di racconto di formazione, in cui anche la ripetizione è parte della crescita. Per diventare bravi in qualcosa bisogna farlo per 10000 ore, no?

L’alchimia come filosofia
Il cuore pulsante del gioco è l’alchimia. Non come semplice sistema di crafting, ma come linguaggio con cui comprendere il mondo. Ryza impara dall’alchimista più anziano gli altri, osserva, e con noi sperimenta e migliora, spingendo la qualità degli oggetti creati sempre di più. Ogni oggetto creato non è quindi soltanto un’icona a schermo, ma una pratico segno tangibile del progresso di Ryza e del nostro.
Raccogliere materiali è diventato per me quasi un gesto meditativo, in un paio d’ore. All’inizio basta una staffa o le mani nude per interagire e raccogliere fiori, rocce, cristalli, ma col tempo gli strumenti si moltiplicano, e con essi le possibilità, in un ciclo che si autoalimenta: raccogli per creare, crei per esplorare, esplori per raccogliere ancora. Eppure non stanca mai. Certo, ti spinge ad un certo torpore mentale, ma non stanca.
Il sistema alchemico, costruito come un ibrido tra la sferografia di Final Fantasy X e un albero delle abilità, ha una profondità sorprendente: ogni ricetta, che sbloccheremo sia nella storyline principale che nel completare le quest secondarie, parte da uno o due elementi principali e poi si ramifica, collegando materiali, qualità e risultati fino a formare una rete di possibilità piuttosto ampia. Più si avanza, più il sistema si apre, premiando l’attenzione alla qualità degli oggetti che creiamo.

Quasi ogni ricetta, tra l’altro, ha un oggetto (a volte due) “nascosto” che è possibile creare, e facendolo sbloccheremo la sua ricetta.
Ciò che colpisce è la flessibilità del sistema. Certo, il riuscire a creare un oggetto non richiede di conoscere la fisica quantistica, ma Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX permette di automatizzare molto, del processo. Non rimane che la scelta: affidarsi all’autopilota o perdersi nei meccanismi della creazione. Io ho scelto la seconda strada, per una trentina di ore, ed è lì che Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX mi ha mostrato il suo volto più puro, con un loop di gioco semplice ma profondissimo.
Creare una pozione o un’arma non è un gesto tecnico, ma quasi un rituale. Ti senti parte di un processo, di un processo veramente alchemico e fatto di processi e step, una ricetta che possiamo eseguire con il minimo sforzo o, se lo vogliamo, sulla quale possiamo andare a perdere tempo per cambiare questa o quella statistica.
Ogni oggetto può infatti avere 3 – a scelta tra una dozzina, che cambia a seconda dell’oggetto in creazione – effetti passivi, e la presenza di questi deriva solamente dall’attenzione che porremo nell’aggiungere questo o quello materiale aggiuntivo.

Il combattimento come “dialogo”
Se l’alchimia è la mente di Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX, il combattimento ne è il corpo. A sorpresa, è uno dei sistemi più solidi e ritmati che abbia incontrato in un RPG di media scala come questo. Parto da un elemento che a volte per me è il make or break di un RPG: i nemici si vedono nella mappa, quindi possiamo decidere se attaccare o meno, senza cadere in trappole fastidiose.
Il combattimento è ibrido: un sistema a turni dinamico, dove l’azione non si ferma mai davvero. Ogni mossa avviene in tempo reale, e il ritmo diventa la vera arma in mano nostra. Si può cambiare personaggio in corsa, reagire alle richieste di attacchi o azioni specifiche dei compagni – che permetterà loro di eseguire un colpo potente al di fuori del turno – ma anche concatenare attacchi per interrompere un attacco potente nemico in caricamento.
È un sistema vivo, fatto di decisioni rapide ma ponderate, che ti spinge a percepire il ritmo invece di pianificare a tavolino come magari un puro tattico a turni ti spingerebbe a fare: ogni colpo corpo a corpo ti fa ottenere punti azione, da spendere per far salire il nostro Livello Tattico e sbloccare varianti più forti di ognuna delle nostre azioni.
La cooperazione tra i membri del party aggiunge un livello di bellezza inaspettata. I compagni suggeriscono azioni – “usa una magia”, “attacca ora” – e se rispondi al momento giusto, si attiva una combo che spezza il flusso del combattimento in modo quasi cinematografico, ma sempre controllato.

Esplorare per crescere
Uno degli aspetti più sottovalutati di Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX è la sua struttura “spaziale”.
Le mappe non sono enormi, ma hanno una densità che rende ogni zona riconoscibile e profondamente interagibile. Da campi erbosi a foreste rossissime a caverne lucenti, tutto ha un valore estetico, prima ancora che l’espressione di un’esigenza pratica, quella di raccogliere materiali per l’alchimia. Ogni bioma è diviso in piccole aree, facilmente navigabili grazie al viaggio rapido, ma la vera soddisfazione sta nel ri-esplorare zone note con nuovi strumenti.
Col tempo, gli strumenti sbloccati ampliano di molto le possibilità: l’ascia, la canna da pesca, il retino per gli insetti, e un altro paio di cose. Ogni nuovo utensile non è solo un upgrade, ma una chiave per rivedere il mondo da un’altra prospettiva. Il cespuglio che prima potevamo solo colpire con un bastone, ora nasconde un insetto raro o un frutto; la roccia comune diventa fonte di un minerale essenziale, l’albero ora ci dà anche legna pregiata, ecc. C’è una poetica nella ripetizione dettata dal ritornare negli stessi luoghi con occhi nuovi, scoprendo che tutto è cambiato anche se niente lo sembra.

Il valore della semplicità
Visivamente, Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX rimane ancorato a uno stile che non tutti ameranno. I personaggi sono anime, le ambientazioni pulite ma statiche. Eppure, c’è una coerenza di fondo: quel mondo così composto funziona proprio perché non cerca il realismo. È un gioco che sceglie la serenità invece dello stupore, e in questo trova la sua identità. Pura cozyness anche in questo caso.
La colonna sonora accompagna con grazia, sempre discreta ma evocativa nei momenti giusti.
Conclusioni
Forse il segreto di Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX è che non cerca mai di essere altro da sé. Non punta a sorprenderti con colpi di scena, ma a farti vivere dentro un flusso costante di scoperta e comprensione del mondo intorno a Ryza. Ti educa alla pazienza, ti premia con la costanza, e alla fine ti regala quella sensazione rara nei videogiochi contemporanei: una pace dei sensi davvero anomala.

Sì, la pace. Non la soddisfazione del completismo – che comunque cliccherà in alcuni di voi come è cliccata per me – né la frenesia della conquista. Solo la serenità di aver costruito qualcosa di tuo, di aver capito un po’ meglio come funziona un mondo immaginario e, per estensione, anche il tuo modo di guardarlo.
E quando chiudi il gioco dopo quaranta ore, non pensi tanto alla trama o ai personaggi, ma a quanto ti è piaciuto stare lì dentro, anche solo per mischiare ingredienti e vedere cosa ne veniva fuori.
Atelier Ryza: Ever Darkness and the Secret Hideout DX non è un capolavoro, ma è uno di quei titoli che ti ricordano perché i videogiochi possono essere anche un luogo di quiete. E forse, in un panorama ossessionato dal rumore, non c’è niente di più prezioso di questo.
Un ottimo capitolo per avvicinarsi al franchise
Pro
- Combat system piccolo ma profondo
- Tutto è molto cozy
- Mappe ben gestite
- Il loop alchemico è una droga
Contro
- Narrazione un po' annacquata e con diversi cliché
- L'estetica piace o non piace, senza vie di mezzo