Back in Time – The Witch and the Hundred Knight

La storia di una strega davvero malvagia.

Con The Witch and the Hundred Knight la nostra rubrica Back in Time chiude il ciclo dedicato alla line-up di NIS America della scorsa generazione, iniziato ad aprile con Mugen Souls. Anche questa volta ci troveremo di fronte a un JRPG strano e astruso, dotato di numerose meccaniche peculiari non facilissime da interiorizzare, ma in grado di garantire una certa profondità al gameplay.

Sviluppato da Nippon Ichi Software, The Witch and the Hundred Knight è uscito in Europa nel marzo del 2014 in esclusiva su PlayStation 3, ma appena due anni dopo, è stata lanciata una versione potenziata (chiamata Revival) per PlayStation 4, per aprire la strada al sequel, successivo di due anni.

La storia della strega Metallia e dei suoi sottoposti, Arlecchino e l’Hundred Knight impersonato dal giocatore, è una sorta di fiaba alla rovescia, popolata da antieroi e crudeltà. Il nostro avatar, infatti, è stato evocato dalla perfida donna perlopiù per perpetrare atrocità, come uccidere la strega della foresta Malia e riempire il mondo di melma – Metallia, infatti, è nota come Swamp Witch, cioè strega della palude. Trattandosi di una produzione NIS, la malvagità si mescola all’umorismo, dando luogo a una commedia dark dalle tinte grottesche.

Molti non hanno apprezzato né i personaggi né la trama, e in effetti bisogna dire di quest’ultima che è appesantita da qualche filler; tuttavia non si deve, a parere di chi scrive, guardare tanto all’intreccio, quanto alle situazioni inusuali che vengono a crearsi. Anche i dialoghi giocano la loro parte in questo quadro, con un abuso di turpiloquio degno di un Grand Theft Auto. In The Witch and the Hundred Knight le cutscene sono molto numerose, collocandosi non solo all’inizio e alla fine di ciascun capitolo, ma anche nell’esplorazione dei field.

The Witch and the Hundred Knight

Il taglio dato a trama, personaggi e dialoghi non può che riflettersi anche sul setting, caratterizzato da tinte tendenzialmente fosche, il che, unito alla totale tridimensionalità, conferisce a The Witch and the Hundred Knight un aspetto ben diverso rispetto allo standard di Nippon Ichi. Ciò non significa necessariamente migliore, anzi, possiamo dire che l’impatto non sia proprio eccezionale. A completare un quadro tecnico non esaltante c’è la scarsa fluidità che affligge il gioco nelle situazioni più concitate.

La situazione migliora se ci spostiamo sul profilo artistico, che può contare sulla ormai collaudatissima alchimia fra il character design di Takehito Harada (affiancato da Mika Sasaki) e la colonna sonora di Tenpei Sato. Questo è uno degli aspetti che più avvicina il titolo al canone del suo developer, soprattutto in relazione all’OST, che spessissimo ricorderà quella di un Disgaea a caso, mentre la direzione artistica, pur caratterizzata dal classico tratto di Harada, si diversifica maggiormente per il diverso contesto in cui è calata.

The Witch and the Hundred Knight

Probabilmente la più inequivocabile firma del developer è individuabile nel gameplay. Nonostante non si tratti di un JRPG tattico, ma di un action, The Witch and the Hundred Knight è ricolmo di meccaniche inedite, fantasiose e complesse, talvolta pure astruse. L’impostazione è quella classica dell’hack ‘n’ slash figlio di Diablo, come si può notare dall’inquadratura, ma su questo canovaccio si innestano molte variabili, che rendono il gioco ben poco user friendly, anche a causa di una certa povertà delle spiegazioni, spesso affidate a brevi tip (cinquanta in tutto) contenuti nelle schermate di caricamento.

Già nell’azione basilare, cioè menare le mani, il giocatore è messo di fronte a numerose variabili. Innanzitutto, sono equipaggiabili fino a cinque armi contemporaneamente, che possono essere scelte fra cinque tipi diversi. Ogni arma ha un valore d’attacco, un tipo di danno (Slash, Magic o Blunt) e un numero (da uno a cinque) diverso, utile per massimizzare il danno nelle chain, quindi già l’operazione di equipaggiare in modo ottimale il nostro Hundred Knight potrebbe non rivelarsi una passeggiata.

The Witch and the Hundred Knight

I veri problemi, però, si hanno all’atto pratico di mazzuolare i nemici, a causa di un grande numero di indicatori e di eventuali ostacoli dello scenario (principalmente alberi) che impediscono al giocatore di avere una chiara visione sull’azione, nonostante la possibilità di ruotare la telecamera; in questo senso, è una fortuna che il battle system sia caratterizzato da un ritmo meno frenetico di quello di Ys, di stampo prettamente arcade.

Quanto detto sopra costituisce solo la punta di un iceberg formato da sistemi minori e non sempre di immediata comprensione. Quel che possiamo brevemente dire in questa sede, per evitare di scrivere decine di migliaia di caratteri, è che fortunatamente non è indispensabile sfruttare tutte le risorse messe a disposizione dai game designer, come spesso avviene nei giochi di Nippon Ichi Software e non solo (si pensi a Mugen Souls di Compile Heart). Va da sé, però, che un approccio ragionato vince anche sull’abilità manuale, nonostante si tratti di un A-JRPG, e aiuta a ridurre il grinding. Ci vuole pazienza, soprattutto all’inizio…

The Witch and the Hundred Knight

L’altra componente fondamentale del gameplay è costituita dalle esplorazioni. The Witch and the Hundred Knight è in buona sostanza un dungeon crawler, che, partendo da un hub (la dimora di Metallia) prevede l’esplorazione di numerosi field alla ricerca del Pillar, una sorta di pilastro presidiato da un guardiano che, dopo una serie di colpi ben assestati, sprigiona melma, permettendo alla Swamp Witch di estendere i propri domini.

Disseminati per i livelli ci sono anche Pillar minori, che fungono da checkpoint e consentono il fast travel e altre operazioni, come il potenziamento e il recupero di GigaCal. Queste ultime sono l’indicatore più importante, ancor più degli HP, che si rigenerano con lo scorrere del tempo. Ogni azione consuma energia, cioè GigaCal, e questo costituisce il limite più grande – e, di conseguenza, l’elemento gestionale più significativo – alla libertà di esplorazione e di combattimento. Mentre la Stamina, che serve per attaccare, schivare e correre, si ricarica rapidamente, le GigaCal possono essere recuperate solo con determinati oggetti, tornando all’hub, spendendo Grade Points presso i pilastri oppure consumando i nemici, una volta che siano stati ridotti in fin di vita.

The Witch and the Hundred Knight

Più di qualcuno ha criticato questo sistema, tacciato di scoraggiare l’utilizzo degli attacchi più potenti e di spezzare le esplorazioni, ma non condividiamo questa critica: i modi per riacquisire energia sono abbastanza numerosi e una sessione di gioco lunga consente di accumulare più Bonus Points, che garantiscono migliori ricompense all’uscita dal dungeon, proprio come avviene in Disgaea al termine di ciascuna battaglia. In conclusione, molto dipende dal temperamento del giocatore.

Nel corso delle sue scorribande, Hundred Knight si imbatterà in qualche villaggio e di conseguenza potrà parlare o scontrarsi con i NPC che li popolano. Queste meccaniche forse sono fra le più oscure e superflue del gioco, legandosi a un sistema di karma poco influente e ancor meno chiaro. Al giocatore è lasciata la scelta se visitare o attaccare le case (le possibilità di vittoria sono legate al livello), ottenendo eventualmente oggetti diversi e influenzando, appunto, il valore di karma, che può scendere anche colpendo i personaggi non giocanti. Fatto sta che tale valore non ha una grossa incidenza, se non sui prezzi degli articoli, perlopiù superflui.

The Witch and the Hundred Knight


Valutare un gioco come The Witch and the Hundred Knight risulta tutt’altro che agevole. L’opera di Nippon Ichi Software è un coacervo di meccaniche e contenuti che, anche considerati singolarmente, risulterebbero bizzarri, figuriamoci se giustapposti. Anche le sensazioni che imprime sono variabili, soprattutto nel lungo arco temporale che serve per completare l’avventura. Le prime ore sono quasi sconfortanti, a causa di un impatto un po’ traumatico e della povertà delle spiegazioni, ma poi, una volta che le meccaniche principali siano divenute familiari, il gioco dà il meglio di sé; peccato che questo entusiasmo si spenga prima del finale, o, meglio, di uno dei tre finali, confermando ancora una volta che un paio di filler in meno non avrebbero reso peggiore l’esperienza, anzi, tutto il contrario.

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