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Back in Time – Ys: The Ark of Napishtim

Giugno 16th, 2018 Giovanni Ormesi
A cura di Giovanni Ormesi pubblicata il 23/06/2018

Ci siamo: dopo oltre vent’anni di divorzio, Ys è tornato su console Nintendo con Lacrimosa of Dana, in uscita il prossimo 29 del mese. Per celebrare questo ritorno, Back in Time torna indietro al sesto capitolo (il primo ad abbandonare le macchine della Grande N), Ys: The Ark of Napishtim, uscito su PC, PlayStation 2 e PSP (e mobile, solo in Giappone).

Ys – a lungo chiamata erroneamente Y’s dalle nostre parti – è una saga di Action JRPG che vanta una storia ultra trentennale, tornata alla ribalta anche in Occidente dopo anni di latitanza. Il primo sforzo fu compiuto da Konami proprio con la localizzazione di Ys: The Ark of Napishtim, ma la vera impresa è stata compiuta da XSEED, che in pochi anni ci ha portato un sacco di capitoli.

Ys: The Ark of Napishtim
Ys: The Ark of Napishtim

Questo gioco è l’ultimo Ys “classicissimo” (sarebbe esagerato definire i successivi come sperimentali), e lo è sin dalla trama, che non si discosta minimamente dagli stilemi del genere: la sesta avventura del muto Adol Christin tocca temi abbastanza abusati nel panorama dei JRPG e dei manga/anime, dal naufragio in una terra popolata da creature antropomorfe (i Rehda, dotati di coda e orecchie a punta), alla scoperta della consueta civiltà ancestrale. Questa mancanza di originalità non significa che la vicenda non sia piacevole, pur costituendo più che altro un collante fra i vari dungeon, che via via si fanno più complessi.

Quanti di voi temessero di perdere qualche aspetto della storia non conoscendo i cinque episodi precedenti possono stare tranquilli, dal momento che, anche se il protagonista è sempre il rosso Adol, ogni avventura è a sé stante, pur esistendo alcuni collegamenti, fra cui la presenza dell’amico Dogi o il riferimento alle gesta compiute in passato dell’eroe: nulla per cui strapparsi i capelli, senza contare che la mancanza di approfondimento psicologico o di veri fili conduttori nella saga non vi farà rimpiangere di esservi persi qualcosa, anche se comunque i capitoli precedenti meriterebbero di essere giocati a prescindere.

Ys: The Ark of Napishtim
Ys: The Ark of Napishtim

Pure il gameplay di Ys: The Ark of Napishtim è quello classico della serie, con l’aggiunta del salto e qualche altra cosuccia. I controlli sono essenziali: un tasto è adibito all’attacco, uno al salto, che, combinato all’attacco, consente di eseguire un paio di mosse, un terzo agli oggetti (nelle boss battle si può usare solo quello assegnato a tale tasto, dal momento che non si può accedere all’inventario), e, infine, uno alle magie, semplici attacchi elementali legati alla spada equipaggiata. Non c’è lock-on, non c’è parata, non c’è nient’altro.

Anche gli equipaggiamenti sono limitati: in tutto il gioco si trovano solo sei armature e sei scudi, tre spade (questi tre elementi sono visibili sul corpo del protagonista) e una ventina di accessori. Le spade, ciascuna di un elemento diverso, sono potenziabili spendendo Emelas, visibili sotto forma di palline blu droppate dai nemici, che forniscono anche denaro e, saltuariamente, oggetti curativi. I parametri di Adol sono solo tre (HP, Forza, Difesa) e aumentano grazie al Level Up; l’allenamento, d’altra parte, si rivela spesso indispensabile per superare i dungeon, dal momento che il gioco è sì semplice nelle meccaniche, ma non facilissimo: alcuni antri sono labirintici, per cui recuperare tutti i tesori può essere un’impresa ardua che sovente richiede di effettuare salti molto precisi, mentre diversi boss, specialmente quelli opzionali, metteranno alla prova riflessi e pazienza, essendo spesso dotati di un’ingente quantità di HP.

Qualcuno potrebbe trovarlo piuttosto limitato, ma Ys, in realtà, è gradevole anche per la sua semplicità e classicità: fa piacere, una volta tanto, mettere le mani su un JRPG che non obblighi il giocatore a passare ore e ore tra complicati menù ed estenuanti dialoghi, ma che comunque si riveli ben confezionato e, soprattutto, divertente.

Ys: The Ark of Napishtim
Ys: The Ark of Napishtim

Uno degli aspetti più deboli di Ys: The Ark of Napishtim è quello tecnico: grafica piuttosto semplice, texture poco definite, rallentamenti nelle situazioni più concitate e effetti sonori limitati e ripetitivi. A sua discolpa, bisogna ricordare che il gioco a settembre compie quindici anni. Fra gli aspetti positivi spiccano i colori, l’OST, molto piacevole anche se non ricchissima, e la realizzazione di alcuni elementi, come i boss, grandi e ben disegnati. La versione migliore è quella per PC, pubblicata fuori dal Giappone appena tre anni fa con alcuni miglioramenti/aggiunte: maggior risoluzione, il fast travel, le sequenze FMV della versione PS2 e la tostissima Catasrophe Mode; la peggiore è sicuramente quella per PSP.

Quanto alla longevità, dieci ore (o poco più) sono sufficienti a raggiungere i titoli di coda, per una durata che più si confà ai giochi d’azione che ai JRPG. Le quest secondarie sono poca cosa: qualche dungeon aggiuntivo (Alma’s Trial) e la raccolta dei Pikkard (quattro porcellini). Aggiunta più corposa sono i boss opzionali, che aumentano il grado di sfida e permettono di acquisire gli oggetti più potenti, ma costringono a un noioso backtracking, dal momento che il più delle volte si trovano in fondo ad antri già esplorati, dove prima c’era il consueto mostro di fine livello. Ad ogni modo, anche contando queste aggiunte, il gioco non supera la ventina di ore; d’altro canto, è giusto così: una maggior longevità avrebbe comportato una ripetitività maggiore.

Ys: The Ark of Napishtim


Ys: The Ark of Napishtim è il tipico Action JRPG del passato, come se ne fanno pochi al giorno d’oggi (lo stesso Ys è in parte cambiato): sostanzialmente una sequela di dungeon da affrontare con un gameplay essenziale, ma davvero efficace e divertente. Il nostro consiglio resta quello di dargli una possibilità, dal momento che si tratta di un titolo piacevole, magari persino inconsueto per quei giocatori che si si sono accostati ai JRPG solo a partire dalla metà degli anni Novanta, abituandosi a trame e gameplay molto più complessi, ma non sempre sinonimo di qualità.

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Giovanni Ormesi

La mia carriera videoludica inizia a metà degli anni Novanta grazie a Nintendo, ma il mio vero “primo amore” è stato per PlayStation. Nel corso della generazione 128 bit mi sono dato al multipiattaforma: questo periodo mi ha permesso di approfondire numerosi generi e serie, con l’unica ma gravissima lacuna del PC gaming. Ho cominciato a scrivere di videogiochi nel 2008, quando sono stato notato da VGNetwork e ho avuto la possibilità di recensire Yakuza 2.

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