Perché non siamo pronti per Death Stranding

Viaggio nel contorto mondo di Hideo Kojima.

Death Stranding: il nome di un’opera misteriosa, il nome di un’opera affascinante che per la stragrande maggioranza del pubblico ancora non ha preso forma, come la sagoma umana riflessa in uno specchio, in una stanza in penombra. Kojima non aiuta, vista la sua unica e particolare comunicazione, figlia e rappresentante di un tempo forse passato, in cui l’asticella dell’hype saliva col mistero e non con il sapere già tutto prima dell’uscita di un titolo.

Ultimamente però, qualcosa si è mosso, agitando le acque di un mare piatto, smuovendo la calma – forse – prima di una tempesta che si preannuncia fragorosa; e quindi ci siamo trovati di fronte alle varie notizie di personaggi illustri, celebri rappresentanti di software house vicine a Sony e amici di Hideo che hanno visto e provato il titolo rimanendo esterrefatti. Ultimo, ma non meno importante, Jordan Vogt-Roberts, il regista del prossimo film su Metal Gear Solid, investito ufficialmente da Kojima della carica di “unico degno regista a poterlo dirigere”, il quale ha espresso un giudizio molto particolare su Death Stranding: “Voi non siete pronti!”

Death Stranding

Chi vi parla è un grande ammiratore della narrativa nei videogiochi, chi vi parla riconosce nell’estro di Kojima la genialità di chi è cento anni luce avanti al mondo, ma soprattutto chi vi parla ha vissuto l’odissea di Metal Gear Solid e sa che senza di esso gran parte della storia videoludica moderna non esisterebbe. Dunque chi vi parla condivide il fatto che non siamo pronti a Death Stranding, e con questo articolo vuole provare a spiegarvi perché non lo siamo.

Partiamo dunque da cosa il vocabolario Treccani, al punto B, ci dice sia l’innovazione: “In senso concreto, ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica, ecc.” Ecco, Death Stranding vuole, nell’ambizione del suo creatore, essere la grande innovazione del mondo dei videogiochi, un nuovo step per l’evoluzione del medium. Le sempre maggiori novità introdotte con il progresso tecnologico devono essere lo strumento dell’innovazione e non il suo cuore pulsante; un gioco bello senz’anima perde di efficacia in un momento storico e in un mercato in cui non è certo l’offerta di prodotti che manca.

Death Strandig non vuole essere tutto ciò, Death Stranding punta ad essere il nuovo Super Mario, il nuovo Maniac Mansion, il nuovo Half-Life, il nuovo Metal Gear Solid o il nuovo The Last of Us, tutti titoli che dalla nascita del videogioco moderno (con Hoovertank 3D di Carmack e Romero) hanno costituito uno step successivo nel percorso dell’innovazione videoludica.

Death Stranding

Non sappiamo effettivamente quali saranno i punti chiave del titolo di Kojima in questo processo innovativo e forse non li sapremo prima dell’uscita, ma è chiaro che la comunicazione del titolo fin qui ha disseminato diversi indizi che non sono stati colti da gran parte del pubblico. Questo in primis dimostra come noi non siamo ancora abituati al maestro di Setagaya, ma soprattutto come non siamo pronti per il titolo Kojima Productions.

“Il simulatore di consegne”, come era stato rinominato beceramente Death Stranding dopo il trailer dell’ E3 2018, ci ha mostrato un mondo vivo, pulsante, realistico, in grado di lasciare a bocca aperta chi si fa coinvolgere. Tutte queste sensazioni arrivano da momenti in cui oltre al paesaggio è stato mostrato solo il protagonista camminare, ed è questa la sua grande bellezza. La fisica degli ambienti, la reazione della natura al personaggio, le animazioni dei “pacchi” sulle spalle del protagonista, sono elementi che trasudano voglia di raccontare una storia in una maniera non convenzionale che contempli il modo in cui viene raccontata la vita nel mondo reale. Se camminando per strada normalmente, vedeste un guard rail divelto e il segno degli pneumatici sull’asfalto, non avreste bisogno di spiegazione alcuna. Se passeggiando per Nuova Delhi vedeste scorci in lontananza dell’oceano di plastica che attornia le baraccopoli della città, comprendereste voi stessi la povertà e la sofferenza di quell’angolo di pianeta. Death Stranding vuole fare lo stesso con le sue ambientazioni, vuole raccontare la desolazione di un mondo, il pericolo, la speranza e la fatica anche solo con uno scorcio ambientale. Questo purtroppo, dopo il trailer della scorsa estate non è stato evidenziato, nessuno lo ha colto, perché tutti ancora troppo ciechi per vedere oltre il proprio naso.

Death Stranding

In seconda istanza ci sono le tematiche trattate da Kojima, il quale già più volte ha spiegato come la vita, la morte, la natura, il sovrannaturale, i legami, il tempo sono tutti temi che verranno trattati all’interno di una storia che vedrà il coinvolgimento di volti noti del cinema per enfatizzare la qualità della recitazione e della credibilità di un’opera che non vuole scimmiottare i grandi film, bensì unire le più importanti caratteristiche di molteplici forme d’arte al fine di creare un genere che ancora non esiste. Vita e morte si uniscono in quello che Kojima chiama: “un gioco che spingerà le persone ad adottare un approccio con la corda” visto che, a detta dell’autore di Tokyo, normalmente nei videogiochi si usa un approccio “col bastone”. La citazione si riferisce a Kimifusa Abe (in arte Abe Kōbō), grande fonte di ispirazione per Kojima, non solo per l’opera “L’uomo che diventò bastone”, che racconta la nascita, lo sviluppo e la morte dell’uomo attraverso delle metafore pragmatiche, ma anche perché in tutte le sue opere lo scrittore e drammaturgo giapponese ha descritto un’umanità alienata caratterizzata da una condizione esistenziale di incomunicabilità.

Tutto ciò è sempre apparso in ogni uscita del titolo sottoforma di trailer; l’oblio del mondo sottomarino “sottosopra”, l’assenza di un vero game over, gli effetti persistenti degli eventi in-game, il silenzio come via di fuga, l’impossibilità di comunicare per sopravvivere, ma soprattutto la nascita e la crescita della vita come unica via di salvezza per un mondo perseguitato da entità che hanno dimenticato cosa vuol dire l’umanità. Tutto questo è sempre stato presente in ogni immagine, eppure ogni volta il pubblico si è sempre concentrato sulla scarsità di scene di sparatorie, la presenza o meno di boss battle o la totale assenza di azione, dimostrando come non siamo pronti ad accettare un’opera diversa, perché il diverso è difficile da comprendere, cosa che anche la condizione sociale attuale dimostra sempre più spesso.

Death Stranding


Siamo nell’anno di Akira, proprio quel 2019 che, stando a Kojima (vera la smentita successiva o vero l’annuncio iniziale?), dovrebbe essere l’anno di lancio di Death Stranding. Il movimento dell’ultimo periodo attorno al titolo sembrerebbe portare in quella direzione, resta però il fatto che forse davvero non siamo consapevoli dell’importanza che potrebbe avere quest’opera per il mondo videoludico. Kojima una volta paragonò il processo di sviluppo del gioco alla corsa dell’umanità allo spazio: prima la Luna, poi Marte e dopo chissà, magari anche Giove. Il razzo è partito e dove andrà non lo sa nessuno tranne il buon vecchio Hideo, che dall’alto ci guarda tutti mentre con il naso all’insù cerchiamo di capire le forme di una costellazione chiamata Death Stranding.

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