Back in Time – Inside

Più tetro del Limbo c'è solo l'Inferno.

Playdead è senz’altro uno degli studi indipendenti più celebrati di sempre, grazie alla sua opera prima, Limbo, un viaggio ai confini degli Inferi (come ha esplicitato Dino Patti, uno dei fondatori del team). Sulla scia dell’enorme successo di critica e di pubblico, Playdead prosegue per la sua strada, che porta dritta dritta nel cuore dell’Inferno.

In occasione del sesto anniversario del gioco (che uscì fra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio su Xbox One e PC, per poi approdare su molte altre piattaforme), Back in Time torna sulla seconda opera dello studio danese.


(In)umani

Anche Inside mette il giocatore al comando di un anonimo ragazzino in un luogo ostile e desolato, raccontandoci la sua storia senza l’ausilio di parole. Anche Inside è (almeno a prima vista) un platform con elementi puzzle a scorrimento laterale. Anche Inside presenta un comparto grafico tendenzialmente monocromatico. Il gioco è sicuramente debitore nei confronti di Limbo per quanto riguarda diversi aspetti, e si pone come suo successore spirituale; tuttavia, le succitate analogie si rivelano solo superficiali agli occhi dell’osservatore più attento.

Uno dei temi più inquietanti (almeno secondo la mia sensibilità, NdR) di Limbo era la totale estraneità del protagonista al consorzio umano. Inside sviluppa questo concetto in modo più compiuto, mettendo in atto una rivoluzione copernicana: il protagonista di Limbo è avulso dal contesto; quello di Inside è ugualmente (se non maggiormente) alienato, ma si trova all’interno (il titolo si compone di una parola, ma quante chiavi di lettura possono essere scovate!, NdR), all’interno, cioè, di un mondo di uomini che sottomettono altri uomini, privandoli della loro volontà e sottoponendoli ad aberranti esperimenti. Il nostro “eroe”, ancora misteriosamente in possesso delle proprie facoltà mentali, vuole fuggire da questa distopia – che forse è la caricatura di una società, più che una distopia – ma potrà contare solo sulle proprie forze, visto che il luogo è popolato solo da lobotomizzati e oppressori.

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Sinestesia macabra

Sul piano grafico, le differenze principali fra le due opere di Playdead si legano alle ambientazioni. In Inside l’umanizzazione prevale sulla natura, ma finisce col comunicare un senso di desolazione ancor più sconcertante: tutto è buio, tutto è abbandonato, tutto è in rovina, tutto rappresenta una potenziale minaccia, anche se è stato costruito dall’uomo, anzi, proprio perché è stato costruito dall’uomo.

Senza farci trascinare troppo dal lirismo tragico, torniamo “sulla Terra” per segnalare anche un maggior dinamismo su schermo, in luogo della tendenziale staticità di Limbo: esistono, infatti, numerosi elementi dello scenario in movimento su altri piani, che spesso interagiscono in modo diretto con quello dell’azione; inoltre non sono rari i frangenti in cui l’attenzione del giocatore è concentrata su un piano diverso rispetto a quello dell’azione, grazie anche a sapienti scelte di regia. In questo senso, ha perfettamente ragione Playdead quando dice “It’s more 3D than you would think” (“è più tridimensionale di quanto potreste pensare”).

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Il comparto audio ha un impatto meno dirompente, ma saprà compiacere i giocatori più attenti. Consigliatissimo giocare collegando il TV ad un impianto stereo, per sentire al meglio melodie, rumori e silenzi. La colonna sonora è opera di Martin Stig Anderson: già lo avevamo lodato in Limbo, ora non ci resta che osannarlo. L’artista ha lavorato spalla a spalla con gli sviluppatori, in modo da ottenere la miglior sinergia possibile fra grafica, sonoro e gameplay. Quest’affermazione generica meriterebbe di essere meglio precisata, ma preferiamo non portare esempi estrapolati da un’opera che va tutta scoperta.


More than meets the eye

Come abbiamo detto sopra, Inside è essenzialmente un platform 2.5D disseminato di semplici puzzle. Come Limbo, verrebbe da dire, ma l’utilizzo di queste categorie si rivela riduttivo per la seconda opera di Playdead.

Innanzitutto, come abbiamo già ricordato, Inside è molto più “tridimensionale” di quanto possa sembrare a una prima occhiata; certo, si tratta pur sempre di un gioco a scorrimento, ma l’impiego di piani diversi da quello in cui si trova al protagonista produce situazioni impensabili in Limbo. Ciò non significa che il gameplay sia particolarmente complesso, anzi, esso si basa su azioni essenziali, demandate a un sistema di controllo altrettanto essenziale, uguale a quello di Limbo: stick analogico per muoversi, un pulsante per saltare e un altro per interagire con gli elementi presenti nei livelli.

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Non viene posta particolare enfasi sulle fasi di platforming, né, più in generale, sulla perizia del giocatore: Inside non è particolarmente difficile, anche se qualche passaggio saprà causare molteplici game over; non che sia un problema, visto che le vite sono illimitate e che i checkpoint sono distribuiti generosamente. Tutto ciò non deve stupirci, dal momento che Playdead cha virato in direzione del genere adventure, come dimostrano anche alcuni enigmi, che potrebbero ricordare un certo filone di avventure grafiche. Questo è il motivo per cui parlare di platform è abbastanza riduttivo, se non improprio. L’idea che si è fatto chi scrive è che gli sviluppatori non avessero intenzione di realizzare un platform 2.5D, ma semplicemente di utilizzarne le cifre per consegnarci un’opera “semplice” ma densa, in grado di offrire un notevole ventaglio di esperienze pur basandosi su un sistema di interazioni elementare.

In questa prospettiva, la scarsa durata (fra le tre e le quattro ore, proprio come Limbo) non può rappresentare un difetto, perché qualunque espediente per tenere il giocatore un’ora in più davanti allo schermo avrebbe comportato un calo di intensità. I completisti potranno comunque incrementare la longevità del titolo conquistando i quattordici Obiettivi, che si legano a interazioni “segrete” e non necessarie, piuttosto che al mero raggiungimento di alcuni snodi, come avviene nella maggior parte dei videogiochi. L’unico motivo per cui lagnarsi della scarsa durata di Inside è costituito dal prezzo di lancio di € 19,99 (ma quasi ogni mese dell’anno potete trovarlo in sconto su una qualche piattaforma digitali), ma a questo punto lascio a voi ogni considerazione ulteriore: ormai sapete quanto costa, quanto dura e cosa offre. Ma soprattutto, sapete a quale categoria di giocatore appartenete.

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Inside è uno dei pezzi di software più pregiati della scorsa generazione; chiaramente non è per tutti, ma ciò non ci impedisce di consigliarlo a chiunque.

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