La cancellazione dell'E3 era pronosticabile? Pietra tombale sull'evento o possibilità di rinascita?
“Io credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze” ha scritto qualcuno. E nella lunga e travagliata vicenda che ha come protagonista l’E3, l’evento legato al mondo dei videogiochi più rinomato e riconosciuto in materia, non vi è spazio per coincidenze salvo conferire alla parola “coincidenza” il significato di indizio. Già, perché tanti indizi propendevano per l’epilogo ben noto a tutti, la cancellazione dell’E3, previsto per giugno e la cui organizzazione è (era) in mano a ReedPop, su precisa delega dell’ESA, per esteso Entertainment Software Association, associazione che raggruppa i più grossi publisher del settore.
Cos’è (stato) l’E3?
Potrei ridurre ad una asettica definizione, quanto più generalizzata e colma di frasi fatte, cosa ha rappresentato l’E3 per l’intera industria del videogame ma peccherei di lesa maestà e di una leggera banalità. E allora mi piace raccontare cos’ha rappresentato per me questo evento: sin da quando mio padre mi introdusse al mondo della “tecnologia”, sebbene il suo ambito professionale esulava leggermente dal mondo videoludico, la fiera di Los Angeles mi venne raccontata come si raccontava l’Olimpo ai Greci, quasi alla stregua di una conquista, una forma di manifestazione più grande di noi. Erano gli inizi degli anni 2000 e l’attesa che giugno ci consegnasse delle novità era snervante, specie per chi il mondo dei videogiochi lo consumava nel senso letterale.
Raggiunto il completo svezzamento sulla materia, l‘interesse con cui ho iniziato ad informarmi sulle novità videoludiche proposte è mutato, mai diminuito, e ad essere mutata era anche la rilevanza del mercato dei videogiochi all’interno dell’industria dell’intrattenimento in generale, che ha sentito il bisogno di rafforzare ed accentrare le maggiori novità in materia in un unico, grande evento multimediale che, sia chiaro, ha avuto alti e bassi, con periodi in cui si è sperimentato forse più del necessario.
E poi si è andati avanti, annunci dopo annunci siamo arrivati – o meglio ci è arrivata addosso – alla pandemia, causa principe, ma non l’unica, della fine dell’E3 (ne parleremo dopo), che ci ha allontanati parzialmente dall’informazione videoludica salvo lasciare un vuoto solo parzialmente colmato da eventi digitali e da improvvisati.
Morte naturale o fine vita?
La morte dell’E3 ha alle spalle una lunga serie di ferite che l’evento ha subito conducendolo in una fase terminale di convalescenza. Perché se è vero che l’attesa era trepidante, forse anche a causa di speculazioni, è altrettanto sotto gli occhi di tutti che tante sono state le carenze di ReedPop nella gestione organizzativa dell’evento, dall’assenza (confermata) di publisher importanti alla mancata conferma della presenza di altri nomi altrettanti importanti. Ma non solo: la contemporanea presenza temporale di altri eventi, fisici e digitali, ha influito gravemente sulla stabilità dell’evento di Los Angeles che si è visto spodestato dello scettro di maestro della presentazione videoludica in luogo di eventi più piccoli ma concentrati.
E perciò mi chiedo: l’E3 è morto naturalmente o, come una persona la cui malattia è in stato irreversibile, ReedPop ha deciso di staccare la spina? Forse la verità sta nel mezzo. L’evento di Los Angeles, per come abbiamo avuto modo di conoscerlo, non esiste più e anche qualora si fosse tenuto quest’anno sarebbe stato un lontano parente dell’E3 pre-pandemia, frutto anche di una crescita esponenziale degli eventi digitali e settoriali.
Gli avvoltoi
Un funerale generalmente si compone di chi soffre per la morte e di chi gongola davanti alla stessa sulla convinzione di poter risucchiare lo spazio e la capacità del defunto. E davanti al rito funebre dell’E3, una persona su tutti ha manifestato una ridotta capacità empatica: Geoff Kighley, volto dei celebri The Game Adwards (TGA) e della Summer Game Fest, che di certo ha dimostrato come non ci si debba comportare dinanzi a una notizia di tale portata.
Il giornalista ha compulsivamente commentato su Twitter ogni notizia ufficiale relativa alla cancellazione dell’E3 con una serie di umilianti emoticons, non perdendo l’occasione, nemmeno di ribadire che al contrario, la Summer Game Fest si terrà, come un coyote che si avventa sulla carcassa della sua preda. Veramente indelicato, considerando che l’E3 non voleva contrapporsi all’evento di Kighley.
Qui mi piacerebbe che a parlare siano le notizie ufficiali piuttosto che il sentimento. Il CEO dell’ESA, intervistato da un noto blog, ha schivato la questione: “Siamo impegnati a fornire una piattaforma di settore per il marketing e la convocazione, ma vogliamo assicurarci di trovare il giusto equilibrio che soddisfi le esigenze del settore (…) Certamente ascolteremo e assicureremo che tutto ciò che vogliamo offrire soddisfi tali esigenze e in quel momento avremo più notizie da condividere”.
Quanto a ReedPop, un comunicato stampa dell’organizzatore dell’evento ha offerto un minimo raggio di speranza, affermando che esso e l’ESA “continueranno a lavorare insieme sui futuri eventi dell’E3”. Quello che sembra, però, è che siano tutte dichiarazioni di comodo che celano una grande difficoltà nella costruzione dell’evento. Certamente, al pubblico e alla stampa manca un evento globale di tale portata, anche quale luogo di riunione e di condivisione degli annunci su quello che amiamo di più, il videogioco.
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I videogiochi al primo posto, il diritto e gli scacchi al secondo. Vivo, amo e respiro videogiocando, da quando mio padre mi mise in mano un joystick, forse prima del biberon.
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