Puppeteer – Puppeteer

Un titolo creato da un team eclettico come i Japan Studio, e per di più capitanato dalla personalità molto “british” di Gavin Moore, non poteva che attirare su di sé l’attenzione di tutta la stampa specializzata (e non). Puppeteer è infatti un titolo che cattura l’attenzione anche dello spettatore casuale grazie ad una direzione grafica molto felice e un comparto tecnico perfettamente in grado di sostenere le aspirazioni artistiche degli sviluppatori.
Ma tutto questo ovviamente deve essere supportato da un gameplay solido, ed è per questo che ci siamo recati negli studi di Sony Italia per provare il gioco per voi e intervistare Gavin Moore.

La prima cosa che si nota giocando a Puppeteer è l’ottimo doppiaggio italiano (“molto costoso”, parola di Gavin Moore), un lavoro realizzato a regola d’arte che ha ben poco da spartire con la media piuttosto bassa dei doppiaggi dei videogiochi. E un buon doppiaggio è una caratteristica indispensabile per godersi a pieno il gioco, perché la voce narrante che descrive le avventure di Kutaro non è relegata alle cutscene, ma accompagna il giocatore continuamente, anche durante le fasi più concitate, rendendo così impossibile l’uso dei sottotitoli. Se state pensando che una voce narrante continua sia fastidiosa siate pronti a ricredervi perché i testi sono così ben scritti da essere sempre molto gradevoli. La ragione di questa curiosa scelta risiede nel voler dare al giocatore la sensazione di star assistendo ad un vero e proprio spettacolo di burattini, con tanto di pubblico che rumoreggia in base alle vostre azioni. 

Il gioco vero e proprio vi mette ai comandi del nostro Kutaro, ormai ridotto a pupazzo senza testa, e di uno “spirito” alleato che cambia in base allo scenario in cui state giocando. Puppeteer è infatti un titolo pensato appositamente per essere giocato sia in solitaria che con una seconda persona, che prenderà i comandi di questo spirito amico il cui scopo è di svolazzare in giro per il livello e aiutarvi a superare le sfide che vi si presenteranno davanti. Come ammesso dallo stesso Moore il gioco diventa sensibilmente più semplice quando si è in due a giocare, e in alcuni punti si ha effettivamente la sensazione che alcune sfide siano pensate per essere affrontate da due giocatori, e non da uno solo. Se si gioca da soli si è comunque al comando del nostro amico spirito, che verrà controllato tramite la levetta destra del pad, cosa che purtroppo non smette mai di essere scomoda. Fortunatamente è raramente indispensabile utilizzarlo, e molte parti del gioco possono essere affrontate senza farne uso. 

La difficoltà del gioco è un elemento che ci ha piacevolmente sorpresi, se infatti Puppeteer non è certo classificabile come un titolo ostico dispone però di un livello di difficoltà abbastanza elevato da lanciare una sfida anche ai giocatori adulti, specialmente in singleplayer.
Il level design ci fa muovere in ambienti raramente ripetitivi, in cui una certa dose di ingegno e di abilità manuale è sempre richiesta; a volte sarà necessario calibrare le proprie azioni con una certa precisione e spesso la soluzione a un enigma non è banale. Ma la cosa che ci ha stupito di più sono state le battaglie con i boss, varie e veramente divertenti, capaci di dare del filo da torcere al giocatore, perlomeno fino a quando non impara i loro pattern di azione.
Ormai è praticamente immancabile la presenza delle sequenze QTE, che anche in Puppeteer fanno la loro comparsa durante alcune battaglie con i boss, forse un po’ inutilmente vista la semplicità con cui si possono completare.
Kutaro ha a disposizione per affrontare i livelli le sue forbici magiche e i poteri delle sue teste intercambiambili, anche se questi ultimi vengono utilizzati in maniera piuttosto limitata, ed è molto interessante il fatto che le forbici più che uno strumento di attacco siano uno strumento per interagire attivamente con l’ambiente circostante sfruttandolo a proprio vantaggio. È possibile, ad esempio, “agganciarsi” ad un nemico tagliuzzandolo e facendosi così trasportare da lui in una zona altrimenti irraggiungibile.

La realizzazione tecnica è solida, il motore grafico non ha mai mostrato incertezze, permettendo così di mettere in scena un vero tripudio per gli occhi tra colori accesi, luci scinitillanti e personaggi incredibilmente ispirati. Moore sostiene che nessun oggetto che compare in una scena venga riutilizzato in un’altra scena, e non fatichiamo a credergli vista la notevole dose di fantasia che abbiamo potuto apprezzare. La musica composta da Patrick Doyle mantiene, perlomeno nei livelli da noi provati, un suono robusto ma poco intrusivo, è un accompagnamento delicato nei modi che non cerca di imporsi sulla scena. 

Il gioco che abbiamo avuto modo di provare è un titolo venduto a prezzo budget ma che ha tutte le caratteristiche di un titolo di punta, un gioco che nasconde sotto un aspetto fanciullesco solide meccaniche da platform. Puppeteer manterà le aspettative? Noi crediamo di sì, ma per avere questa conferma non vi resta che rimanere con noi in attesa della recensione!

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