12 is better than 6 – Hands-on

Meglio vivere da colpevoli, piuttosto che morire da innocenti! Questa la morale di 12 is Better Than 6, shoot’em up multidirezionale con prospettiva top-down ambientato nel Far West. 12 sta per il numero di componenti della giuria, dalla cui sentenza dipende il destino dei criminali; 6 sta per il numero di persone incaricate di trasportare le bare verso il carro funebre. Insomma, meglio sparare prima che qualcun altro spari a te! (E qui mi torna in mente la celebre canzone di Fabrizio de André: “sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora…”). Tuttavia, sebbene accattivante nel titolo, 12 is Better Than 6 lo è meno nel gameplay, e ora vi spiegheremo il perché.

Il gioco si svolge nel 1873 nel selvaggio Far West, le terre oltre la frontiera dello Stato americano che vennero invase da pionieri in cerca di fortuna. Nel Far West non c’era legislazione, erano i pionieri stessi a farsi le leggi da sé (a chi non piacerebbe?) e a eleggere un’autorità cha garantisse l’ordine, ovvero lo sceriffo. Un luogo e un tempo infami per vivere. Ma il nostro eroe messicano non è impreparato. Fuggito di prigione dopo essere stato condannato ingiustamente, attraversa le lande deserte con l’intento di seminare i suoi inseguitori e raggiungere il Texas, la civiltà.

Approssimativo come un prototipo 

12 is Better Than 6 è il primo prodotto del piccolo studio indipendente InkStains Games, e in quanto tale presenta tutti gli errori e le approssimazioni di un prototipo. Il nostro eroe si muove a piedi, e la visuale top-down può essere allungata tenendo premuto il tasto del maiuscolo. La capacità di allungamento, però, non è sempre uguale, e talvolta si dimostrerà inutile o persino svantaggiosa. Si dispone di due armi: un coltello, che non può essere sostituito, e un’arma da fuoco da rubare continuamente alle vostre vittime. Nell’anteprima abbiamo trovato una quantità di pistole e fucili a una o a doppia canna, questi ultimi particolarmente divertenti da utilizzare. Si spara premendo in successione tasto destro e tasto sinistro; si tratta di colpi singoli e non di raffiche di colpi, il che alza la difficoltà generale del gioco (per non parlare della probabilità di improperi). Non è chiaro a che distanza giungono i colpi di ogni arma, se il range è lo stesso oppure varia.

Purtroppo gli attacchi non sono né infallibili né precisi, e la riuscita del livello sembra affidata più che altro alla bontà del caso. I nemici, che sono stazionari o compiono delle ronde – enon arrivano a orde come in molti shoot’em up – non godono di grande intelligenza artificiale, quanto di superpoteri: si incastrano tra loro, ma hanno occhi sui lati della testa e vista ai raggi X. Pure se non ti vedono, loro ti vedono, e hanno un bel colpo in canna che aspetta solo te. Inoltre, hanno il cattivo vizio di caricarti e spingerti a mo’ di giocatori di rugby veloci quanto Speedy Gonzales, creando impaccio nella mira. I loro sensi funzionano in modo strano: se allunghi la visuale, si accorgono della tua presenza; in alcuni casi basta un taglio alla gola per metterli sulle tue tracce, in altri non basta uno sparo.

I livelli peccano di monotonia e ripetitività, dovute anche a un’ambientazione monocromatica e dal disegno essenziale. I nemici, prodotti in serie, non hanno abilità o mosse speciali,e l’anteprima si è interrotta prima che avessimo l’occasione di incontrare un eventuale boss, per cui non possiamo esprimerci in merito. La scarsa fantasia e l’assenza di colori, a favore di un maggiore realismo e di uno stile caratteristico, costituiscono forse il peggior difetto di un gioco che si prospettava gradevole.

C’è però da fare un appunto: si ha un’infinità di modi diversi per concludere un livello. Il gioco, perciò, per quanto monotono nel complesso, conserva un buon grado di imprevedibilità, ed è ancora in grado di suscitare l’eccitazione e la frustrazione che ci si aspettano da uno shoot’em up. Un aspetto valorizzato è la furtività, tanto che, se si è bravi, si ricaverà non poco compiacimento nell’andare in giro a sgozzare guardie indisturbati, lasciandosi dietro una scia di cadaveri e le immancabili balle di fieno rotolanti.

Atmosfera azzeccata!

Abbiamo largamente esplorato i punti deboli di 12 is Better Than 6, per cui ora ci concentreremo su quel che ci è piaciuto. 12 is Better Than 6 adotta uno stile del tutto originale in quanto ad ambientazione e trama. La grafica del gioco è interamente disegnata; i disegni sono semplici, ma ben fatti, e qua e là nello scenario sono inseriti dettagli dinamici, come il fumo della legna che brucia o di una sigaretta, o i panni ad asciugare mossi dal vento. Come già accennato in precedenza, non vi sono colori, eccezion fatta per il sangue; chi da bambino si divertiva a imbrattare qualsiasi cosa, non rimarrà deluso. I luoghi che visiteremo, comprese le città, sono luoghi realmente esistenti. La trama sembra avere un certo rilievo, e lo capiamo durante una conversazione, quando scopriamo che il nostro eroe ha perso la memoria: un dettaglio che attira la nostra curiosità e suggerisce l’inizio di lungo viaggio. Le melodiedalle note messicane e texane calzano e rintronano alla perfezione.

Si parteciperà alle tipiche sfide western nelle locande, che non stancano mai e tengono col fiato sospeso. Il nostro eroe è brutale e individualista, e non mancherà di rispondere per le rime (e coi proiettili). Dunque, sebbene le situazioni cui assisteremo di per sé non avranno nulla di eccezionale, l’atmosfera tesa ed esotica è palpabile, arricchita da personaggi bizzarri e divertenti che conosceremo sulla via per il Texas – ad esempio l’indiano d’America Tomato of Wild Prairies, che ha più l’aria di un hippy che di un indiano.

Per concludere

Nella nostra preview, 12 is Better Than 6 ha accumulato più critiche che lodi. D’altronde è uno shoot’em up sottotono, che non sorprende e sicuramente non fa appassionare. Il ritmo è buono e alcuni livelli richiedono un certo impegno, ma non cogliamo in 12 is Better Than 6 niente che un flash game non possa offrire. Sarà un gioco interessante per gli amanti del Far West e per chi vuole provare qualcosa di alternativo, più strutturato nel lato artistico e meno in quello pratico.

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